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Il Partito Democratico tra narcisismo e dissociazione

Il problema è che qualcuno decide, da sinistra, chi è di sinistra. Pretesa narcisistica. Salvo poi dissociarsi e cambiare idea. Psicologia & Politica

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 05 Nov. 2014

Il problema è che qualcuno decide, da sinistra, chi è di sinistra. Pretesa narcisistica. Salvo poi dissociarsi e cambiare idea.

Unire psicologia e divulgazione non è facile. È stata questa l’ambizione di State of Mind fin dall’inizio, e speriamo di esserci riusciti. Abbiamo tentato sempre di parlare di argomenti di interesse comune e di legarli a dati scientifici solidi. Qualche volta abbiamo parlato di costumi sociali, qualche altra volta di fatti di cronaca, altre volte ancora di eventi artistici. Raramente di eventi politici.

In questi giorni un collega aveva lanciato l’idea di tentare di scrivere qualcosa sulle afflizioni e i tormenti del partito democratico, ma l’entusiasmo non ha infiammato la redazione. Il rischio di banalizzare eventi storici e politici complessi e la difficoltà di mantenere una posizione imparziale in un campo che è invece dominato dalla passione delle fazioni non invitano i redattori a esporsi. Sta di fatto che il suggerimento si estinse.

Però qualche giorno dopo mi cade l’occhio su una dichiarazione di Matteo Renzi. E leggendola penso che forse essa è in grado di ispirarmi un commento (spero) non banale, in termini psicologici. Nelle furibonde polemiche sull’articolo 18 Renzi ha dichiarato che questo articolo

[blockquote style=”1″]è una regola degli anni Settanta che la sinistra allora non aveva nemmeno votato[/blockquote]

 

Possibile? L’articolo 18 non votato dalla sinistra? E allora da chi?

Beh, sappiamo che l’articolo 18 fu votato dai partiti di governo di allora. Ovvero, se non erro, da uno dei tanti governi all’epoca presieduti da Mariano Rumor e sostenuto da una coalizione politica costituita dalla Democrazia Cristiana (DC), dal Partito Repubblicano Italiano (PRI), dal Partito Socialista Unitario (PSU) e dal Partito Socialista Italiano (PSI) (Link). Quel governo approvò l’articolo 18 nell’ambito dello statuto dei lavoratori, legge 20 maggio 1970, n. 300, “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”. Il Partito Comunista Italiano (PCI), in quanto partito di opposizione, si astenne.

 

Rumor, DC, PSI, PRI. Ma anche PCI. Nomi e sigle di un lontano passato, non so quanto comprensibile ai giovani di oggi. E poi quel PSU, che pochi possono ricordare. Era il nome che all’epoca aveva il PSDI, il Partito Socialista Democratico Italiano. Ma temo che anche questa sigla, PSDI, dica poco ai più giovani. Nomi inghiottiti dal tempo, a me però familiari sebbene all’epoca fossi minorenne, perché i miei genitori, come molti genitori di allora appassionati e impegnati di e in politica, parlavano precocemente e frequentemente di politica con i figli. Un’altra epoca, in cui tutto era impregnato, troppo impregnato, di passione e di ossessione politica.

 

Ma torniamo all’articolo 18. Il PCI si astenne, essendo all’opposizione. Però al governo c’erano il PSI e il PSU. PSI e PSU erano entrambi partiti socialisti, sia pure divisi dalla diversa posizione verso Marx: il PSU lo aveva pienamente ripudiato, mentre il PSI manteneva una posizione più ambigua. Né piena adesione al marxismo come il PCI, né ripudio come il PSU.

E già qui temo che il lettore si sia confuso e annoiato di queste cose passatissime e si chieda: due partiti socialisti? Che casino. E che c’entra tutto questo con la psicologia? La tentazione di deporre la penna (ancora il passato; in realtà dovrei spegnere il computer) fa capolino. Chi me lo fa fare di scrivere di politica? Oppure no. Forse tutta questa confusione merita anche uno sguardo psicologico.

Si potrebbe dire allora che non è vero, che Renzi si sbaglia, che la sinistra votò l’articolo 18. Lo votarono PSI e PSU, i due partiti socialisti. Dunque Renzi confuso e ignorante? Non so. Io ci andrei cauto nel deridere Renzi. Renzi è un frutto della sinistra cattolica, proviene da una forte tradizione politica toscana che risale a Giorgio La Pira (1904-1977), sindaco di Firenze e poi terziario francescano. Basti pensare che Renzi si è laureato in giurisprudenza con la tesi “Firenze 1951-1956: la prima esperienza di Giorgio La Pira Sindaco di Firenze”.

 

Con i cattolici di sinistra occorre sempre stare attenti

Sembrano bonari e innocui. Non assumono mai pose ieratiche alla Berlinguer e men che meno esprimono la iattanza di un D’Alema. È facile sottovalutarli. A differenza dei progressisti di provenienza comunista, non si atteggiano a intellettuali e non nutrono le alterigie o la stizzosità narcisistiche di coloro che ritengono di aver capito come cambiare il mondo dopo aver letto da giovani il Capitale di Marx. Questi cattolici di sinistra, essendo sgobboni, il Capitale lo hanno letto anche loro, insieme a molti altri libri che però si guardano bene dal citare, per non sembrare saputi. Sono maestri della conquista del consenso politico. Così è che governano da decenni, dapprima sotto il nome di democrazia cristiana e poi sotto il nome di partito democratico, con Prodi e ora con Renzi. Ed è così che non hanno fatto la fine di Occhetto e D’Alema: reprimendo con freddezza ogni narcisismo sussiegoso.

