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Terapia Trigenerazionale

La terapia trigeneazionale usa il paradigma del ciclo di vita della famiglia e identifica la coppia come punto di incontro del sistema trigenerazionale.

La terapia familiare nasce nella cultura statunitense degli anni Cinquanta e si sviluppa in due diverse direzioni, una sistemica propria della Scuola di Palo Alto (Bateson, Watzlawick e Jackson) e una più psicodinamica, che oggi chiameremo relazionale, orientata allo studio trigenerazionale della famiglia, con il contributo di pionieri quali Ackerman, Boszormenyi-Nagy, Framo, Bowen, Whitaker. In una posizione intermedia si situa l’approccio strutturale di Salvador Minuchin, che avrà un notevole sviluppo negli anni successivi.

Terapia Trigerenazionale
Vignette a cura di lorenzo Recanatini – Alpes Editore

La terapia familiare in italia

La terapia familiare in italia nasce negli anni ‘60 come ricerca di equilibrio tra la radicalizzazione dell’individualismo, che va affermandosi negli anni ‘60, e la crisi delle vecchie autoritarie forme familiari (con la dissoluzione dei legami di appartenenza, il tramonto dei clan familiari e la crisi del ruolo paterno tradizionale); si oppone, inoltre, all’ottica degli interessi del singolo e valorizza i sentimenti di appartenenza a relazioni affettive protettive; infine, rende più democratica la famiglia difendendone le parti più deboli (malati, donne, bambini), sostenendo, al contempo, una responsabilità paritaria e congiunta dei genitori e la capacità di negoziare tra loro e con i figli.

Mara Selvini Palazzoli importa ed elabora le teorie di sistemiche di Palo Alto (successivamente divenuta la base dell’approccio familiare Sistemico-Strategico) e, nel 1968, fonda la Scuola di Milano. Nello stesso periodo il primo gruppo romano, fondato da Luigi Cancrini, si lega maggiormente alle idee strategiche-strutturali di Haley e Minuchin.

Maurizio Andolfi inizia ad operare con il primo gruppo romano, diretto da Luigi Cancrini, nel 1969, ma se ne distacca nel 1972, quando lascia l’Italia per recarsi negli Stati Uniti. 
In quel periodo Andolfi lavora, approfondendo lo studio e la pratica della terapia familiare, presso l’Ackerman Family Therapy Institute di New York e presso la Child Guidance Clinic di Filadelfia, con la supervisione di Salvador Minuchin e Jay Haley, con i quali si legherà per moltissimi anni, portando il loro pensiero e il loro lavoro clinico in Italia. Viene influenzato inizialmente da Murray Bowen e James Framo e poi, per più di 15 anni, si legherà a Carl Whitaker, conducendo numerosi workshop internazionali insieme a lui. Entra in contatto con Virginia Satir, con cui instaura un rapporto profondo, e alla memoria della quale dedicherà in seguito il suo volume La coppia in crisi. Al suo ritorno dagli Stati Uniti, nel 1975, Maurizio Andolfi fonda e dirige l’Istituto di Terapia Familiare di Via Reno, insegna la terapia familiare insieme a Carmine Saccu, che diventerà il primo didatta dell’Istituto, e a diversi altri colleghi, tra i quali Silvia Soccorsi, Jaja Berardi e Claudio Angelo, che saranno docenti dell’I.T.F. per molti anni. Dalla conclusione di questa esperienza prenderanno vita, nel 1993, due Scuole distinte: l’Accademia di Psicoterapia della Famiglia (approccio Trigenerazionale), diretta da Maurizio Andolfi e la Scuola Romana di Terapia Familiare, diretta da Carmine Saccu (approccio Strutturale-Esperienziale).

Il paradigma del ciclo di vita nel Modello Sistemico Trigenerazionale

Il modello sistemico trigenerazionale utilizza il paradigma del ciclo di vita della famiglia, questo è un modello teorico di riferimento che inquadra lo sviluppo spazio temporale attraverso fasi evolutive prevedibili:

  • separazione dalla FO (famiglia d’origine) e costruzione della coppia
  • nascita dei figli
  • la crescita dei figli fino alla svincolo
  • nido vuoto e ri-investimento nella vita di coppia
  • invecchiamento e separazione della coppia genitoriale per la morte del coniuge

Ogni fase del ciclo di vita richiede precisi compiti evolutivi e presenta una certa stabilità della struttura, mentre nei periodo di transizione la famiglia subisce profonde trasformazioni sia psicologiche che strutturali.

