App e salute mentale
Sono circa 10.000 le applicazioni digitali sul mercato dedicate alla salute mentale, in grado di offrire una gamma di opzioni che va dal rilevamento e monitoraggio di sintomi e parametri psicofisiologici, alla possibilità di contattare direttamente uno specialista. Il tutto in assenza di una sostanziale valutazione e regolamentazione da parte delle autorità competenti in materia di salute, sia a livello italiano che internazionale.
Il rischio che alcune app possano fornire informazioni fuorvianti o errate è concreto, al pari del rischio di violazione del diritto alla privacy degli utenti. Al di là delle criticità ancora da sciogliere, tuttavia, è chiaro come il boom di tali software testimoni una tendenza ormai incontrovertibile: il crescente coinvolgimento dell’intelligenza artificiale nel supporto al benessere psicologico delle persone (Wu et al., 2021).
Dati dell’Unione Europea rivelano che, a seguito della pandemia di Covid-19, ansia e depressione sono salite del 25% a livello mondiale, mentre quasi la metà dei giovani residenti in UE sostiene di non aver accesso a misure di sostegno alla salute mentale. Appare cruciale, dunque, l’urgenza di individuare strategie di supporto inclusive e facilmente disponibili, che possano coadiuvare – e non sostituire – il ruolo di professionisti sanitari e sistemi sanitari nazionali nel rilevare i disturbi mentali e favorirne la presa in carico.
Un’app per la diagnosi di depressione
Negli ultimi anni, in particolare, ricercatori accademici, investitori e startupper hanno profuso ingenti sforzi e ingenti risorse nello sviluppo di tecnologie basate su smartphone, smartwatch e social media per la diagnosi della depressione.
Si tratta di software in grado di rilevare sottili cambiamenti nella fisiologia, nelle abitudini di vita o nel comportamento di una persona, potenzialmente associati a un disturbo depressivo. La speranza è che simili dispositivi aiutino le persone a richiedere un aiuto professionale quando più ne hanno bisogno, intervenendo tempestivamente nei momenti critici. L’ampio utilizzo degli smartphone nella vita quotidiana, infatti, potrebbe offrire l’opportunità di registrare in modo costante e discreto informazioni utili al monitoraggio di sintomi connessi alla depressione, consentendo di individuare precocemente recidive, peggioramento della sintomatologia o episodi ricorrenti (Leaning et al., 2024).
Cosa rileva un’app per la depressione? E come può un’intelligenza artificiale fare diagnosi di depressione?
Un gruppo di ricercatori del Dartmouth College ha di recente sviluppato un’app denominata MoodCapture, per il rilevamento della depressione (Nepal et al., 2024). Lo studio ha reclutato 177 persone che avevano già ricevuto diagnosi di disturbo depressivo maggiore e che hanno utilizzato MoodCapture per tre mesi.
Ai partecipanti era chiesto di rispondere alle domande di un questionario, il PHQ-8, utilizzato per lo screening della depressione, mentre la fotocamera frontale del loro smartphone scattava loro raffiche di foto. I ricercatori hanno raccolto oltre 125 mila immagini dei volti spontanei (ovvero non in posa, come nei selfie) analizzando caratteristiche quali: segnali emotivi presenti nelle espressioni facciali (come presenza e intensità di espressioni del volto, angolazione dello sguardo, sorrisi, ammiccamenti ecc), illuminazione dell’ambiente, interno o esterno, colore dominante dell’immagine, numero di persone presenti e oggetti sullo sfondo.
L’app non ha l’obiettivo di abbinare specifiche espressioni del volto a uno stato depressivo, bensì rilevare all’interno delle foto scattate i cambiamenti presenti nei volti dei partecipanti e nel contesto attorno a essi, effettuando una stima dei potenziali segnali di depressione. I ricercatori aggiungono che l’app detiene il potenziale di cogliere segnali precoci di depressione, in alcuni casi quasi prima che le persone stesse ne siano consapevoli. Nel complesso, MoodCapture ha dimostrato di identificare correttamente nel 75% dei casi individui affetti da disturbo depressivo maggiore.
Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica. Sebbene l’app appaia promettente, ha destato le prime preoccupazioni tra utenti e comunità scientifica in merito alla generalizzabilità del suo utilizzo alla popolazione afroamericana, sottorappresentata nel campione considerato, e a legittimi dubbi sul trattamento della privacy.
Un’intelligenza artificiale, insomma, non può sostituire uno psicoterapeuta, ma può comunque rappresentare uno strumento di supporto per la clinica e un ulteriore mezzo per riconoscere quando abbiamo bisogno di aiuto.