Il Disturbo da accumulo (Hoarding Disorder) noto anche come Disposofobia, è un disturbo caratterizzato dalla tendenza all’ accumulo patologico e disfunzionale di oggetti.
Che cos’è il disturbo da accumulo (Hoarding Disorder)
L’Hoarding Disorder, tradotto in italiano come Disposofobia o Disturbo da Accumulo, è un disturbo caratterizzato dalla tendenza ad accumulare oggetti in maniera patologica, o disfunzionale. Il disturbo da accumulo è definito come (a) l’acquisizione e il fallimento nel liberarsi di un gran numero di beni, apparentemente inutili o di limitato valore; (b) spazi vitali ingombrati al punto tale da precludere le attività per le quali sono stati inizialmente progettati; (c) disagio significativo e compromissione del funzionamento dovuti all’accumulo (Frost & Hartl, 1996).
Evoluzione storica
L’emergere di evidenze a favore di una concettualizzazione del disturbo da accumulo come costrutto non del tutto dipendente dal disturbo ossessivo compulsivo ha stimolato lo studio delle sue caratteristiche cliniche. Di conseguenza, gli ultimi venti anni di ricerche sull’accumulo, hanno portato a una completa rivoluzione per quanto riguarda la concezione clinica del fenomeno.
Storicamente, esso è stato concepito come una componente di un disturbo maggiore, il Disturbo Ossessivo-Compulsivo. Negli anni ’80, era classificato all’interno del DSM III come uno dei criteri diagnostici per il Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità (DOCP). Con la pubblicazione del DSM IV-TR (2000) viene invece descritto come una componente o sintomo del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC). La parabola dell’ Accumulo Patologico si conclude attualmente nel DSM 5 (APA, 2013) con la sua distinzione come categoria diagnostica a sé stante, inclusa all’interno del capitolo sui Disturbi Ossessivo-Compulsivi, ma separata dal DOC. L’inclusione all’interno di questo capitolo, tuttavia, sottolinea e considera sempre la forte associazione e le analogie tra le due condizioni cliniche, anche se i risultati della mole di lavori svolti in questo ambito hanno mostrato come vi possano essere forti associazioni anche con altre condizioni cliniche, in particolare la depressione e l’ansia, così come peculiarità specifiche dell’accumulo, che ne motivano la distinzione da altri disturbi.
Primi studi sul disturbo da accumulo – Il modello di Frost
La forte associazione tra accumulo e depressione, oltre che con altri domini, era stata notata da Frost e colleghi già dai primi anni ’90. Gli autori giunsero in seguito, nel 1996, alla proposta di un modello cognitivo-comportamentale che spiegasse l’accumulo sulla base di 4 fattori:
- Deficit del processamento di emozioni;
- Scarse relazioni interpersonali e intelligenza emotiva;
- Evitamento;
- Credenze disfunzionali sui possedimenti.
Altre indagini hanno mostrato come il comportamento da accumulo è spesso associato a stress o traumi, violenze e separazioni nella storia dell’individuo. Le relazioni sociali e familiari sono molto ridotte. Vi sono inoltre evidenze di scarsa consapevolezza di malattia negli accumulatori e dell’egosintonicità dei sintomi.
Clinicamente il disturbo da accumulo patologico presenta tre componenti:
- Difficoltà a disfarsi degli oggetti (Difficulty Discarging)
- Acquisizione (Acquisition)
- Ingombro (Clutter)
Sintomo o sindrome?
Sebbene l’Hoarding sia comunemente associato al disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), esso non è specificatamente menzionato nel DSM-IV-TR o nel ICD-10 come un sintomo del DOC. Nel DSM-IV-TR esso è elencato come uno degli otto criteri diagnostici del disturbo di personalità ossessivo-compulsiva (OCPD). Nella descrizione della diagnosi differenziale tra OCPD e DOC, il DSM-IV-TR afferma che una diagnosi di DOC deve essere tenuta in considerazione, soprattutto nei casi in cui l’accumulo è estremo.