L’utilità del modello del ciclo di vita consiste non tanto nell’identificare la fase in cui si trova la famiglia nel qui ed ora, ma nel poter osservare come viene affrontato il cambiamento e la riorganizzazione da una fase ad un’altra. Infatti la riorganizzazione che la famiglia deve affrontare nel passaggio da una fase evolutiva ad un’altra non è mai un salto nel vuoto, in quanto, secondo il modello trigenerazionale, le generazioni precedenti hanno già affrontato gli stessi passaggi evolutivi e l’hanno fatto secondo modelli ricorrenti di rapporti multigenerazionali che si tramandano nel tempo, da una generazione all’altra.

Il genogramma familiare

Il termine è stato introdotto nella terapia familiare sistemica da Murray Bowen (1913-1990).

Il genogramma familiare è uno speciale albero genealogico che oltre a rappresentare graficamente le relazioni di parentela tra i componenti di una famiglia su almeno tre generazioni, viene completato con la narrazione che il paziente fa delle relazioni tra i soggetti rappresentati.

È uno strumento che serve a mettere in luce le strutture triangolari della famiglia, il loro modo di evolvere e ripetersi nelle generazioni successive; coglie in questo modo alleanze e distanze tra i membri di una famiglia permettendo di comprendere il grado di fusione emotiva o di disintegrazione tra i membri della famiglia. Grazie all’uso di simboli convenzionali già a prima vista il genogramma fornisce informazioni significative sugli eventi del ciclo di vita e gli eventi relazionali che caratterizzano la storia di una famiglia.

Il genogramma è uno strumento fondamentale per il terapeuta sistemico relazionale per strutturare le informazioni raccolte, formulare ipotesi sull’origine del disagio e pianificare il percorso di trattamento. Può essere costruito in seduta sia in un setting individuale che in uno di coppia o familiare.

Durante la costruzione in seduta del genogramma è possibile utilizzare delle domande generiche oppure più mirate all’esplorazione più dettagliata di alcune relazioni, ad esempio: ‘Come descriverebbe la famiglia nella quale è cresciuto?‘ oppure ‘Che rapporti ci sono fra la sua famiglia e suo marito/ sua moglie?‘. Dagley (1984) propone delle domande che stimolano uno sforzo cognitivo attivo, come ‘Quali sono i valori dominanti della sua famiglia d’origine?‘ o ‘Quali regole d’interazione e barriere relazionali della famiglia si sono tramandate da una generazione all’altra?’. Con l’uso di queste domande si rende il paziente partecipe del lavoro d’interpretazione del genogramma e capace di guardare la sua situazione da differenti prospettive.
Lo scopo dell’indagine è quello di avere una descrizione saliente dei modelli di relazione che che si sono maggiormente tramandati da una generazione all’altra, ma anche cogliere ciò che si discosta da evidenti ricorrenze e cominciare a formulare ipotesi.

Molta attenzione deve essere rivolta all’esecuzione del genogramma e, in particolare, alle espressioni del paziente, ai toni e alle parole utilizzate poiché tali dettagli potrebbero costituire degli indizi utili per l’approfondimento di aree significative della sua esperienza. Inoltre durante l’analisi è di fondamentale importanza notare la presenza (o l’assenza) di dettagli e particolari poiché, ad esempio, l’incapacità di ricordare la data di nascita dei genitori oppure, al contrario, la capacità di riportare alla memoria anche quella dei nonni o degli zii, potrebbe rivelare la necessità di eseguire un’indagine accurata del suo rapporto con queste figure.

La coppia: il perno del sistema trigenerazionale

La coppia è il punto di incontro tra i due assi immaginari che costituiscono l’impalcatura del sistema trigenerazionele: l’asse verticale è costituito dal vincolo di filiazione e quello orizzontale è costituito dal vincolo di alleanza (Canevaro, 1999).

Il vincolo di filiazione assicura la trasmissione da una generazione all’altra dei valori affettivi e culturali; grazie a questo vincolo viene anche garantita la sopravvivenza delle persone dopo la morte fisica.

Il vincolo di alleanza invece è quello che si stabilisce tra i membri di una coppia e che si consolida grazie alla formazione di regole proprie che danno vita alla complicità di coppia; delimitando un confine attorno alla coppia, queste vanno ad allentare i vincoli di filiazione di ciascuno con le rispettive famiglie di origine. Con la nascita dei figli si stabilisce un nuovo vincolo di filiazione che lega la nuova generazione alla precedente.

