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Le caratteristiche della depersonalizzazione secondo la CBT

Nonostante l’elevata prevalenza della depersonalizzazione, la sua fenomenologia e la sua eziologia sono ancora poco conosciute

Di Micol Agradi

Pubblicato il 03 Apr. 2023

Lo studio di Quigley e colleghi (2022) ha lo scopo di approfondire la fenomenologia della depersonalizzazione e i fattori di vulnerabilità ad essa correlati in ottica cognitivo-comportamentale. I sintomi della depersonalizzazione risultano associati a maggiori livelli di autoconsapevolezza, sensibilità all’ansia, controllo dei pensieri, rimuginio, emozioni negative, alessitimia e scarso senso di sé.

Cos’è la depersonalizzazione

 Con depersonalizzazione si intende l’esperienza soggettiva di distacco o irrealtà del sè (APA, 2013). È spesso accompagnata dalla derealizzazione, ossia da un senso di alienazione o irrealtà rispetto al mondo esterno. Queste esperienze si presentano lungo un continuum in cui un estremo è caratterizzato da episodi transitori, riscontrabili sia nella popolazione clinica sia in quella generale, e l’altro estremo è caratterizzato da un’esperienza cronica segnata da disagio significativo. Rispetto a quest’ultimo caso, persistenti e ricorrenti episodi di depersonalizzazione possono essere il sintomo primario di un disturbo da depersonalizzazione e derealizzazione (DDD), che colpisce l’1%-2.4% della popolazione (Hunter et al., 2004). Nonostante l’elevata prevalenza della depersonalizzazione, la sua fenomenologia e la sua eziologia sono ancora poco conosciute. Gli studiosi hanno concettualizzato la depersonalizzazione come una risposta neurobiologica ad estrema ansia, in cui le regioni cerebrali coinvolte nel controllo e nell’inibizione della risposta emotiva, essendo iperattivate, producono i sintomi della depersonalizzazione (Mayer-Gross, 1935; Sierra e Berrios, 1998). Tuttavia, la comprensione del disturbo da depersonalizzazione e derealizzazione rimane ancora poco studiata a livello empirico.

Il modello cognitivo-comportamentale

Anche se nel DSM-5 il disturbo da depersonalizzazione e derealizzazione è classificato nella categoria diagnostica dei disturbi dissociativi, a livello sintomatologico e funzionale condivide maggiori similitudini con i disturbi d’ansia, in particolare col disturbo di panico e con l’ansia da malattia (Hunter et al., 2003). A questo proposito, Hunter e colleghi (2003) hanno sviluppato un modello di concettualizzazione cognitivo-comportamentale del disturbo da depersonalizzazione e derealizzazione che pone al centro del modello l’errata valutazione dei sintomi di depersonalizzazione, esattamente come avviene nel meccanismo alla base del panico (Clark, 1997). Secondo tale modello, gli individui con disturbo da depersonalizzazione e derealizzazione, tendendo ad essere ipervigili e focalizzati sui sintomi della depersonalizzazione, finirebbero per formulare interpretazioni catastrofiche in cui i sintomi sono visti come qualcosa di spaventoso e, così, ad acuirne l’intensità e la durata in un circolo vizioso di ansia e depersonalizzazione.

I fattori di vulnerabilità

Lo scopo dello studio di Ouigley e colleghi (2002) è quello di valutare i possibili fattori di vulnerabilità alla depersonalizzazione sulla base del modello cognitivo-comportamentale di Hunter (et al., 2003), espandere questa concettualizzazione testando le associazioni tra depersonalizzazione e altre rilevanti variabili e, infine, migliorare la comprensione della fenomenologia di questo disturbo. Sulla base di quanto trovato, gli autori enucleano l’esistenza di diverse categorie di fattori di vulnerabilità alla depersonalizzazione: cognitivi, emotivi ed identitari; li vediamo di seguito.

I fattori di vulnerabilità cognitivi

Per fattori di vulnerabilità cognitivi si intendono le seguenti caratteristiche.

  • Alta introspezione e alta concentrazione su di sé e sui propri pensieri, che innescano lo stato di ipervigilianza del paziente focalizzato sui sintomi.
  • Sensibilità all’ansia, che è la paura delle sensazioni dell’ansia e delle loro conseguenze, che potrebbe portare a interpretare sintomi innocui o transitori come minacciosi.
  • Bisogno di controllare i pensieri, per cui i pazienti, valutando i sintomi come minacciosi, possono credere che questi, di natura squisitamente cognitiva, debbano essere controllati (questo aspetto accomunerebbe il disturbo da depersonalizzazione e derealizzazione al disturbo ossessivo-compulsivo).
  • Mancanza di fiducia nelle proprie capacità cognitive, incluse memoria e percezione.
  • Rimuginio, ossia un pensiero negativo ripetitivo sulle valutazioni catastrofiche e i pensieri che fanno da trigger all’ansia e alla depersonalizzazione.

