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The Hunt – Il Sospetto (2012) di Thomas Vinterberg – Cinema & psicologia

The Hunt: se chiedessimo alle persone di definire in una parola il tema principale del film sicuramente qualcuno risponderebbe che tratta di “pedofilia”.

Di Mauro Bruni

Pubblicato il 19 Mar. 2014

Aggiornato il 28 Mag. 2014 13:50


 

 

The Hunt – Il Sospetto

(2012) di Thomas Vinterberg

 

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The HuntThe Hunt: se chiedessimo alle persone di definire in una parola il tema principale del film di Thomas Vinterberg  (lo stesso regista di Festen),  sicuramente qualcuno risponderebbe che tratta di “pedofilia”. Tuttavia l’argomento è un altro, ovvero cosa accadrebbe nella “possibilità” che un abuso del genere fosse avvenuto?

La traduzione del titolo rimane fedele dal danese “Jagten” all’inglese “The hunt” mentre subisce la variazione in italiano diventando “Il sospetto”, che si rivela comunque azzeccato.

Anche in questa occasione il regista si contraddistingue per la cura nella costruzione psicologica dei personaggi. E’ particolarmente verosimile la rappresentazione del funzionamento mentale del bambino e di come la memoria e i ricordi possano essere influenzati in momenti di forte stress.

Il film mostra una comunità che vive circondata dai boschi; tutto appare circoscritto, pulito, sicuro, ideale. Poi, come è naturale in qualsiasi sistema, subentra l’elemento perturbante, la dissonanza: l’uomo mite e generoso che lavora in un asilo viene accusato di pedofilia da una bambina a cui non manca l’immaginazione. La direttrice dell’istituto, appresa la notizia, ricerca a suo modo la migliore risoluzione, di fatto gettando nello sconcerto l’intera comunità.

Come si reagisce di fronte al pericolo, all’orrore, al disgusto e alla paura? Cosa possono fare le persone per controllare vissuti così potenti e destabilizzanti? In sostanza, come si ristabilisce l’equilibrio perduto quando qualcosa di totalmente inaspettato, uno dei peggiori incubi per un genitore prende forma?

The Hunt” è un film interessante (candidato all’Oscar 2014 per il migliore film straniero) con un valore aggiunto: richiama alla memoria un fatto di cronaca incredibilmente simile avvenuto nei pressi di Roma negli anni 2006-2007, e che conviene non dimenticare.

Nel film, la direttrice non cerca di capire cosa può veramente essere successo, agisce unicamente nel desiderio di confermare i propri sospetti: in seguito alle accuse della bambina il protagonista non viene ascoltato e neanche debitamente informato; immediatamente si aggiudica il ruolo di “mostro”. Qui lo spettatore comprende bene come l’operazione non lasci scampo, e non potrebbe essere altrimenti perché lo scopo della donna non sembra essere “capire” davvero bensì porre rimedio, il più in fretta possibile, alla propria catastrofe emotiva.

Esiste una ragione che spieghi una condotta tanto precipitosa, quando il normale buonsenso farebbe prefigurare a chiunque uno scenario in cui il presunto pedofilo venga quantomeno ascoltato in prima istanza?

E’ stato osservato che in situazioni di forte stress le strategie di coping utilizzate tendono ad essere quelle meglio consolidate, quelle che operano più velocemente e quelle che richiedono una minore mediazione da parte di vie nervose più fini (superiori) e degli apprendimenti che le riguardano. In questo senso, è piuttosto probabile che gli individui ricorrano a difese meno complesse in caso di forte stress (Stern, 1987). Può essere il caso dei cosiddetti processi proiettivi, dove potersi liberare in fretta dal malessere e inoltre dare una forma ben definita a ciò che si teme, poterselo trovare “di fronte” per così dire, permette verosimilmente una migliore strategia di gestione.

Il “sospetto” che sorregge la trama e suggerisce il titolo ai traduttori italiani, è un termine intimamente legato alla proiezione e quello maggiormente rappresentativo di quello spazio di variabilità interpretativa esplorato in massimo grado da quegli individui che vivono la realtà da una prospettiva paranoide di personalità; se la “paranoia” rimanda a precise patologie, la “proiezione”, che ne è il motore, è totalmente slegata dal concetto di malattia; e le persone ne fanno un largo uso. Per fare un esempio, quanti ritengono che il tramonto sia un fenomeno emotivamente connotato? Tutti bene o male assistendovi ne siamo affascinati o pensiamo addirittura che sia romantico: l’attribuzione di qualità umane (emozioni) a fenomeni non umani (rotazione terrestre) può permetterci di mettere in forma significati che altrimenti rimarrebbero inespressi (Searles, 1960).

In altri casi invece, quando quello che ci accade è così intenso da andare oltre le normali capacità di reazione, quando il “colpo”, pur non essendo della massima severità, provoca una iniziale paralisi delle strategie di problem solving, la proiezione può subentrare e risolvere lo stato di emergenza emotiva. 

Quando la direttrice dell’istituto afferma che nei suoi molti anni di esperienza ha sempre creduto alla purezza e alla bontà insita “nell’animo” dei bambini, comunica anche che non è disposta ad accettare dentro di sé una rappresentazione più complessa e meno idealizzata della realtà, ovvero che i bambini possano mentire, che possano manipolare gli altri a proprio vantaggio e non essere poi così puri. 

Il coping di tipo proiettivo muove da una rappresentazione di sé e da un’identità costruita attorno a precisi valori, poco modificabili. La soluzione più efficace, molto agita e poco pensata dalla direttrice, potrebbe essere: “sarei troppo angosciata se dovessi credere che una bambina può fare una cosa tanto mostruosa, perciò devi essere per forza tu il mostro”.

Una comunità che si riconosce nel senso di sicurezza assoluto che può garantire ai suoi membri, un quartiere in cui la fiducia tra le persone è tale che i bambini possono aggirarsi tranquillamente fuori da casa, fa della capacità di mantenere inalterati tali caratteri una questione principale. Infatti saranno sufficienti condizioni minime, “sospetti” appunto, per allertare i meccanismi di salvaguardia del livello di purezza di una comunità che ha, come del resto nel mondo reale, la necessità di riconoscersi nel “bene” e allontanare da sé il “male”.

Infine, possiamo domandarci, e gli psicologi lo facciano in maniera piuttosto seria, “cosa è accaduto nella comunità di Rignano Flaminio?”. All’epoca dei fatti, una perizia psicologica del valore di decine di migliaia di euro condotta sui minori (16 tra i 3 e i 4 anni), ha contribuito all’arresto di 4 persone. Testualmente, le accuse pronunciate dal tribunale di Tivoli furono:  “maltrattamento di minori, atti osceni, sottrazione di persone incapaci, sequestro di persona, atti sessuali con minorenni, violenza sessuale aggravata, violenza sessuale di gruppo”.

Ecco, appunto, come si passa da questo, alla sentenza del 2012 che “assolve con formula piena gli imputati per insussistenza dei fatti” dato che nessun abuso è mai avvenuto nell’istituto Olga Rovere?

 

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Psicologo Psicoterapeuta

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