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La formazione dei tutor a scuola – Come funziona la Peer Education

Vediamo ora alcuni aspetti pratici della Peer Education. La formazione dei futuri tutor viene portata avanti in una serie di incontri abbastanza ravvicinati

Di Redazione

Pubblicato il 30 Set. 2013

Aggiornato il 22 Set. 2018 11:44

Patrizia Mattioli.

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La formazione dei tutor - Come funziona la peer education . - Immagine: © Alexander Raths - Fotolia.comVediamo ora alcuni aspetti pratici della Peer Education. La formazione dei futuri tutor viene portata avanti in una serie di incontri (in genere sei) abbastanza ravvicinati.

Il primo incontro è dedicato alla conoscenza reciproca i partecipanti: sono invitati a presentarsi agli altri, spiegare i motivi che li hanno portati a partecipare al progetto e quali aspettative ripongono in esso. Il conduttore è il primo che si presenta e che espone le proprie motivazioni e il proprio obiettivo. I ragazzi sono in genere spaventati dalla nuova situazione. Accedono al corso di formazione in piccoli gruppi provenienti dalla stessa classe. E’ il conduttore che decide i posti alternando i ragazzi delle diverse sezioni per evitare che si formino piccoli gruppi: è una piccola violenza che però facilità la formazione del gruppo. Le sedie sono disposte ovviamente a circolo, senza barriere, in modo da favorire la comunicazione frontale tra tutti i partecipanti, e l’idea che in questo gruppo lo scambio è alla pari, anche il conduttore si trova nella stessa posizione.

Lo sperimentare la condizione di costrizione nell’ esposizione emotivamente attivante, ma protetta dal trainer e condivisa dai compagni, rappresenta uno dei momenti formativi.

Nel gruppo di formazione che diventa significativo, esperire un certo grado di reciprocità emotiva diversa da quella sperimentata in altro gruppo di riferimento (per esempio nel gruppo-classe), crea un’attribuzione a sé di caratteristiche “altre”, sia da parte dell’individuo che da parte del gruppo, che articolano e sostengono il senso di sé che ne deriva e che può essere riportato all’interno di un altro gruppo (il gruppo-classe appunto) e innescare cambiamenti a cascata, favorendo forme di prevenzione del disagio.

Un altro momento formativo riguarda la costruzione del profilo dell’insegnante, da offrire ai primini. Con l’aiuto dei compagni, i tutor si sforzano di cogliere le caratteristiche degli insegnanti che ritengono più esigenti o difficili da accontentare, cercando di cogliere le loro specificità personali, al di là di se stessi e del rapporto che hanno con quell’insegnante.

In generale il trainer non si pone come colui che trasmette informazioni su ciò che è giusto o meno fare, ma come stimolatore delle potenzialità individuali e di gruppo.

La paura di esporsi, di sbagliare ed essere giudicato e/o emarginato, temi sempre molto presenti in adolescenza, può portare a mostrare poco le proprie specificità e seguire le iniziative e le idee di altri, e a non farsi carico della responsabilità di esprimere il proprio punto di vista, o al contrario ad esprimere punti di vista in oppositività al gruppo o interferire con le attività.

Si cerca di stimolare la presa di responsabilità da parte di ogni partecipante, di sottolineare l’importanza dei singoli apporti, di sostenere le singole iniziative, di promuovere le differenze individuali che sono considerate opportunità e risorse del gruppo piuttosto che limiti o minacce.

I futuri tutor assumono da subito un ruolo attivo e superata la fase di conoscenza reciproca vengono invitati a proporre autonomamente le attività cooperative. Gli vengono offerte alcune indicazioni ma soprattutto sono invitati a fare riferimento alle proprie risorse e alla precedente esperienza da primini. Vengono  divisi in piccoli gruppi che simulano il gruppo tutor che entra in classe e si confrontano sull’attività da proporre.

Questo è un altro momento formativo in cui emergono le difficoltà individuali ad esporsi (ogni proposta personale viene vissuta come inadatta), viene colta l’occasione per relativizzare possibili idee massimali e ribadire l’importanza della condivisione e del monitoraggio costante della relazione. Non ci sono infatti attività giuste o sbagliate, piuttosto attività che vanno calate nella realtà delle singole classi prime che sono tutte diverse.

Si focalizzano poi gli altri elementi del lavoro di peer educator: esporsi su tematiche delicate o imbarazzanti, confrontarsi con la curiosità e le preoccupazioni dei primini, sostenere e gestire l’eventuale indifferenza o boicotaggio, mantenere la gestione della situazione, prendersi il giusto carico di responsabilità.

La fine dei singoli incontri è dedicata alla sintesi e ridefinizione dei contenuti affrontati, così come la fine del corso.

Questo è per grandi linee un gruppo di formazione portato avanti secondo l’ottica post razionalista.

Quello che ne risulta è un gruppo abbastanza omogeneo, in grado di interagire, ma soprattutto di gestire i gruppi classe in maniera piuttosto autonoma, in grado di originare percorsi autonomi per la realizzazione dell’accoglienza.

I feedback, sia dai primini che dai tutor, sono positivi, e lo sono anche da parte degli insegnanti e del Dirigente Scolastico.

Questo ci sostiene nel proseguire in questa direzione.

 

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