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Come me non c’è nessuno – Centro di Igiene Mentale – CIM Nr.05 – Storie dalla Psicoterapia Pubblica

CIM Nr. 05: A quarantasei anni Ilario Cermetti aveva conosciuto soltanto successi. La serie sembrava dover continuare, senza che se ne intravedesse la fine.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 31 Mar. 2014

 

 

 

– CIM CENTRO DI IGIENE MENTALE – #05

Come me non c’è nessuno

– Leggi l’introduzione –

Come me non c'è nessuno - CIM NR.05. - Immagine:  ©-Serg-Nvns-Fotolia.comA quarantasei anni Ilario Cermetti aveva conosciuto soltanto successi. La serie sembrava dover continuare, senza se ne intravedesse la fine. Primogenito della famiglia più ricca di Monticelli era stato da subito identificato dal nonno Angelo, il fondatore della dinastia, come il futuro capitano dell’azienda di famiglia, la “Ceramiche Cermetti”, leader incontrastata nel settore dei sanitari e dell’arredo bagno.

Ilario non era stato un bambino ed un adolescente viziato, le aspettative della famiglia lo avevano spronato a impegnarsi a fondo in tutte le cose. Fortunato sì, dunque, ma anche intelligente, tenace e disposto al sacrificio. Sempre primo in tutte le scuole che aveva frequentato, si era laureato in ingegneria a 24 anni con 110 e lode e 29,7 di media.

Come se non bastasse era bello, con i riccioli neri che incorniciavano un viso dai lineamenti severi ma addolcito da due grandi occhi azzurri. Capitano della squadra di rugby del paese, era impegnato in molte attività di volontariato e responsabile provinciale degli scout.

Naturalmente era il miglior partito della provincia e le ragazze lo corteggiavano sfacciatamente.

A trent’anni andava alla riunione della Confindustria provinciale, dove era stato eletto presidente dei giovani industriali guidando la sua Ferrari nera regalo di nozze del nonno che stravedeva per quel nipote così simile a lui.

A trentacinque anni la sua Fiammetta le aveva già dato una figlia femmina, Aurora, di 5 anni e l’erede maschio, Angelo, di 3.

Insomma un giovane di sicuro successo bello, bravo e persino, stranamente, buono.

Grande fu la perplessità nella riunione generale del CIM quando si trattò di valutare la richiesta, giunta telefonicamente, di una visita da parte di Ilario Cermetti.

In primo luogo, per il pregiudizio secondo il quale i benestanti non hanno problemi, alla faccia del vecchio adagio secondo cui i soldi non danno la felicità, ma soprattutto perché era strano che uno come lui si rivolgesse al servizio pubblico.

Maria, da incallita comunista, sosteneva che occuparsi di lui equivaleva a togliere le poche risorse del servizio dalle necessità dei disgraziati per dirottarle sui ricchi, era una vergogna da evitare.

Irati, senza staccare lo sguardo dalle gambe accavallate di Maria, che gli stava di fronte, assecondava la sua posizione per convenienza: perché non si era rivolto direttamente a lui un così prezioso cliente?

Quando si sfioravano temi politici il tono si scaldava immediatamente ma i conflitti, pur vestendosi di ideologia, erano soprattutto personali. Irati non perdonava a Maria, detta Gilda, di non aver mai ceduto alla sua corte che riteneva irresistibile, viceversa lei non perdonava al medico di aver proposto al fratello Dante una psicoterapia privata invece che al servizio.

Luisa che aveva ricevuto la telefonata della signora Fiammetta disse che l’aveva sentita molto allarmata e non c’era, a suo avviso, tempo da perdere.

Biagioli, nel tentativo democristiano di riportare la pace mediando le posizioni, disse che era da considerarsi un segno molto positivo perché evidentemente il servizio godeva di una buona fama e lo stigma rispetto alla malattia mentale stava diminuendo.

Silvia Ciari, una delle poche persone che invecchiando era diventata sempre più di sinistra uscendo ormai dall’arco parlamentare, disse che poteva andare in pensione soddisfatta: da sempre aveva sognato il momento in cui, nella sala d’attesa del CIM, sarebbero stati seduti fianco a fianco gli psicotici sperduti e puzzolenti e i maggiorenti della città. Biagioli però sapeva che il peggio doveva ancora venire e si sentiva come quel contadino, dice un proverbio umbro, che ingoiato un falcetto ha appena rifatto il manico: il problema, per lui,  riguardava l’assegnazione del caso.