Mentre vi sono pochi dubbi che l’ accumulo patologico sia un possibile sintomo del DOC o che esso sia dovuto a tipiche paure di tipo ossessivo come la paura che buttare via gli oggetti possa causare danno a se stessi o agli altri (Pertusa, Frost & Mataix-Cols, 2011), c’è una mole di evidenze che supporta l’idea che, nella maggior parte dei casi, i sintomi dell’accumulo non siano collegati al disturbo ossessivo compulsivo. Per esempio, sebbene circa il 5-10% dei pazienti con disturbo ossessivo compulsivo mostrino sintomi di accumulo, più del 80% dei pazienti con disturbo da accumulo non mostrano altri sintomi di tipo ossessivo compulsivo (Frost, Steketee & Tolin 2012; Pertusa et al., 2008; Samuels et al., 2008). Invece (Frost et al, 2012) sembrerebbe che le comorbilità più comuni tra i casi di accumulo patologico siano i disturbi d’ansia e depressivi.
L’accumulo è un comportamento che può manifestarsi quindi sia come un sintomo (prevalentemente del Disturbo Ossessivo-Compulsivo), sia come una sindrome che si evolve negli anni. Rifacendoci alla letteratura attuale, queste due manifestazioni differiscono in base all’età di esordio, alle comorbilità e al contesto psicologico (Randy A. Sansone, MD & Lori A. Sansone, MD, 2010). Come sindrome, i sintomi dell’accumulo non appaiono correlati al disturbo ossessivo compulsivo, tendono a raggiungere il culmine con l’avanzare dell’età adulta, e possono essere associati a difficoltà nell’infanzia, differenti tratti e disturbi di personalità e abuso o dipendenza da alcool (Sansone & Sansone, 2010).
Sempre secondo il DSM-5, coloro i quali soffrono di Disturbo da Accumulo conservano i propri beni in maniera intenzionale. Tale criterio differenzia il Disturbo da Accumulo da altre forme psicopatologiche in cui è presente un accumulo passivo o in cui viene a mancare il disagio sperimentato a fronte dell’eliminazione dei propri oggetti (ad es. in alcune forme di demenza) (Bernardotti, 2016).
Maier (2004) affronta questo dilemma concludendo che l’ accumulo patologico è un comportamento complesso associato a diversi tipi di contesti emotivi e cognitivi, inclusi quelli ossessivo-compulsivi. Tuttavia, mentre l’accumulo può emergere sintomaticamente nel DOC, non è presente esclusivamente in questo disturbo.
Il disturbo da Accumulo: la diagnosi
Il Disturbo da Accumulo é stato recentemente riconosciuto nella 5° edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders quale categoria diagnostica a sé e disturbo autonomo (APA, 2013); risulta inserito all’interno della macrocategoria dei Disturbi Ossessivo-Compulsivi e Disturbi correlati.
Secondo l’attuale concettualizzazione il Disturbo da Accumulo è caratterizzato da:
- a. Persistente difficoltà di gettare via o separarsi dai propri beni, a prescindere dal loro valore reale.
- b. Questa difficoltà è dovuta a un bisogno percepito di conservare gli oggetti e al disagio associato al gettarli via.
- c. La difficoltà di gettare via i propri beni produce un accumulo che congestiona e ingombra gli spazi vitali e ne compromette sostanzialmente l’uso previsto. Se gli spazi vitali sono sgombri, è solo grazie all’intervento di terze parti (per es. familiari, addetti alle pulizie, autorità).
- d. L’accumulo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti (incluso il mantenimento di un ambiente sicuro per sé e per gli altri).
- e. L’accumulo non è attribuibile a un’altra condizione medica.
- f. L’accumulo non è meglio giustificato dai sintomi di un altro disturbo mentale.
Il DSM-5 include, inoltre, la specificazione della condizione ‘Con acquisizione eccessiva‘ se la difficoltà nel liberarsi degli oggetti si accompagna ad una acquisizione eccessiva, e prevede una differenziazione fra diverse condizioni di insight: ‘buono‘ se l’individuo riconosce che convinzioni e comportamenti associati all’accumulo sono eccessivi e problematici, ‘scarso‘ se tali comportamenti non vengono percepiti come problematici e ‘delirante‘ se il paziente appare assolutamente sicuro e certo delle proprie convinzioni e dei propri comportamenti che non sono riconosciuti come problematici, nonostante vi sia prova del contrario.
