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Fenomenologia del giro nel parco

Fenomenologia del giro nel parco: Una mattina ero in auto con un amico psicoterapeuta e mi ha chiamato una mia paziente molto ansiosa.

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 28 Giu. 2013

Fenomenologia del giro nel parco. - Immagine: © Subbotina Anna - Fotolia.comFenomenologia del giro nel parco..Una mattina ero in auto con un amico psicoterapeuta di fresco e mi è squillato il cellulare. Era una mia anziana paziente molto ansiosa, che nei momenti di acuzie del disagio mi chiamava per sfogarsi.

In realtà le telefonate avevano semplicemente una funzione di contenimento, perché lei sapeva che i cambiamenti della terapia farmacologica li decidevamo solo durante i nostri incontri mensili e non al telefono.

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Il copione consisteva nel lasciare giustamente che si lamentasse, nel mostrare un atteggiamento empatico, infondendo un po’ di speranza e rimandando gli approfondimenti del caso all’incontro successivo. Quella mattina la signora era davvero inconsolabile e mi chiedeva in continuazione cosa avrebbe potuto fare per placare la propria angoscia.

Guardi signora, vada a fare un bel giro nel parco. Sì ha capito bene…un giro nel parco.

A queste mie parole pronunciate, lo giuro, senza aggressività (niente a che vedere, per intenderci, con i “vaffa” grilleschi), né menefreghismo, il mio collega psicoterapeuta è trasalito. La sua espressione faceva trasparire un pensiero del tipo “ma come, hai studiato quindici anni medicina, psichiatria e psicoterapia, e mi vieni fuori con un consiglio così, da uomo della strada?”.

Ho abbozzato una pietosa difesa sostenendo che il giro nel parco sarebbe potuto benissimo rientrare nelle attività piacevoli da inserire nella giornata, nell’ambito di una strategia psicoterapeutica cognitivo comportamentale, ma lui ha scosso la testa, infierendo un po’ sul proverbiale cinismo degli psichiatri. Da allora la battuta del giro nel parco è diventata un tormentone, che il mio amico ripete tutte le volte che mi vede parlare al telefono.

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D’altra parte che c’è di male in un bel giro in uno spazio verde? Aria aperta, sole, erba, laghetti con papere, qualcuno che fa jogging, il pensionato che porta a spasso il cane, etc. E tutto gratis!

Anche la letteratura internazionale conferma poi l’importanza dell’attività fisica, in particolare quella outdoor, nella cura dei disturbi ansioso-depressivi (Stanton e Reaburn, 2013).

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Qualche giorno fa avevo del tempo libero e mi sentivo un po’ turbato, così ho calzato le scarpe da ginnastica e mi sono autoprescritto un bel giro nel parco vicino a casa mia, anche per capire se ciò che avevo consigliato, ispirato dal buon senso, potesse in realtà avere una qualche valenza terapeutica.

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Ho iniziato a camminare facendo dei lunghi respiri e cercando il più possibile di concentrarmi sui miei passi, come una volta mi avevano insegnato ad un corso di meditazione. Prima del quarto passo la mia attenzione è stata attirata dai due soggetti che mi venivano incontro, camminando abbracciati, barcollando un po’ e canticchiando. Entrambi di sesso maschile, sui quarant’anni, accento slavo, odore di vodka che si avvertiva da almeno cinque metri. Erano le quattro di un venerdì pomeriggio, orario insolito per una sbronza così clamorosa, a meno che non ci trovassimo in un racconto di Cechov.

Devo stare attento a consigliare il giro nel parco a pazienti con problemi di dipendenza, ho pensato, e ho proseguito verso il laghetto, una grande buca piena d’acqua marroncina, che pullulava di pescatori attrezzatissimi di canne, retini, lenze, galleggianti e esche ai gusti assortiti. Farei certamente meglio ad astenermi da certi giudizi, ma davvero fatico a capire come possa una persona passare il proprio tempo gettando un amo in una pozzanghera di città, per pescare dei poveri pesci prigionieri. Ho intervistato uno degli “sportivi” che mi ha raccontato che vengono usati degli ami speciali non dannosi per il pesce, che poi viene rigettato in acqua. E il sadico gioco ricomincia.

In preda alla tristezza, mi sono spinto verso la zona del laghetto colonizzato dalle papere e dagli anatroccoli, sperando in un effetto pet-therapy, che in realtà non si è fatto attendere. Sono stato assalito da un senso di tenerezza, di compassione e di bontà universale, finchè una vecchietta, evidentemente colpita dalla mia commozione, non ha pensato di raccontarmi la storia delle tartarughe con la testa rossa. Questi simpatici animaletti, che di solito vengono gettati nel lago da cittadini che vogliono sbarazzarsene, sono bestie carnivore che non disdegnano di divorare gli anatroccoli, di fronte alle madri papere impotenti. La signora stessa aveva assistito il giorno prima a un sanguinoso omicidio da parte di una tartaruga (ninja?). I miei occhi sono diventati lucidi e lo stomaco mi si è stretto in una morsa. Mai avrei pensato che il parco potesse serbarmi delle sorprese così crudeli. Mai, lo giuro!

Mi sono congedato frettolosamente dalla signora e ho ripreso il mio giro, sempre cercando di mantenere l’attenzione sul respiro e sui miei passi, ma l’immagine intrusiva dell’anatroccolo trascinato sott’acqua mi perseguitava.

 Per fortuna, pochi metri più in là, ho incontrato un gruppo di “quelli dei cani”, padroni molto orgogliosi di mostrare la propria bestiola, trattata spesso come un figlio, con tanto di vezzeggiativi come “amorino”, “tesorino”, “dolcezza” etc. La mia naturale attenzione per i diversi ed i freak mi ha portato a notare un grande cagnone nero a cui mancava una zampa anteriore. Il padrone, un simpatico balbuziente, l’aveva adottato al canile, scegliendolo proprio per la sua menomazione, che lo rendeva ben poco desiderabile ai più. Pieno di ammirazione per il coraggio e la generosità del padrone, mi sono slanciato verso l’animale per accarezzarlo, senza accorgermi che l’uomo, incespicando nella balbuzie,  stava cercando di dirmi qualcosa. Evidentemente voleva mettermi in guardia rispetto alle reazioni imprevedibili del proprio cane, che al mio avvicinamento ha infatti cercato di staccarmi una gamba, per una probabile legge del contrappasso di Madre Natura.

In preda ai sintomi di un attacco di panico, mi sono allontanato indietreggiando lentamente e nascondendomi dietro una siepe.

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Per calmarmi ho riportato l’attenzione sul respiro addominale, provando tra l’altro feroci sensi di colpa alla vista di un podista settantenne che correva a torso nudo, mostrando un addominale-tartaruga (senza la testa rossa questa volta) degno di Usain Bolt.

Si era fatta decisamente l’ora di rientrare a casa. Sulla via del ritorno sono passato di fronte a un’edicola e le locandine dei giornali locali titolavano “Pensionato scippato in un parco pubblico”.

Il giorno dopo la mia anziana paziente mi ha richiamato, in preda alla solita ansia.

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Signora si sdrai un po’ a letto e non si muova da li, mi raccomando. Vedrà che passa.

Come diceva il maestro Primum non nocere!

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