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Il disturbo da accumulo

Il disturbo da accumulo ha cambiato spesso categoria diagnostica, viene studiato da poco tempo e non sono stati ancora approfonditi molti suoi aspetti.

Di Monica Triolo

Pubblicato il 03 Set. 2020

Aggiornato il 04 Set. 2020 12:48

Il disturbo da accumulo è solitamente progressivo, esordisce in giovane età, ma con l’avanzare degli anni si possono presentare problemi significativi sulla salute fisica e psicosociale. Il comportamento di accumulo è ereditario e la remissione spontanea molto rara.

Cos’è il disturbo da accumulo

Il Disturbo da Accumulo (DA) o Disposofobia, tradotto dall’inglese Hoarding Disorder, è un disturbo caratterizzato dalla tendenza ad accumulare oggetti in maniera eccessiva, limitando fortemente l’uso e il funzionamento degli spazi domestici (Frost & Hartl, 1996). Chi ne soffre spesso ha scarsa consapevolezza del disturbo, poiché inizialmente i sintomi sono percepiti come egosintonici.

Si tratta di un disturbo progressivo: l’esordio coincide con l’età giovanile, ma con l’avanzare dell’età, in genere intorno ai 40-50 anni, si possono presentare problemi significativi sulla salute fisica e psicosociale. Come riporta il DSM 5 il comportamento di accumulo è ereditario, un paziente su due ha nella sua storia personale un parente che accumula. Nella ricerca di Landau, Iervolino, Pertusa, Santo, Singh e Mataix-Cols (2011) emerge che spesso il peggioramento del disturbo è conseguente ad alcuni eventi traumatici quali un lutto o la separazione dal partner. La remissione spontanea è molto rara.

Clinicamente il disturbo da accumulo presenta tre componenti:

1) L’accumulo e/o l’acquisizione di un numero eccessivo di oggetti

Gli oggetti accumulati sono di qualsiasi tipo: giornali, libri, spazzatura così come oggetti di valore. La forma di acquisizione è prevalentemente quella di collezionare, acquistare o rubare (DSM IV).

Molto spesso si sceglie di tenere degli oggetti, perché questi mantengono vivi ricordi e memorie, si ha quindi paura di dimenticare, di perdere dei ricordi considerati preziosi perché facenti parte della storia personale. Non sorprende che i pazienti disposofobici conoscano ogni singolo oggetto e la ragione per cui lo tengono. A volte pensano che lo terranno solo per un periodo temporaneo, che potrà servire per un prossimo futuro che spesso non arriverà mai.

2) La difficoltà a separarsi dagli oggetti

Chi soffre di DA ha una difficoltà affettiva a liberarsi degli oggetti, il solo pensiero procura un certo grado d’ansia, rimandare il momento della separazione sembra essere l’unica opzione possibile.

Molto spesso il comportamento di accumulo è giustificato da motivazioni ambientaliste: le persone con DA si definiscono attente all’evitamento dello spreco e a favore del riciclo, il tutto quindi assume una connotazione morale che, oltre a rinforzare il comportamento di accumulo, abbassa ulteriormente la consapevolezza della malattia.

3) La difficoltà ad organizzare gli oggetti

Le persone con DA hanno difficoltà a creare delle categorie: tendono a creare una categoria per ogni oggetto. La difficoltà potrebbe derivare da un malfunzionamento delle capacità di attenzione, memorizzazione, pianificazione e decisione. Questo aspetto si riscontra anche nel linguaggio: sono persone prolisse, non riescono a stabilire delle priorità e hanno poca capacità di sintesi (Frost & Steketee, 2007).

Criteri diagnostici e comorbilità

Il Disturbo da Accumulo è presente nella quinta edizione del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) quale categoria diagnostica a sé, all’interno della più ampia categoria dei Disturbi Ossessivo-Compulsivi e Disturbi correlati (APA, 2013).

I criteri diagnostici sono:

  • a. Persistente difficoltà di gettare via o separarsi dai propri beni, a prescindere dal loro valore reale.
  • b. Questa difficoltà è dovuta a un bisogno percepito di conservare gli oggetti e al disagio associato al gettarli via.
  • c. La difficoltà di gettare via i propri beni produce un accumulo che congestiona e ingombra gli spazi vitali e ne compromette sostanzialmente l’uso previsto. Se gli spazi vitali sono sgombri, è solo grazie all’intervento di terze parti (per es. familiari, addetti alle pulizie, autorità).
  • d. L’accumulo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti (incluso il mantenimento di un ambiente sicuro per sé e per gli altri).
  • e. L’accumulo non è attribuibile a un’altra condizione medica.
  • f. L’accumulo non è meglio giustificato dai sintomi di un altro disturbo mentale.

E’ possibile e utile specificare il grado di insight che il paziente possiede circa il proprio disturbo da accumulo: il continuum parte da un buon insight (riconosce i comportamenti e le credenze come problematiche), passa per uno scarso insight (la consapevolezza cala considerevolmente) e termina in un insight delirante (non ha consapevolezza anche di fronte all’evidenza).

La storia del DA inizia negli anni ’80, il DSM III lo classifica come un criterio diagnostico del Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità (DOCP), nel 2000 il DSM IV-TR lo annovera come una componente o sintomo del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC). Soltanto nel DSM 5 diviene categoria diagnostica a sé stante, questo è uno dei motivi per cui esistono pochi studi sul disturbo e naturalmente sul trattamento. Ha contribuito anche il fatto che le persone con DA e spesso anche i familiari, tendono a nascondere il disturbo per vergogna e tendono a non chiedere un aiuto psicologico.