I fattori di vulnerabilità emotivi

Anche se il disturbo da depersonalizzazione e derealizzazione sembra condividere diverse caratteristiche cognitive con i disturbi d’ansia e ossessivo-compulsivo, i suoi aspetti emotivi appaiono distinti da tali diagnosi. Di fatto, i pazienti con disturbo da depersonalizzazione e derealizzazione spesso riportano una soggettiva assenza di emozioni, seppur in presenza di una normale espressione emotiva (Mayer-Gross, 1935; Simeon e Abugel, 2006), e mostrano alti livelli di inibizione emotiva rispetto ai soggetti sani (Medford, 2012). Insieme a questi aspetti di smorzamento emotivo, tali individui si caratterizzerebbero per elevata alessitimia, ossia per una ridotta capacità di riconoscere le emozioni, mostrandosi meno sensibili alle espressioni di rabbia rispetto ai controlli (Montagne et al., 2007). Considerando assieme tutti questi risultati, sembra che il disturbo da depersonalizzazione e derealizzazione sia associato ad alterazioni nella reattività emotiva sia rispetto alle emozioni negative e agli annessi stimoli avversivi, esperiti più frequentemente, sia nei confronti di attività piacevoli e sentimenti positivi, tesi ad essere soppressi (Simeon e Abugel, 2006).

I fattori di vulnerabilità identitari

 La definizione del DSM-5 descrive la depersonalizzazione come un disturbo dell’identità che si presenta sotto forma di una soggettiva esperienza di distacco o alienazione da se stessi (APA, 2013). Spesso i pazienti con disturbo da depersonalizzazione e derealizzazione riportano di avere consapevolezza dei cambiamenti che avvertono nell’esperienza che hanno di sé (Meares e Grose, 1978; Sierra e David, 2011) con frasi come “Non sono la stessa persona di prima” o “Mi sento estraneo a me stesso”. Nonostante la centralità dell’identità, tuttavia, c’è poca ricerca rispetto a come questa dimensione venga effettivamente coinvolta nel disturbo da depersonalizzazione e derealizzazione. In merito, lo studio di Ouigley e colleghi (2022) ha riscontrato una relazione significativa fra depersonalizzazione e mancanza di identità, ma non in termini di identità non consolidata; ciò suggerisce come nella depersonalizzazione esista un assente o ridotto senso di sé piuttosto che un’identità non integrata o mutevole, coerentemente con le confessioni cliniche di perdita di sé sopra riportate.

Conclusioni

Alla luce di questa panoramica è possibile sottolineare l’utilità clinica delle variabili di vulnerabilità alla depersonalizzazione riscontrate da Ouigley (et al., 2022): conoscere le caratteristiche cognitive, emotive e identitarie legate ai sintomi del disturbo da depersonalizzazione e derealizzazione, di fatto, permette una comprensione dettagliata dei fattori di rischio legati all’eziologia e delle caratteristiche sintomatologiche legate alla fenomenologia. Inoltre, comprendere le somiglianze fenotipiche e processuali che la depersonalizzazione condivide con i disturbi d’ansia e ossessivo-compulsivo permette di affinare la concettualizzazione cognitiva-comportamentale di questo disturbo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.).
  • Clark, D. M. (1997). Panic disorder and social phobia. In D. M. Clark & C. G. Fairburn (Eds.), Science and practice of cognitive behaviour therapy (pp. 119– 153). Oxford University Press.
  • Hunter, E. C., Phillips, M. L., Chalder, T., Sierra, M., & David, A. S. (2003). Depersonalisation disorder: A cognitive-behavioural conceptualisation. Behaviour Research and Therapy, 41(12), 1451–1467.
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  • Meares, R., & Grose, D. (1978). On depersonalization in adolescence: A consideration from the viewpoints on habituation and ‘identity’. The British Journal of Medical Psychology, 51(4), 335–342.
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  • Sierra, M., & Berrios, G. E. (1998). Depersonalization: Neurobiological perspectives. Biological Psychiatry, 44(9), 898–908. https://doi.org/10.1016/S0 006-3223(98)00015-8
  • Sierra, M., & David, A. S. (2011). Depersonalization: A selective impairment of self-awareness. Consciousness and cognition, 20(1), 99–108.
  • Simeon, D., & Abugel, J. (2006). Feeling unreal: Depersonalization disorder and the loss of the self. Oxford University Press.
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"Fuori da me"con un linguaggio semplice e scorrevole fornisce un chiaro inquadramento della depersonalizzazione e degli interventi per il suo trattamento.

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