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Riflessioni sulla crisi della psicoanalisi contemporanea #6

La quinta e ultima piaga della Psicoanalisi contemporanea: l’idealizzazione dell’Istituzione Psicoanalitica.

Di Paolo Azzone

Pubblicato il 16 Mag. 2013

Le cinque piaghe di nostra madre Psicoanalisi: 

La quinta piaga: l’idealizzazione dell’istituzione psicoanalitica.

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L’Idealizzazione dell’istituzione Psicoanalitica: Riflessioni sulla crisi della psicoanalisi contemporanea #6. -Immagine:© Nailia Schwarz - Fotolia.com

Nell’organizzazione psicoanalitica esigenze di appartenenza e di apertura verso nuovi orizzonti sono a lungo convissute fianco a fianco, in precario ma produttivo equilibrio.

La psicoanalisi è una prassi, specificamente una prassi diadica. E’ nello stesso tempo un’esperienza di gruppo, anzi comunitaria. Gli uomini e le donne che esercitano la professione psicoanalitica nell’intimità dei propri studi si incontrano periodicamente in contesti istituzionali: condividono le proprie esperienze cliniche, discutono possibili modelli interpretativi, cercano di formulare delle generalizzazioni teoriche. Una dimensione cruciale dell’istituzione psicoanalitica è l’addestramento e la selezione di nuovi membri del gruppo.

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La psicoanalisi è dunque una comunità professioinale, o meglio un insieme di comunità professionali, il cui numero è in continua crescita. Tutti gli esseri umani, peraltro, vivono esperienze importanti nel contesto di vari gruppi formalizzati, nettamente distinti sia dai gruppi basati sui legami familiari, sia dalle aggregazioni amicali informali.

La partecipazione ad alcuni gruppi istituzionalizzati ha un ruolo chiave nella determinazione dell’identità personale. L’appartenenza a tali gruppi comporta la condivisione di convinzioni fondamentali sulla natura dell’uomo e di valori etici. Ciò vale ad esempio per le chiese, le organizzazioni politiche, i movimenti sociali e, attualmente, la psicoanalisi.

Freud ha contribuito in modo decisivo alla nostra comprensione dei fenomeni sociali, ma non si interessò del funzionamento dei gruppi in una prospettiva clinica. Negli anni ’40 i fenomeni gruppali furono oggetto di indagini autenticamente psicanalitiche da parte di Siegfried Foulkes (1978). Dobbiamo a Wilfred Bion (1961) una geniale e pionieristica teorizzazione delle modalità inconsce di funzionamento dei gruppi. Da queste radici è nato l’attuale movimento gruppo analitico, attivo e multiforme.

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Tuttavia, resta un dato di fatto che la nascita e lo sviluppo dell’istituzione psicoanalitica sono avvenuti al di fuori di qualsiasi consapevolezza delle forze inconsce che plasmano e condizionano i gruppi ed i fenomeni sociali. La psicoanalisi come istituzione si è sviluppata sotto l’azione delle stesse forze inconsce ed obbedendo alle stesse regole di funzionamento che sono attive implicitamente in qualsiasi gruppo sociale. Tra tali forze e regole richiameremo qui quelle che esercitano l’impatto più evidente sulle caratteristiche e sul funzionamento attuale del movimento psicoanalitico.

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Condivisione di convinzioni su aspetti fondamentali della realtà. Tutti i gruppi umani condividono importanti convinzioni. Un accordo sugli obiettivi fondamentali della vita e sulla rappresentazione di sé e degli altri è apparentemente un prerequisito della stabilità e della coesione di un gruppo. I bambini si fidano degli insegnamenti dei genitori sulla vita e sulla natura degli esseri umani, finché l’adolescenza non li spinge ad allentare i propri legami con la famiglia. E la ribellione contro la visione del mondo dei genitori è spesso il primo stadio di tale processo di separazione. Il ruolo cruciale svolto da una fede comune nelle organizzazioni religiose e politiche è del tutto evidente.

