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Disputing dell’ Ansia Generalizzata

Disputing dell' Ansia Generalizzata. Il tratto principale è la presenza di un vecchio amico della psicopatologia cognitiva: il rimuginio.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 26 Nov. 2012

MONOGRAFIA: IL DISPUTING IN PSICOTERAPIA   LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ ANSIA

Disputing dell'Ansia Generalizzata. - Immagine: © masterzphotofo - Fotolia.comDisputing dell’ Ansia Generalizzata. Il tratto principale è la presenza di un vecchio amico della psicopatologia cognitiva: il rimuginio.

Il disputing cognitivo del disturbo d’ ansia generalizzato (GAD) coincide in buona parte con il disputing generale dell’ ansia. Questo dipende dal fatto che il GAD è definito proprio dalla semplice presenza di ansia e preoccupazione eccessiva per almeno sei mesi consecutivi, riguardo a un’ampia quantità di eventi o di attività (come prestazioni lavorative o scolastiche). Sono naturalmente presenti tra i criteri diagnostici gli aspetti fisiologici dell’ ansia come irrequietezza, affaticabilità, difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria, irritabilità, tensione muscolare e alterazioni del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, o sonno inquieto e insoddisfacente). Come si vede, il GAD finisce per identificarsi con l’ ansia.

Non basta. Clinicamente, il tratto principale del GAD è la presenza di un vecchio amico della psicopatologia cognitiva: il worry. Il “worry”, nella letteratura cognitiva, comprende qualcosa in più dell’ ansia persistente, e questo qualcosa in più in italiano lo si può esprimere con il termine rimuginio. Per ora diciamo che l’attesa apprensiva (tensione psichica, preoccupazione) con anticipazione pessimistica di eventi disastrosi per sé o per i propri familiari rappresenta il sintomo cardine del disturbo, a cui si accompagnano segni di tensione fisica, iperattività neurovegetativa e disturbi cognitivi come scarsa concentrazione e facile distraibilità.

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I pazienti affetti da questo disturbo appaiono cronicamente ansiosi ed apprensivi, versano in uno stato di eccessiva preoccupazione per le circostanze quotidiane che comporta una condizione di allarme ed ipervigilanza. Pur in assenza di gravi, ma soprattutto realistiche motivazioni, riferiscono sentimenti di apprensione circa la salute e l’incolumità fisica dei familiari, la situazione finanziaria, le capacità di rendimento lavorativo o scolastico.

LEGGI GLI ARTICOLI SU: GAD – ANSIA GENERALIZZATA

Il soggetto GAD intende conoscere in dettaglio tutte le possibilità negative per evitarle, e in quanto evitante non si ritiene in grado di controllarle, manipolarle e neutralizzarle attivamente. L’intolleranza dell’incertezza è un costrutto cognitivo tipico del GAD. La persona GAD sembra non tollerare l’intrinseca incertezza degli eventi, e ritiene che la possibilità di un esito negativo, sia pur minima, sia in sé insopportabile. In altre parole, solo la certezza assoluta della sicurezza viene ritenuta un criterio accettabile per tranquillizzarsi e l’incertezza dell’esito è di per sé un motivo sufficiente per preoccuparsi.

P. – Il mondo non è pericoloso, però io lo vedo pericoloso nelle piccole cose! Pericoloso neanche poi tanto per le azioni umane, pericoloso perché tutto può capitare da un momento all’altro

T. – Teme forse l’incertezza delle cose?

P. – Esatto!

Il “rimuginio” (“worry”) è un’attività mentale ripetitiva e pervasiva, prevalentemente in forma verbale ed espressione di eccessiva ansia ed apprensione, i cui contenuti consistono, prevalentemente, in previsioni e valutazioni negative. Il tema del controllo è dominante nel contesto del GAD: il soggetto rimuginatore, infatti, è convinto che solo il completo controllo degli eventi, peraltro mai conseguibile, possa consentirgli di evitare il danno irreparabile temuto, motivo per cui è ipervigile verso gli stimoli minacciosi esterni ed interni (Borkovec et al., 1998).

LEGGI GLI ARTICOLI SU: WORRY – RIMUGINIO

 La componente specifica del disputing del GAD sono le credenze che il paziente riferisce per giustificare la sua tendenza all’iperpreoccupazione. Queste credenze sono state distinte da Wells (2000) in convinzioni positive e negative sul rimuginio. Le prime attribuiscono al rimuginio una funzione positiva. Con esse il paziente risponde alla domanda

T.: ma insomma, a che le serve essere così preoccupato/a? A che le serve rimuginare tanto?

sostenendo che rimuginare gli è utile. Nel primo tipo di risposta il paziente sostiene molto semplicemente che rimuginate gli serve a pensare –e quindi ad affrontare e risolvere- i suoi problemi.

P.: Rimuginare mi aiuta a gestire meglio le situazioni. Se mi preoccupo posso evitare che accadano cose terribili. Rimuginare mi aiuta a risolvere i problemi.

La migliore risposta di partenza è quella logica ed empirica. Dal punto di vista logico è chiaro che il paziente confonde il rimuginio, che è il puro continuare a mantenere l’attenzione fissa sui problemi senza però elaborare soluzioni e strategie di gestione, con il pensiero produttivo, che invece elabora strategie. La risposta migliore è chiedere al paziente di chiarire in che senso le sia utile rimuginare. C’è l’idea errata che essere allerta sia protettivo.