Sempre secondo il DSM-5, coloro i quali soffrono di Disturbo da Accumulo conservano i propri beni in maniera intenzionale. Tale criterio differenzia il Disturbo da Accumulo da altre forme psicopatologiche in cui è presente un accumulo passivo o in cui viene a mancare il disagio sperimentato a fronte dell’eliminazione dei propri oggetti (ad es. in alcune forme di demenza).
Il 75% di coloro i quali soffrono di Disturbo da Accumulo presentano altri disturbi mentali in comorbidità (APA, 2013). Circa il 20% degli individui con accumulo patologico soddisfa anche i criteri per il disturbo ossessivo-compulsivo. Ancora, il disturbo risulta frequentemente associato a disturbi depressivi (più del 50% dei casi), disturbi d’ansia (soprattutto fobia sociale e disturbo d’ansia generalizzato) e ADHD (Fullana et al., 2013; Hall, Tolin, Frost & Steketee, 2013; Ivanov et al., 2013), in particolare nel sottotipo disattento.
Studi condotti in ambito neuropsicologico e elettrofisiologico hanno, a tale proposito, evidenziato come in soggetti affetti da Disturbo da Accumulo siano presenti deficit di categorizzazione, memoria di lavoro, decision making, attenzione e processamento degli errori. Sembrerebbero, quindi, essere deficitarie soprattutto le funzioni esecutive (Mackin et al., 2011).
Il Disturbo da Accumulo appare associato, non esclusivamente ad altri disturbi mentali, ma anche ad una maggior incidenza di problemi fisici e di salute: diabete, apnee notturne, artriti, disturbi ematici e cardiovascolari risultano frequenti in coloro che soffrono di accumulo patologico. È stato ipotizzato che tali complicanze mediche potrebbero essere legate alla scarsa cura di sé e alla bassa tendenza, da parte di coloro che ne soffrono, a richiedere visite mediche e specialistiche. (Ayers, 2014).
L’accumulo genera, inoltre, disordine, talvolta scarsa igiene, esposizione a rischi e difficoltà di movimento all’interno degli spazi domestici. A tale proposito, famoso è il caso dei fratelli Collyer di New York che negli anni ’40 furono rinvenuti nella loro casa a 12 piani e che morirono l’uno sepolto schiacciato sotto grandi quantità di oggetti e l’altro, paralizzato, per la fame.
Correlazioni con Ansia e Depressione
Approssimativamente il 75% dei pazienti con accumulo patologico ha in comorbilità un disturbo dell’umore o d’ansia. Le condizioni più comunemente associate sono la depressione maggiore, il disturbo d’ansia sociale (fobia sociale nel DSM IV-TR) e il disturbo d’ansia generalizzata (Steketee et al., 2000, Frost, Steketee, Williams, and Warren, 2000, Gail Steketee & Randy Frost 2003). In generale, molti studi hanno mostrato come gli individui con comportamenti d’accumulo riportano maggiori sintomi di ansia e depressione, oltre che un funzionamento più povero (Frost, Steketee, Williams, & Warren 2000; Samuels et al., 2002).
Va tuttavia notato come circa il 20% degli hoarders presentano sintomi che soddisfano i criteri diagnostici per il disturbo ossessivo compulsivo, questo tasso è significativamente maggiore rispetto alla presenza del disturbo nella popolazione generale (1-2%), il che suggerisce che sebbene il disturbo da accumulo sia distinto dal DOC, esso vi rimane comunque molto legato (Frost, Steketee, Tolin, 2011). Gli autori, inoltre, hanno confermato tali dati, mostrando come all’interno di campioni clinici, la depressione maggiore sia la condizione di comorbilità più frequentemente diffusa tra gli hoarders. La diagnosi veniva infatti effettuata a più della metà del campione, apparendo molto più comune nell’hoarding che nel disturbo ossessivo compulsivo.
Anche se in maniera meno frequente, anche il disturbo d’ansia generalizzato e la fobia sociale sono state diagnosticate in circa un quarto dei casi di hoarding, con percentuali simili ai campioni di pazienti ossessivo compulsivi.