Se avesse detto che lo aveva chiamato a casa il direttore generale della ASL, il dottor Ruggero Altamura suo capo quando era stato assunto, per raccomandargli di seguire personalmente la situazione di Cermetti si sarebbe scatenato un putiferio. Favoritismi, raccomandazioni e privilegi erano mal tollerati in un ambiente orientato ideologicamente a sinistra del partito comunista. 

Carlo, inoltre, si vergognava di questa sua familiarità o peggio sudditanza da Altamura considerato un grandissimo traditore della causa psichiatrica cui aveva continuato a togliere risorse da quando sedeva sul trono manageriale.

Luisa Tigli, cogliendo l’imbarazzo del suo Carlo intervenne, sostenendo che essendo stata compagna di scuola di Fiammetta avrebbe potuto  fare lei un primo colloquio e poi, se necessario, coinvolgere un medico. Tutti sapevano chi sarebbe stato. Poi, l’accenno  della dottoressa Ficca al calendario delle ferie invernali, avviò una confusione che risolse ogni imbarazzo.

Fiammetta e Ilario aspettarono in sala d’attesa pazientemente il loro turno.

Lui, dismesso l’abito della sua sicurezza lasciava a lei, preoccupatissima, il resoconto dei fatti.

Da circa un mese Ilario dormiva poco e malissimo nonostante le due compresse di Tavor prescritte dal medico di famiglia, mangiava poco e si mostrava irritabile persino con i figli. 

Non era andato al lavoro per tre giorni, cosa che lei non aveva mai visto neppure quando era con la febbre a 38 gradi.

Con il permesso dei due coniugi Luisa chiamò il dottor Biagioli che prontamente accorse.

Dopo qualche generica rassicurazione sulla non gravità della situazione cercò di raccogliere l’anamnesi recente.

Da tre trimestri il fatturato dell’azienda era in calo e la tredicesima degli operai era stata per il momento congelata per mancanza di liquidità.

Da quasi novanta giorni, dunque, Ilario viveva una situazione di difficoltà economica a lui sconosciuta. La situazione era peggiorata esattamente una settimana prima: il direttore della cassa di risparmio lo aveva avvertito che serviva una garanzia del nonno per ampliare lo scoperto sul conto, che era esaurito. La banca dunque non si fidava più di lui. 

Biagioli rassicurò sul fatto che non ci fosse nulla di psicopatologicamente preoccupante, ma solo una reazione d’ansia ad una contingenza economica sfavorevole. Del resto, tutte le aziende del settore erano in crisi per la concorrenza del colosso cinese. Il problema stava nel fatto, diceva Ilario e questo avrebbe dovuto metterli in allerta, che quello che capitava agli altri non poteva accadere a lui. 

Si diedero appuntamento ad una settimana con una terapia benzodiazepinica più sostanziosa, ma non erano passati che quattro giorni che Fiammetta telefonò allarmata.

Un ulteriore evento aveva peggiorato la situazione: il ragionier Tancredi, contabile dell’azienda e amico fidato di Ilario era letteralmente sparito con la cassa, i libri contabili non si trovavano più.

Insieme a Tancredi mancava all’appello anche Lisetta, la badante ucraina che assisteva il padre del ragioniere che, ai suoi tempi, era stato il fedele braccio destro di Angelo Cermetti ed ora, invecchiando malissimo e in povertà, non riconosceva più il figlio e la faceva nel pannolone.

Fregare Ilario doveva essere sembrato a Tancredi un atto di giustizia. 

L’insonnia era peggiorata e un’ irrequietezza costante lo costringeva a passeggiare tutto il giorno in montagna rinunciando a recarsi in azienda.

Al colloquio Ilario spiegò che non era tanto il danno economico ad angosciarlo, ma il fatto che fosse stato così ingenuo da farsi fregare: di nuovo, ciò che capitava agli altri era inammissibile che avvenisse a lui. Ilario si sentiva smarrito, non capiva quanto gli accadeva intorno, il mondo gli si presentava con sembianze sconosciute, tutto era cambiato, diverso, imprevedibile, si sentiva disorientato, confuso. Più tardi, avrebbe detto che non sapeva più chi fosse e dove fosse. 

Persino gli oggetti gli apparivano diversi e i figli, la casa, familiari ed estranei al tempo stesso.

Pareva quasi che la vecchia realtà fosse gravida di una nuova verità che premeva per nascere: quelle pene erano le doglie del parto.