T.: Mi spiega il rapporto tra ciò che teme e il suo stato di preoccupazione?

Il paziente potrebbe rispondere che, di fatto, pensare a un problema implica preoccuparsene. Plausibile, ma si può rispondere che però, nel suo caso, c’è solo la preoccupazione senza il pensiero che risolva le situazioni. A questo punto si passa dal logico all’empirico: si incoraggia il paziente a fornire esempi di questa supposta efficacia pratica del rimuginio.

T.: Ma oggettivamente, quali soluzioni le sono venute in mente rimuginando? Ci sono altre circostanze in cui lei previene le cose pensandoci su?

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A questo punto una possibile risposta è di tipo magico, in cui la paziente riferisce che il rimuginio le da un sollievo immediato, una sensazione di “come se”: come se il problema fosse risolto. Qui possono essere utili due interventi: i costi e il contratto terapeutico. I costi, ovvero i danni che il paziente subisce standosene sempre a preoccuparsi.

T.: D’accordo, sul momento, ovvero a breve termine, ha dei benefici. Ma se lei è qui da me vuol dire che tutto questo rimuginare non le dà solo vantaggi. Le da sollievo sul momento, ma a lungo termine cosa le succede?

E così si torna alla domanda pragmatica. A che cosa le serve la preoccupazione?

T.: Ma lei, quando ci pensa tutto il tempo, la aiuta? E quali sono gli svantaggi, i costi di questo stare sempre preoccupato?

In questo modo il paziente può iniziare a prendere in considerazioni i costi del suo rimuginare. Lo spreco di tempo libero, i danni alle relazioni e al rendimento lavorativo.

Una possibile risposta più sensata è il cosiddetto scudo emozionale. Ovvero il paziente riferisce che sa che non gli serve a nulla, ma almeno dal punto di vista emotivo gli serve a soffrire di meno.

P.: Se mi preoccupo soffrirò meno che se fossi preso alla sprovvista

 A pensarci bene questa risposta è simile alla risposta magica. Anche la risposta magica, sia pure in maniera più coperta, riposa in realtà su un vantaggio emotivo: non mi serve a nulla ma mi da una sensazione di sollievo. Tuttavia nella risposta dello scudo emozionale c’è più consapevolezza. Il sollievo non è un fatto scaramantico, ma è frutto di auto-osservazione consapevole. Il/la paziente semplicemente nota che il preoccuparsi da una sensazione illusoria di sollievo. Il percorso del disputing, quindi, è simile al precedente.

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Le risposte negative in teoria dovrebbero aiutare il paziente a smettere. In sé sono dei motivi per comprender la dannosità del rimuginio. Tuttavia, almeno nei pazienti, diventano a loro volta contenuti di pensiero negativo rimuginativo. Il pazienti, insomma, traggono nuove inferenze negative su se stessi.

P.: spreco il mio tempo a rimuginare. Questa è l’ennesima prova di quanto io sia un poveraccio. Un altro a mio posto se ne fregherebbe. Vede che sono pieno di problemi?

Il soggetto coglie la natura psicologica della preoccupazione, ma arriva a una definizione di sé negativa come persona “che si fa impressionare troppo”, “che non riesce a fregarsene”, “che ci pensa troppo” e costruendo una teoria della persona “non psicologicamente debole” come una persona che non ha mai esperienza di episodi di insicurezza, ansia, timore, paura, e così via.

Oppure  il soggetto può preoccuparsi di possibili danni derivati dal rimuginare:

P.: Non ho il controllo del mio rimuginio. Rimuginare è pericoloso.

Ancora peggio:

P.: Potrei non riuscire più a smettere di rimuginare. Potrei essere sopraffatto dalle rimuginazioni

E infine:

P.: Rimuginare può condurre alla follia.

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Le inferenze negative di tipo catastrofico e auto-svalutativo vanno contrastate con un disputing logico ed empirico simile a quello raccomandato nel trattamento del panico. Non vi sono prove empiriche che il preoccuparsi troppo porti a impazzire né che si perda il controllo della propria preoccupazione. Vero è semmai il contrario: il timore della perdita di controllo e la pretesa di controllare il pensiero.

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 Egli esercita il suo controllo attraverso il suo rimuginio, da lui giudicato uno strumento che può concretamente o magicamente influenzare gli eventi ed impedirne la realizzazione catastrofica.

T. – Che succede se perde il controllo?

P. – Panico! Quando sul lavoro abbiamo traslocato e mi hanno fatto mettere tutto nelle scatole e hanno detto “adesso voi le lasciate qui e andate in vacanza”; e quando siamo tornati c’erano tutte le cose in disordine. Per me è stato difficile da digerire. Però questa è la mia fissa anche in casa. Da un lato è molto utile perché altrimenti avremmo il caos. Però è vero che sto male!  se non c’è quella sensazione che in cantina nello scaffale c’è quella cosa lì. Andando avanti così uno vorrebbe controllare il mondo! Voglio sapere come si muove tutta la mia famiglia. In realtà non è vero che nella pratica ragiono così, ma immagino che un po’ ci sia anche questo, e allora vorrei sapere che gli eventi vanno in un certo modo così li controllo.

 

LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI DI STATE OF MIND SU:

GAD – ANSIA GENERALIZZATA WORRY – RIMUGINIO – PSICOTERAPIA COGNITIVA – PANICO

 

LEGGI LA MONOGRAFIA: IL DISPUTING IN PSICOTERAPIA   LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ ANSIA

 

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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