La tensione dinamica tra questi due assi, tra questi due vincoli, è dunque il punto nodale del sistema trigenerazionale. Per questo motivo, secondo il modello trigeneraziobnale, problemi della coppia hanno sempre a che fare con difficoltà nei processi di differenziazione intergenerazionale, cioè con i processi incompiuti di appartenenza e svincolo del singolo dalle famiglie di origine e di conseguenza con la difficoltà a stabilire un nuovo e funzionale vincolo di alleanza a livello di coppia.

Quando si osserva una famiglia o una coppia dal punto di vista del modello trigenerazionale si devono sempre tenere presenti tre piani generazionali – la famiglia di origine dei entrambi i membri della coppia coniugale, la coppia e i figli – e valutare se il bilanciamento tra appartenenza e separazione di ciascun membro dalla sua famiglia di origine permette ai tre piani di rimanere ben distinti; i confini tra le generazioni sono infatti uno dei principali indicatori di buona funzionalità del sistema familiare.
In generale infatti un sistema funzionale e armonico a livello intergenerazionale è quello in cui ciascun individuo compie il ruolo assegnato dal suo momento evolutivo: i figli possono essere figli e non vengono utilizzati nella gestione delle problematiche di coppia o in quelle con la famiglia di origine dei genitori; i valori e le tradizioni di ciascun partner sono una “dote” da condividere con l’altro e non un campo di battaglia sul quale fronteggiano per la supremazia le due famiglie di origine; i partner rimangono all’interno della relazione di coppia sullo stesso piano generazionale, cioè si considerano membri alla pari di un team che funziona grazie alle risorse emotive e psicologiche di ciascuno.

In un’ottica trigenerazionale, quindi, per capire cosa sta succedendo alla coppia in crisi che richiede una consultazione allo psicoterapeuta, è necessario iniziare a esplorare i “piani superiori” del genogramma familiare, di cui la coppia rappresenta uno dei tanti punti nodali del complesso sistema trigenerazionale in cui ciascun individuo è inserito.

L’importanza di appartenere e separarsi nel modello sistemico trigenerazionale

Le dinamiche di appartenenza e separazione dalle proprie famiglie di origine inevitabilmente influenzano la qualità dei legami di coppia (ma non solo) che ciascun individuo stabilisce nel corso della propria vita. Quasi come un moto ondoso, questi due processi, complementari ed ugualmente fondamentali nella strutturazione di un sé differenziato (Bowen, 1979), procedono di pari passo per tutto l’arco della vita di una persona.

Dai processi di appartenenza deriva il prezioso bagaglio fatto di valori, atteggiamenti, consuetudini, tradizioni che impariamo all’interno del contesto familiare e culturale in cui cresciamo; a livello di coppia questo patrimonio, o aspetti di esso, potrà rappresentare per ciascun partner un valore, una ricchezza, una vera e propria dote o, al contrario, essere percepito come un disvalore, un’intrusione dalla quale prendere distanza o addirittura difendersi.

La separazione invece è il processo, a volte doloroso ma sempre necessario, che permette a ciascuno la costruzione dell’identità individuale. La separazione è un processo complesso e per nulla scontato, che può durare gran parte della la vita, a volte senza mai essere portato a termine (Andolfi, Angelo 1987). Secondo Williamson (1982) la “posizione Io” verrebbe raggiunta solo in età adulta, verso i 35-40 anni, grazie al superamento dell’ “intimidazione intergenerazionale”, cioè quella forma di dipendenza per cui un individuo, seppur adulto, continua a percepire i propri genitori come perfetti e onnipotenti nelle loro aspettative verso di lui; chi non vi giunge rimane intrappolato nella posizione di figlio senza riuscire a vivere i rapporti con i genitori ponendosi sul loro stesso piano generazionale, da adulto ad adulto insomma.

Se immaginiamo appartenenza e separazione come due piatti di una bilancia, potremmo dire che chi rimane cronicamente nella posizione di figlio è colui che si sente tanto gravato dal peso delle appartenenze (e delle aspettative) familiari, da non riuscire ad affrancarvisi.

Sul versante, solo apparentemente, opposto vengono invece a trovarsi coloro che hanno messo una distanza emotiva, e spesso anche fisica, tra sé e i propri vincoli familiari. La principale espressione di questo “taglio emotivo” (Bowen, 1979; Andolfi, 2003) è la negazione dell’intimità e dell’attaccamento non risolto ai genitori. In questi casi la bilancia pende tutta dal lato della separazione che, ben lungi dal considerarsi parte di un processo di differenziazione del sé, è una vera e propria frattura nei processi di appartenenza, prematura e traumatica.