Altri sintomi emotivi e cognitivi, trovati frequentemente in gruppi di accumulatori, sono alti livelli di inattenzione e iperattività, indecisione, fallimenti cognitivi, ansia e scarso autocontrollo. La povertà di strategie di controllo e regolazione emotiva, suggerisce a sua volta un’alta probabilità di uso di strategie esterne (non adattive) per regolare l’umore (Hall, Frost, Tolin, Steketee, 2013).
Un studio da me svolto su un campione psichiatrico italiano, con diagnosi afferenti principalmente alle sfere dell’ansia e dell’umore, ha evidenziato la considerevole diffusione del disturbo da accumulo tra i Disturbi Depressivi e i Disturbi d’Ansia e la frequente associazione a un Disturbo di Personalità.
L’analisi delle correlazioni ha mostrato come l’ accumulo patologico e le sue componenti di ingombro, difficoltà a disfarsi e acquisizione, siano associate significativamente all’ansia e alla depressione, in misura pari o superiore rispetto ai sintomi ossessivo-compulsivi (Cozzi, 2014).
Differenze tra Disturbo Ossessivo Compulsivo e Disturbo da Accumulo
I recenti studi hanno portato a una serie di dati che hanno motivato il passaggio dell’ accumulo compulsivo da criterio per il DOC a una categoria diagnostica specifica (Mataix-Cols et al., 2010; Pertusa et al. 2010; Rachman, Elliott, Shafran & Radomsky, 2009; Saxena, 2008). Le evidenze più significative sono le seguenti:
- Le correlazioni tra hoarding e sintomi tipici del DOC sono del tutto comparabili con quelle dell’ansia e della depressione (Abramowitz, Wheaton & Storch,2008; Williams, Haslam, Abramowitz & Tolin 2008).
- Un numero importante di soggetti con hoarding grave non riportano altri sintomi ossessivocompulsivi (Pertusa et al., 2008; Samuels et al., 2008).
- A differenza dei sintomi del DOC, quelli relativi all’hoarding peggiorano in maniera cronica col passare degli anni (Ayers, Saxena, Golshan & Wetherell, 2009; Grisham et al., 2006).
- La sofferenza negli hoarders non appare immediatamente ed è solitamente associata all’intervento di terzi. A differenza del DOC, l’hoarding è caratterizzato da scarso insight..
- I sintomi tipici del DOC sono associati a stati d’ansia e non sono preceduti né seguiti da alcuna emozione positiva: una sequenza esemplificata di ossessioni e compulsioni inizia con pensieri involontari ed intrusivi seguiti da un comportamento compulsivo teso a calmare il disagio prodotto dal pensiero ossessivo. Nell’hoarding, di solito, sono le emozioni positive che portano all’accumulo, mentre le emozioni negative (colpa, vergogna, ansia) subentrano in un secondo momento, ovvero quando il soggetto si trova a doversi disfare degli oggetti, o limitarne l’acquisizione.
- Scansioni cerebrali hanno rivelato differenti attivazioni cerebrali (Frost & Hartl, 1996; Steketee & Frost, 2003)
- Gli accumulatori non rispondono agli stessi trattamenti dei soggetti con DOC e sono caratterizzati da un’invalidità familiare e sociale più grave.
Quale trattamento psicoterapico?
Generalmente coloro i quali soffrono di Disturbo da Accumulo richiedono un trattamento a causa della presenza di disturbi in comorbidità (Tolin et al., 2008) e non direttamente per i comportamenti di accumulo; la richiesta risulta pertanto poco tempestiva per cui, quando arrivano in terapia, tali sintomi risultano spesso già piuttosto gravi e cronicizzati (Ayers et al., 2010; McGuire et al., 2013).
Sulla base di un recente articolo pubblicato da Kress et al. (2016), che mira a fare il punto della situazione in termini di diagnosi e trattamento del Disturbo da Accumulo, la terapia cognitivo-comportamentale è considerata il trattamento d’elezione.