Ma dov’è la psicologia? Adesso arriva. Temo che Renzi, più che essere confuso, abbia creato volutamente confusione alla sua sinistra, al fine di scompaginarne ulteriormente le fila già sbandate. Dicendo che la sinistra non votò l’articolo 18 ha messo il dito su una piaga, anzi su due piaghe che torturano la sinistra italiana fin dalla fine della seconda guerra mondiale: la piaga della narcisismo e quella della dissociazione.

Narcisismo

La piaga narcisistica consiste nel fatto che il partito comunista, nel 1970 ancora affascinato da un’orgogliosa e auto-referenziale ideologia rivoluzionaria di assoluta opposizione a qualunque sviluppo politico occidentale, finiva per respingere -o almeno per non votare- anche le iniziative politiche più progressiste e sostanzialmente di sinistra, bollandole come truffe ai danni della classe lavoratrice. Come l’articolo 18 nel 1970. In questa logica i partiti democratici, socialdemocratici o laburisti tedeschi, scandinavi e dei paesi anglo-sassoni erano etichettati come partiti non di sinistra (incredibile, no?), falsi progressisti in realtà servi del capitale.

La conseguenza, paradossale ma reale non solo in Italia ma anche in altri paesi latini, è che le riforme a favore dei lavoratori le facevano i partiti non di sinistra ma di centro allora al governo: democristiani in Italia, gollisti e liberali in Francia. La sinistra comunista era confinata all’opposizione, sognando la rivoluzione e finendo per non votare le leggi a favore dello stato sociale. Come l’articolo 18.

Nei paesi nordici, invece, i partiti di sinistra, avendo smesso da tempo di sognare la rivoluzione, facevano il loro mestiere, ovvero costruivano lo stato sociale. In Germania per esempio fin dal 1959, anno della svolta di Bad Godesberg in cui Marx fu ripudiato. E non riesco a immaginare nulla di più narcisistico di un partito all’opposizione che sdegnosamente decide di togliere la patente di partiti di sinistra ai gloriosi partiti socialdemocratici scandinavi e tedeschi che governando costruivano lo stato sociale nei loro paesi. Narcisismo.

Dissociazione

La seconda piaga è dissociativa, e consiste in quel citare quel partito socialista li, al governo, come esempio da rinfacciare a Renzi per dimostrargli che la sinistra aveva votato a favore dell’articolo 18. Ora, sappiamo che, secondo una certa vulgata, il partito socialista avrebbe misteriosamente smesso di essere di sinistra negli anni ’80. Di qui la confusione, anzi la dissociazione: i socialisti sono o non sono di sinistra? Boh. Nel migliore dei casi, dipende dalle convenienza polemica del momento. Se si tratta di dare dell’ignorante a Renzi, i socialisti sono di sinistra. In altri casi, i socialisti non lo sono più. Senza contare che la precedente rimozione dei socialisti dalla sinistra costringe comunque a una riabilitazione a posteriori che confonde i più giovani. E poi ci sono quelli che forse non sanno nemmeno più che in Italia un tempo c’era un partito socialista. Insomma, sembra di parlare di guelfi e ghibellini. In questa nebbia sopravvive solo il termine anodino di “sinistra”, col risultato che tutti hanno ragione: la sinistra votò e non votò l’articolo 18. Possibilissimo, dato che Berlinguer diceva che il PCI era un partito di lotta e di governo. E così la confusione aumenta.

Però è vero che negli anni ’70 i socialisti quando votarono a favore dell’articolo 18 erano considerati ancora di sinistra. O almeno così avevano deciso quelli che erano più a sinistra di tutti. Se fosse così, non ci sarebbe dissociazione.

O quasi di sinistra. O forse no, già negli anni ’70 non erano più considerati di sinistra. Chi era nelle fila della sinistra italiana prima ancora degli anni ’80 sa bene che la lenta espulsione ideologica del partito socialista dalla sinistra iniziò fin da quando questo partito entrò, negli anni ’60, nel governo a costituire i cosiddetti governi di centro-sinistra. Governi democristiani e socialisti, dunque, che attuarono riforme socialdemocratiche, ovvero le riforme del welfare tipiche degli anni ’60 in tutto l’occidente, anni in cui perfino in USA ci si lanciò nel grande esperimento quasi-socialdemocratico della “Great Society” merito del presidente Lyndon B. Johnson (altro interessante caso di politico progressista ideologicamente “espulso” dalla sinistra).

Un momento. Abbiamo detto: riforme socialdemocratiche? Ovvero proprio le riforme bollate come falsa sinistra dall’intero gruppo dirigente comunista italiano? Come si vede, l’espulsione del PSI dalla sinistra era già iniziata.

E il problema è sempre quello: che qualcuno decide, da sinistra, chi è di sinistra. Pretesa narcisistica. Salvo poi dissociarsi e cambiare idea. Tra narcisismo e dissociazione c’è di che perdere la testa.

Forse è meglio non scrivere articoli di politica.

 

Sul narcisismo consigliamo “Metacognizione e psicopatologia: Valutazione e trattamento“ di Giancarlo Dimaggio e Paul Lysaker, sulla dissociazione “Sviluppi Traumatici” di Gianni Liotti e Benedetto Farina (2011)

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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