Il risultato è la mancanza di modelli a cui appartenere e dai quali separarsi; non potendosi differenziare – come ci si separa da qualcosa alla quale non si appartiene? – si è costretti a una pseudoindividuazione, cioè a un’indipendenza fittizia, in cui il vuoto relazionale spinge alla ricerca di legami compensatori, tanto necessari quanto temuti; il cutoff emotivo verrà però nuovamente utilizzato per controllare il proprio coinvolgimento emotivo nella relazione con il partner.

La triangolazione come meccanismo di trasmissione intergenerazionale del disagio psichico ed emotivo

Il grado di differenziazione del sé è uno dei concetti cardine della teoria di Bowen (1979) e definisce la possibilità di ciascun individuo di differenziarsi rispetto alla massa indifferenziata dell’io familiare, un identità emotiva conglomerata il cui grado di intensità determina il livello di coinvolgimento di tutti i membri della famiglia e le possibilità di svincolo e differenziazione di ciascuno.

La maggior parte delle persone si colloca a livelli intermedi della scala di differenziazione del sé, in cui la dipendenza dall’altro definisce gradi maggiori o minori di investimento e soddisfazione in aree di realizzazione personale, professionale, relazionale, e diversi livelli di rigidità, dogmatismo, conformismo, rigidità emotiva, isolamento, conflittualità e anche malattia fisica.

Ma come funzionano dunque le relazioni all’interno della massa dell’io della famiglia nucleare? Come viene gestita la tensione derivante dalla fusione dell’io tra i membri della famiglia?

I meccanismi sono principalmente tre: il conflitto coniugale, la disfunzione di un coniuge e la trasmissione di un problema a uno dei figli.

Le configurazioni che deriveranno dalla messa in atto di uno o più di questi meccanismi preserveranno il funzionamento di alcuni componenti della famiglia a scapito di altri: il conflitto coniugale può, per esempio, mantenere il problema confinato alla generazione dei genitori senza incidere sui figli e il fatto che ci siano famiglie dove i figli di relazioni coniugali conflittuali non sviluppano problemi è prova del fatto che questo non necessariamente danneggia la generazione successiva. Anche la presenza di un genitore malato cronico può costituire una protezione per seri danni nei figli.

La triangolazione, cioè la trasmissione del problema ai figli, è uno dei meccanismi più frequenti che la massa dell’io familiare mette in atto per gestire la tensione. La triangolazione si verifica quando l’aumento della tensione relazionale tra i coniugi viene gestito e contenuto coinvolgendo uno dei figli: questa alleanza con “un altro più vulnerabile” mira alla costruzione di una relazione più stabile. La triangolazione, dispiegandosi da una generazione all’altra, rende sempre più difficile il processo di individuazione dei singoli membri della famiglia, fino ad arrivare ai casi estremi di simbiosi familiare in cui la non differenziazione del sé di ciascuno è massima. Secondo Bowen è un tipo di coazione a ripetere applicata alle generazioni, in cui ogni generazione fa ricadere la sofferenza su quella successiva (Hoffman, 1984).

L’aspetto patologico della triangolazione intergenerazionale risiede nel fatto che le risorse psicologiche ed emotive del bambino vengono utilizzate per regolare il conflitto tra adulti, a scapito dei suoi bisogni evolutivi, che per venire accolti e soddisfatti necessitano della sintonizzazione affettiva da parte degli adulti. In questo modo si realizza un processo di delega che, di generazione in generazione, perpetua la richiesta di soddisfacimento di bisogni originari rimasti inappagati.

Inoltre la posizione di funzionamento del bambino all’interno del triangolo inevitabilmente condizionerà il suo modo di pensare, sentire e agire, modellando qualitativamente il suo senso di identità e appartenenza e di conseguenza le possibilità di differenziazione dalla famiglia di origine.

Le relazioni triangolari definiranno anche la partecipazioni ad altre esperienze triangolari con gli altri sottosistemi familiari (ad esempio quello dei fratelli o in generale con la famiglia allargata) e con il sistema amicale e professionale. La non differenziazione dalla famiglia di origine porterà, in un momento successivo del ciclo di vita dell’individuo, a uno spostamento sul partner della richiesta di soddisfacimento dei bisogni rimasti inappagati; quando questa richiesta di appagamento, inevitabilmente, fallirà l’ansia spingerà nuovamente alla ricerca di un alleanza con i figli.

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