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Nell’organizzazione psicoanalitica esigenze di appartenenza e di apertura verso nuovi orizzonti sono a lungo convissute fianco a fianco, in precario ma produttivo equilibrio. Scuole lontane tra loro come la psicologia dell’Io e l’approccio kleiniano si sono sviluppate e sono cresciute l’una accanto all’altra. Nella seconda metà del XX secolo il movimento psicoanalitico è stato ripetutamente scosso dalla comparsa di nuove idee, nuove tecniche terapeutiche, e dall’estensione del trattamento psicoanalitico ad un numero crescente di condizioni cliniche e di fenomeni culturali.

Tuttavia, se riflettiamo su questi processi di rinnovamento in una prospettiva storica, siamo costretti ad attenuare il nostro ottimismo. E’ evidente ad ogni osservatore che il settore sta diventando meno fecondo. Il conformismo e i bisogni simbiotici che inducono ad evitare conflitti all’interno dell’organizzazione contribuiscono senza dubbio a questo fenomeno. Questa problematica dovrebbe essere oggetto di una maggiore attenzione da parte di tutti coloro che sono interessati al destino della psicoanalisi.

Confini. Le comunità hanno confini. Le comunità politiche – nazioni, stati città – hanno confini geografici e amministrativi. Anche le comunità ideologiche, filantropiche o religiose hanno dei confini.

La partecipazione alla vita del gruppo è condizionata da regole di ammissione. Tali regole vengono variamente motivate. Nelle comunità professionali il principale requisito di ammissione è in genere l’accertamento di determinate conoscenze e capacità. Anche nelle organizzazioni psicoanalitiche la competenza professionale è considerata un fattore decisivo nei processi selettivi.

Tuttavia, la psicologia sociale ci insegna che la restrizione all’accesso è una regola comune a tutti i gruppi umani, o quasi. Nelle società tradizionali l’accesso a determinate classi di età così come a determinati ruoli sociali, è ritualizzato ed implica spesso il superamento di determinate prove di accesso (Van Gennep, 1909).

Di fatto, quanto più un gruppo è coeso, quanto più l’appartenenze al gruppo è concepita come centrale rispetto all’identità individuale e ai valori personali del membro, tanto più l’ammissione alla comunità è condizionata al superamento di prove impegnative, o all’offerta o alla rinuncia a qualcosa di prezioso sul piano personale o sociale.

L’ordinazione sacerdotale implica la disponibilità a rinunciare completamente alla vita sessuale. L’appartenenza a molti gruppi religiosi, ma anche politici, implica la rinuncia ad una parte consistente del proprio reddito a favore del movimento. La condivisione di stili di vita o credenze comunemente ritenuti inaccettabili o disprezzati è una componente importante in molti gruppi religiosi minoritari, e promuove sia la coesione interna al gruppo che l’isolamento dalla società esterna.

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L’ammissione alla comunità psicoanalitica, sia essa l’ortodossa IPA o una delle molteplici scuole attualmente attive, implica sempre una esperienza psicoanalitica personale lunga ed intensiva con un membro esperto dell’organizzazione. I criteri formalizzati per l’ammissione dei candidati prevedono l’accertamento delle capacità professionali e delle qualità umane del candidato, quindi dei risultati attesi dal trattamento psicoanalitico, non una valutazione del processo di trattamento.

Tuttavia, il legame strutturale tra l’analista didatta e l’elite dell’organizzazione psicoanalitica di riferimento è evidente ed insito nelle regole di ammissione. Di conseguenza la selezione dei candidati non è e non potrebbe essere indipendente dalla forma assunta dal transfert nel corso dell’analisi didattica.

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Ciò significa che involontariamente ma inevitabilmente le istituzioni psicoanalitiche tendono ad ammettere candidati che producono transfert idealizzanti o comunque prevalentemente positivi. Strutture di personalità più ambivalenti, competitive o aggressive mantengono sempre una componente di ambivalenza verso l’oggetto di transfert, anche quando analizzate a fondo.

Di fatto, i criteri convenzionali di selezione dei candidati favoriscono strutture di personalità dipendenti o inclini all’idealizzazione. L’elaborazione di tali tratti di personalità oblativi tramite il lavoro interpretativo risulta ostacolato, perché viene inconsciamente percepito dal candidato come una minaccia alla propria crescita professionale e personale, che lo espone al rischio di essere respinto e rifiutato dalla comunità professionale a cui egli attribuisce valenze parentali. 