Studi precendenti che hanno esplorato l’efficacia della CBT per pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo, hanno riscontrato che la presenza di sintomi di accumulo risultava un consistente predittore di drop-out, scarsi risultati terapeutici e minimi guadagni clinici se confrontata con l’assenza di tali comportamenti (Mataix-Cols et al., 2002; Steketee & Frost, 2003). Questi risultati hanno condotto alla messa a punto di protocolli specifici per il trattamento del Disturbo da Accumulo, con particolare attenzione alle credenze tipiche di questi pazienti e ai comportamenti correlati all’accumulo, al disagio emotivo, all’evitamento ad esso connesso e al potenziale deficit di processamento delle informazioni (Steketee, Frost, 2007; Tolin et al., 2007).
L’attuale trattamento cognitivo-comportamentale del Disturbo da Accumulo si focalizza principalmente sulla riduzione dei sintomi in tre macro aree: la disorganizzazione, la difficoltà nel liberarsi e nel gettare via gli oggetti personali e la tendenza ad acquisirne in eccesso.
Nello specifico, il trattamento si avvale di:
- Skill training finalizzato a rinforzare le capacità di problem-solving, decision making e di organizzazione;
- Esposizione graduale, immaginativa ed in vivo, agli stimoli stressanti (Esposizione con evitamento della risposta, ERP), ovvero non comprare e buttare oggetti;
- Ristrutturazione cognitiva delle credenze irrazionali correlate ai comportamenti di accumulo.
In aggiunta, la bassa consapevolezza frequentemente associata al Disturbo da Accumulo ha portato ad ipotizzare l’utilità di avvalersi, in aggiunta ai già citati interventi, di tecniche motivazionali e dell’ausilio di visite domiciliari (Stekenee et al., 2010).
Gli interventi motivazionali si pongono come obiettivo la riduzione dell’ambivalenza di fronte alla scelta di intraprendere o meno un trattamento, aiutando il paziente ad individuare le aree di maggiore compromissione a causa dei comportamenti di accumulo e che vorrebbero ridurre (ad es. la compromissione sociale legata all’impossibilità di invitare a casa familiari o amici o i problemi economici legati all’acquisizione compulsiva). In merito alle visite domiciliari, Steketee e Frost (2007) hanno messo a punto uno specifico protocollo, della durata di 26 settimane, che prevede visite al domicilio e sul luogo di lavoro da parte di operatori sociali.
In uno studio qualitativo volto ad indagare la soddisfazione di clinici e pazienti circa il trattamento per il Disturbo da Accumulo con la CBT, i pazienti hanno riferito di aver trovato efficaci soprattutto le visite domiciliari in supporto agli obiettivi concordati, la pianificazione del trattamento e la generalizzazione degli esercizi di esposizione (Ayers, Bratiotis, Saxena, Wetherell, 2012).
Ancora, più di recente sono stati proposti gruppi di stampo comportamentale condotti da pari insieme agli operatori sociali. L’obiettivo è la riduzione dello stigma associato al Disturbo da Accumulo e la possibilità di fornire un maggiore supporto ai pazienti rispetto ai gruppi condotti unicamente da operatori della salute mentale (Frost, Ruby, Shuer, 2012).
In Italia, nel 2015 il gruppo clinico di Claudia Perdighe e Francesco Mancini ha pubblicato un manuale volto ad illustrare caratteristiche e trattamento cognitivo-comportamentale del Disturbo da Accumulo.
Conclusioni
Passando in rassegna i risultati di diversi studi dunque, l’accumulo, come sintomo, si manifesta con un esordio precoce, spesso associato ad ulteriori ossessioni e compulsioni, ed in frequente comorbilità con disturbi d’ansia e dell’umore.
In conclusione, gli ultimi 20 anni di ricerca hanno portato sempre maggiori evidenze della forte correlazione tra i comportamenti di accumulo patologico e la sintomatologia ansiosa e depressiva, spostando l’attenzione dal disturbo ossessivo compulsivo, al quale era profondamente legata. Tale dato può avere una profonda importanza dal punto di vista dello sviluppo e l’implementamento di modelli terapeutici che tengano conto delle caratteristiche cliniche associate a questi disturbi.