Non passarono tre giorni che Luisa fu chiamata alle 19, quasi al momento della chiusura dell’ambulatorio, da una Fiammetta in preda all’angoscia che implorava la vecchia compagna di scuola di correre subito da lei perché il marito era definitivamente ammattito e lei era spaventata.

Non era la prima volta che la pronta disponibilità si protraesse per lunghe ore notturne, soprattutto se di turno capitava l’accoppiata Carlo e Luisa. Le malelingue  commentavano acide e forse invidiose quando arrivava il foglio mensile con il resoconto degli orari, ma quella volta era tutto vero. Di nuovo un’ acuta crisi di gelosia, ma in ambiente e con toni completamente diversi da quella di poco tempo prima di  Salvatore e Teresa.

La villa, protetta da un elegante cancello in ferro battuto che scorreva all’arrivo delle vetture identificate con le telecamere, era avvolta nella gelida nebbiolina invernale, bassa nell’immenso giardino con alberi di alto fusto.

Entrambi in vestaglia aspettavano in salotto e Fiammetta venne subito al dunque: Ilario, notando un graffio sulla sua schiena, si era fermamente convinto che avesse un amante e stesse abbandonandolo proprio nel momento della difficoltà. Lui era arrabbiato per il tradimento e lei per la scarsa considerazione nei suoi confronti. 

Entrambi offesi, mantenevano un’ assoluta correttezza formale accendendosi reciprocamente le sigarette e versandosi il whisky appena il bicchiere era vuoto.

Lei si rifiutava di fornire spiegazioni per quel piccolo graffio, lo riteneva umiliante e, soprattutto, inutile.

Recentemente, disse, quando lui si metteva in testa una cosa non c’era modo di togliergliela. Con una procedura piuttosto inconsueta decisero di allentare la tensione dividendo la coppia: Fiammetta e Luisa sarebbero andate a mangiare una pizza fuori e Carlo sarebbe rimasto a parlare con Ilario.

Luisa avvisò il marito dell’imprevisto straordinario e sentì palpabile la perplessità: quella notte anche la gelosia avrebbe fatto gli straordinari. Ornella invece era ad Amalfi per un congresso di pediatria e non necessitava di essere avvisata. Certo, Carlo sperava in una conclusione diversa della serata piuttosto che un dialogo con Ilario Cermetti, sempre più cupamente immerso nei suoi rimuginii.

In verità  in seguito fu contentissimo di come andarono le cose: stava per assistere in diretta a qualcosa che aveva letto tante volte nei libri e che da allora mai più avrebbe dimenticato.

Ad un certo punto, la bella faccia di Ilario devastata dall’angoscia mista a rabbia si distese, ritrovò l’antica sicurezza e quasi un sorriso furbetto. Sembrò gongolarsi in questo nuovo stato per un attimo, Carlo quasi si aspettava che si leccasse soddisfatto i baffi. Poi disse “ho capito!” e si tacque rasserenato. 

Biagioli, non del tutto certo che Ilario si fosse convinto dell’infondatezza dei suoi sospetti verso la devota Fiammetta, indagò l’oggetto di questa rasserenante comprensione. D’improvviso si trovò faccia a faccia con la vera follia, quella che amava tanto.

Ma certo, argomentò Cermetti, come avevo fatto a non pensarci prima? A suo avviso, per affrontare le sfide che il nuovo millennio ormai alle soglie avrebbe posto si doveva selezionare una specie di razza superiore, lui era stato identificato come il possibile capostipite di questa nuova progenie e lo si stava sottoponendo a degli stress-test per valutare la sua capacità di resistenza mentale.

Biagioli era stato incaricato dal Cremlino e dalla Casa Bianca, solidali nel progetto “terzo millennio”, di seguire da vicino l’esperimento e di certificare l’idoneità di Cermetti per il compito a lui destinato. Le difficoltà economiche dell’azienda, il blocco del conto, la fuga di Tancredi con la cassa ed ora anche il presunto tradimento di Fiammetta erano tutti falsi. Non certo di farsi capire spiegò meglio: si trattava di una sorta di Truman Show. Anche Biagioli era al corrente di tutto ma doveva fare la sua parte fingendo ignoranza. Ilario non gliene voleva per questo, anzi, apprezzava la sua professionalità dimostratasi anche in quella circostanza.

Era del resto certo della sua valutazione positiva quando gli stress-test fossero finiti.