Dobbiamo essere consapevoli che le procedure di selezione attualmente adottate dalla maggioranza delle istituzioni psicoanalitiche influenzano e condizionano in maniera rilevante le strutture di personalità prevalenti tra i membri. L’aggregazione di professionisti complianti e conformisti è di conseguenza più agevole e quantitativamente maggioritaria. Il legame tra analisi personale e training è deleterio e tende attualmente a conferire alle istituzioni psicoanalitiche il carattere di gruppi altamente coesi, in cui il conflitto è temuto e le risorse disponibili per i processi creativi sono insufficienti.

Scissione. La scissione consente all’individuo di liberarsi dalle componenti temute o disturbanti della personalità o degli oggetti d’amore, che possono quindi essere proiettate su rappresentazioni d’oggetto esterne al nucleo centrale del sé. Nei gruppi la scissione consente ai membri del gruppo di proteggere l’immagine idealizzata del gruppo e di percepire l’ostilità, l’aggressività, l’invidia ed ogni sorta di ostacolo alla vita ed allo sviluppo, come provenienti da oggetti esterni al gruppo.

La scissione è attiva in ogni gruppo umano: dalle bande di bambini ai tifosi di una squadra di calcio, dalle scuole filosofiche alle nazioni. Le conseguenze di fenomeni incontrollati di scissione e proiezione sono tragiche e rappresentano probabilmente la più pericolosa forza motivazionale all’origine della guerra, e di altre forme di uccisione di esseri umani.

Nella vita sociale degli psicoanalisti non vediamo alcun pericolo di violenza. Ma processi di scissione incontrollati ed in gran parte inconsci creano danni sostanziali anche nel nostro settore. La maggior parte delle istituzioni psicoanalitiche lodano il dialogo: con i neuroscenziati, i terapeuti cognitivi, i registi, i leader religiosi. Ma quando si tratta di membri di organizzazioni psicoanalitiche concorrenti, non è tollerato alcun contatto significativo. Un veto particolarmente severo li esclude dalla discussione clinica di casi psicoanalitici.

In molti gruppi formalizzati sono attive analoghe regole di esclusione: dalle sette religiose ai partiti politici con forti valenze ideologiche. Tali veti hanno evidentemente e la funzione di proteggere il nucleo centrale della vita del gruppo dal conflitto e dall’ostilità proveniente dall’esterno. Ma il danno per lo sviluppo intellettuale delle organizzazioni psicoanalitiche è molto serio.

L’interazione dialettica con punti di vista diversi, anche contrastanti, è vitale per le organizzazioni scientifiche. E’ un prerequisito del progresso intellettuale. L’esclusione dal dibattito scientifico di contributi significativi realizzati da ricercatori o clinici non appartenenti all’organizzazione implica la perdita di ingredienti fondamentali per una comprensione più profonda della vita mentale inconscia.

Freud riteneva che l’obiettivo ultimo della psicoanalisi fosse la ricerca della verità, la verità rispetto alla vita mentale dell’uomo. Egli insegnò ai propri allievi che essi potevano procedere verso tale obiettivo nella misura in cui potevano accettare la verità su se stessi, sulla propria vita interiore. E’ tempo di sviluppare ulteriormente il mandato freudiano: di promuovere una maggiore consapevolezza delle forze inconsce che plasmano ed orientano la nostra vita professionale a livello gruppale.

L’incapacità di svolgere tale compito, di cui siamo oggi testimoni, restringe la creatività delle organizzazioni psicoanalitiche ed incoraggia atteggiamenti oblativi e conformismo. Il futuro della psicoanalisi come autentica impresa scientifica, rivolta a raggiungere conoscenze originali e sempre più profonde sulla natura della mente umana, dipenderà dalla disponibilità delle istituzioni psicoanalitiche a confrontarsi in modo genuino ed autentico con la propria vita sociale inconscia.  

 

MONOGRAFIA SULLA CRISI DELLA PSICOANALISI: 

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Psichiatra, Psicoterapeuta, Psicoanalista

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