Il disturbo da accumulo si presenta per il 75% di casi in comorbilità con altri disturbi psicopatologici, i più comuni sono: Disturbo Ossessivo-compulsivo, Disturbi Depressivi, Disturbi d’Ansia, disturbi legati al controllo degli impulsi e il Disturbo da Deficit di Attenzione/ Iperattività (Frost & Steketee, 2015).

Una particolarità che discrimina il DA rispetto ad altre condizioni psicologiche è l’intenzionalità nel conservare i propri beni: in disturbi come il DOC, DOCP o nel Disturbo Depressivo Maggiore, l’accumulo è passivo, non si prova alcun disagio sperimentato a fronte dell’eliminazione dei propri oggetti.

Possibili strategie di intervento psicoterapico

La richiesta di un aiuto psicologico è stata spesso secondaria ad altri disturbi in comorbidità (Tolin et al. 2008), questo ha comportato una richiesta tardiva quando i sintomi erano già gravi e cronicizzati (Ayers et al., 2010; McGuire et al., 2013). Inoltre, i pazienti che chiedevano un supporto erano soggetti a frequenti drop-out e spesso i risultati terapeutici non sono stati significativamente rilevanti (Mataix-Cols et al., 2002; Steketee & Frost, 2003).

Negli ultimi anni, quindi, Frost e Steketee hanno messo a punto un modello per il trattamento dando particolare importanza al disagio emotivo, l’evitamento conseguente e il probabile deficit di processamento delle informazioni (Steketee, Frost, 2007; Tolin et al., 2007).

Lo scopo è quello di aiutare il paziente a trovare una strategia per sopportare meglio la sensazione di liberarsi di qualcosa per lui importante.

Le componenti sono:

  • interventi focalizzati sulla motivazione al trattamento;
  • skill training: si conduce il paziente verso una buona capacità di risoluzione di problemi e presa di decisioni in autonomia;
  • esposizione in vivo allo stimolo e ricerca di modalità alternative all’accumulo;
  • ristrutturazione cognitiva: si indagano e si modificano le convinzioni e i temi personali legati al disturbo.

Circa il 70% dei pazienti che si sono sottoposti al trattamento hanno avuto un miglioramento sintomatologico (Tolin et al. 2008).

Più recentemente in Italia Claudia Perdighe e Francesco Mancini hanno pubblicato un manuale dal titolo Il disturbo da accumulo in cui viene ben illustrato il trattamento con terapia cognitivo-comportamentale.

Spesso la richiesta di aiuto proviene dai familiari dei pazienti, per questo motivo Tolin, Frost, Steketee e Fitch (2008a) sostengono che possono giocare un ruolo fondamentale per la buona riuscita della terapia. Grazie agli incontri psicoeducativi di gruppo per i familiari si possono fornire loro degli strumenti per conoscere meglio il disturbo e per indirizzare le dinamiche interpersonali con il paziente.

Negli Stati Uniti esistono diversi siti web rivolti ai familiari degli accumulatori. Un esempio è Children of Hoarders (visita il sito cliccando QUI). Gli utenti possono condividere le proprie esperienze e raccogliere informazioni sul disturbo.

Conclusioni

Il Disturbo da accumulo viene studiato da poco tempo e non sono stati ancora approfonditi molti aspetti. Gli studiosi che finora si sono dedicati a comprendere e a cercare un trattamento hanno gettato delle ottime basi su cui poter costruire ulteriore conoscenza.

 

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Monica Triolo
Monica Triolo

Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo-Interpersonale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Arlington, VA: Author.
  • Ayers, C. R., Saxena, S., Golshan, S., Wetherell, J. L. (2010). Age at onset and clinical features of late life compulsive hoarding. International Journal of Geriatric Psychiatry, 25, 142-149.
  • First, M. B., France, A., & Pincus, H. A. (2004). DSM-IV-TR guidebook. American Psychiatric Publishing, Inc..
  • Frost, R. O., Steketee, G., Tolin, D. F., Sinopoli, N., Ruby, D. (2015). Motives for Acquiring and Saving in Hoarding Disorder, OCD, and Community Controls. J Obsessive Compuls Relat Disord, 1, 4, 11-59.
  • Frost R.O., Hartl T.L (1996), A Cognitive Behavioral Model of Compulsive Hoarding. Behaviour Research and Therapy Vol/ed 34, pp. 341-350.
  • Mataix-Cols, D., Marks, I. M., Greist, J. H., Kobak, K. A., Baer, L. (2002). Obsessive-compulsive symptom dimensions as predictors of compliance with and response to behavior therapy: Results from a controlled trial. Psychotherapy and Psychosomatics, 71, 255-262.
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  • Perdighe, C., Mancini, F. (2015). Il disturbo da accumulo. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Pertusa A., Frost R.O., Mataix-Cols D. (2011) When hoarding is a symptom of OCD: a case series and implications for DSM-V. Behavior Research and Therapy.
  • Steketee, G., Frost, R. O. (2007). Compulsive hoarding and acquiring: Therapist guide. Oxford, England: Oxford University Press.
  • Steketee, G., Frost, R. (2003). Compulsive hoarding: Current status of the research. Clinical Psychology Review, 23, 905-927.
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  • Tolin, D. F., Frost, R. O., Stekenee, G. (2007). An open trial of cognitive-behavioral therapy for compulsive hoarding. Behaviour Research and Therapy, 45, 1461-1470.
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