Alla successiva riunione di equipe generale Biagioli propose un sommario resoconto dei fatti, a placare la curiosità malevola degli altri operatori e le critiche circa l’opportunità della presa in carico del riccone del paese.

Irati e Gilda su opposte sponde, a sparare su lui e Luisa. Poi, quasi in tono didattico, tentò di dare un senso a quanto accaduto per impostare il successivo intervento terapeutico.

Ilario Cermetti aveva sempre avuto di sé una idea di essere superiore e vincente. 

Queste erano le attese su di lui fin da prima della nascita e i suoi innegabili talenti gli avevano consentito di non deluderle. Ma il poveretto, bisognava incominciare a pensarlo così per poterlo aiutare, aveva vissuto una vita infernale, al di là delle apparenze, condannato com’era ad essere sempre il primo e il migliore. Certo, era narcisista e ciò non era una colpa ma una strada per l’infelicità. 

Dentro di sé coltivava la convinzione che nessuno lo avrebbe amato se avesse deluso le grandiose aspettative, gli altri erano pronti a tradirlo, interessati soltanto alle sue cose ed al suo potere. 

Disse della libertà dei ragazzi che potevano tornare a casa con un 4 sul quaderno invece che sempre necessariamente con 10 e lode.

Immaginò le angosce di quando, fermo ai bordi del campo dove gli altri giocavano a pallone, si accorgeva di uno schizzo di fango sui pantaloncini principe di Galles e sui mocassini splendenti e inadatti a correre.

Tratteggiò, quasi fosse stato presente, serate in macchina in cui cercava di intrufolarsi tra i vestiti della festa scelti dalla candidata di turno al trono dei Cermetti e immaginava i fantasmi di aspiranti suocere che, di là dai finestrini appannati, incoraggiavano le loro figlie a dare il meglio e non lasciarsi sfuggire l’occasione.

Rivalutò le libere pratiche onanistiche sue e degli altri ragazzi normali.

Gli assistenti sociali Giovanni Brugnoli e Silvia Ciari lo misero in guardia verso un revisionismo buonista che dimenticasse quanto i Cermetti avessero accumulato approfittandosi degli operai.

Irati concluse che quello non era un tribunale del popolo che doveva giudicare, ma un CIM che doveva aiutare le anime dolenti. Ora che delirava, Ilario Cermetti apparteneva a questa schiera e tanto bastava per mettercela tutta.

La terapia farmacologica ormai virata sui neurolettici avrebbe continuato a seguirla lui col proposito di ridurla progressivamente all’istaurarsi di una buona relazione terapeutica con la dottoressa Filata, la più stimata psicologa del servizio.

Proprio Maria Filata si raccomandò di tenere il segreto professionale con il massimo riserbo sia per la notorietà del personaggio, sia per la sua tendenza paranoide che avrebbe facilmente fatto saltare la relazione terapeutica.

Giovanni e Silvia, evidentemente irritati, dissero che tale raccomandazione era ovviamente inutile e segno di un trattamento privilegiato, in altri casi non si sarebbe detto nulla.

Il crepitare della ghiaia del cortile sotto le ruote della Panda dell’ufficio del personale che portava le buste paghe segnò la conclusione della riunione.

Biagioli, mentre si dirigeva al bar, fu fermato da Adriano, il sempre sorridente marito di Luisa Tigli che voleva rassicurazioni sul non ripetersi di frequente di nottate intere di servizio, anche se si rendeva conto che il lavoro è lavoro e che, oggi, ad avercelo non ci si può certo lamentare.

Biagioli gli offrì il caffè pensando che anche per le corna tutto dipende da come le si portano.

Una vocina dentro di sé gli disse che avrebbe dovuto smettere ma, da esperto psichiatra, si risolse di non dar retta alle voci, quali che fossero.

Il successo della terapia con Ilario fu suggellato dalla donazione dei locali del magazzino della “Cermetti Sanitari s.r.l.”, adiacenti alla stazione alla ASL, perché vi avviasse le attività il Centro Diurno psichiatrico.

Sarebbe bello poter dire che con la vendita della Ferrari nera furono acquistati tre pulmini per il centro diurno, ma non è vero.

Ilario vive nella sua stupenda villa fra mille agi e gli operai sono a turno in cassa integrazione. E questo, dà motivo di esistere a meravigliosi comunisti sempre arrabbiati come Silvia Ciari, Giovanni e soprattutto Maria detta Gilda, l’unica che non avrebbe bisogno dell’ideologia per esserlo.

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