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Il transfert di Goliarda: “Il filo di mezzogiorno” di Goliarda Sapienza – Recensione

L’adattamento teatrale di 'Il filo di mezzogiorno' di Goliarda Sapienza, rappresenta la complessità del transfert nel rapporto tra analista e paziente

Di Alberto Vito

Pubblicato il 18 Mar. 2022

Mario Martone, con l’adattamento di Ippolita di Majo, porta alle scene Il filo di mezzogiorno, tratto dall’opera omonima autobiografica di Goliarda Sapienza, dedicato al complesso rapporto clinico con colui che la curò per anni dopo un ricovero in struttura psichiatrica a causa di un tentativo di suicidio.

 

Goliarda Sapienza (1924-1996) è un’importante scrittrice del novecento, divenuta nota solo dopo la sua morte, scoperta innanzitutto in Francia e grazie alla perseveranza e all’affetto del marito, l’attore Angelo Pellegrino. È stata anche attrice e docente di recitazione al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. I suoi genitori furono entrambi figure importanti dell’antifascismo. Il padre, socialista libertario, fu eletto nel 1947 all’Assemblea Costituente della Repubblica. La madre, di origine lombarda, giornalista e tra le prime donne sindacaliste italiane, fu mandata dal Partito Socialista nel 1920 a svolgere attività politica in Sicilia, ove si conobbero. Entrambi vedovi, con numerosa prole, fecero crescere la figlia in Sicilia in un ambiente libero, assolutamente dissonante con l’epoca. Goliarda, dopo aver vissuto molti anni a Roma, è morta a Gaeta, dove ha trascorso gli ultimi anni insieme al marito. Il suo romanzo più importante, in cui la protagonista Modesta è in larga parte una proiezione ideale e letteraria dell’autrice, è L’arte della gioia. Scritto tra il 1967 e il 1976, fu pubblicato postumo da Stampa Alternativa e solo successivamente, dopo il clamoroso successo all’estero, da Einaudi.

Mario Martone, con l’adattamento di Ippolita di Majo, porta alle scene Il filo di mezzogiorno, tratto dall’opera omonima autobiografica di Goliarda Sapienza, dedicato al complesso rapporto clinico con colui che la curò per anni dopo un ricovero in struttura psichiatrica a causa di un tentativo di suicidio. La rappresentazione descrive sia il mondo esterno, ovvero cosa avviene nel setting terapeutico, sia il mondo interno, dando voce ai pensieri, ai sogni e alle regressioni della paziente. Lo spettacolo teatrale, al di là del suo valore intrinseco, è quindi di grande interesse per gli psicoterapeuti e, più in generale, per tutti coloro che desiderano conoscere cosa avviene nelle stanze degli analisti. Commento le vicende raccontate, così come sono presentate nei dialoghi teatrali, senza entrare nel merito della valutazione artistica, di cui non sono competente.

Il medico in questione è Ignazio Majore, anch’egli di origine siciliana (Majore iniziò la sua analisi didattica nel 1952, fu nominato analista didattico della SPI nel 1960, ed è stato il più giovane analista didatta italiano. Nel 1965 si dimise dalla SPI per divergenze teoriche e di prassi, dando vita ad un proprio modello definito ‘Analisi Mentale’). A lui si rivolse il regista Citto Maselli, allora compagno di Goliarda, con la richiesta di una presa in carico analitica, preoccupato degli esiti delle cure mediche tradizionali. Majore accetta e si reca a casa della paziente per 5 volte alla settimana, proprio alle ore 12. Da qui il titolo del libro, ed il filo da riannodare è quello che deve riportare la paziente a ricordare la propria identità, dimenticata a causa dei numerosi elettroshock a cui è stata sottoposta. Il trattamento dura un lungo periodo e si può dire che abbia successo, nel senso che Goliarda lentamente si riappropria della propria memoria e della propria storia, riconoscendo anche la propria vocazione di scrittrice. All’inizio lei è molto confusa, smarrita, poco autonoma, preda dei suoi incubi. Lui invece procede sicuro, certo dell’efficacia del suo metodo. Tuttavia, il prezzo del trattamento è alto, così come l’impegno richiesto sia al terapeuta che alla paziente. La relazione terapeutica diventa sempre più intensa e il dottore talvolta non sa rispondere alle domande della paziente. In una scena, ella nota la scomparsa della fede nuziale dalla mano dell’uomo, che si giustifica dicendo di averla persa, con una probabile menzogna. Il confronto con la personalità affascinante e l’intelligenza profonda di Goliarda ha così conseguenze importanti nella vita dell’analista, che è messa in discussione dall’intensità di questo rapporto. Alla fine, è lui ad essere confuso e messo in contatto con le proprie fragilità che non riesce a padroneggiare. Prevale la libertà di giudizio, l’acume e la lucidità della paziente, mentre l’analista rimane imbrigliato nelle sue gabbie interpretative. Prigioniero del terribile meccanismo relazionale a cui lui stesso aveva dato vita.

Certamente, il paternalismo del medico e alcune sue battute appaiono storicamente superate e l’intelligenza della paziente appare sicuramente più contemporanea (ovviamente, si deve tener conto che l’opera è scritta a partire dai ricordi della paziente e non è nota l’opinione in merito del terapeuta). In ogni caso, fu lei a decidere di interrompere definitivamente il trattamento, con un telegramma che non concedeva replica, non reggendo più il peso di un innamoramento rifiutato dal suo analista, mentre lui si era sempre rifiutato di inviarla ad un collega.

Non credo che si debba legare questo esito solo ad errori dello psicoanalista, attribuibili al fatto che in quegli anni la psicoanalisi era ancora quasi agli albori in Italia, o alle anomalie del setting (la terapia avviene a domicilio e su richiesta del marito della paziente che, successivamente, diventerà lui stesso per un periodo analizzato da Majore). Mi sembra, piuttosto, che il testo e la sua messa in scena teatrale colgano l’essenza del problema: il fascino e il limite della psicoanalisi. Questa, per la durata e l’intensità del rapporto, richiede necessariamente un forte coinvolgimento emotivo ed affettivo. Cosa avviene se si incontrano da soli, un uomo e una donna, per un’ora al giorno, per anni, senza toccarsi ma liberamente, uno parla e l’altro ascolta? Quando questo sentimento si esprime, diviene poi riduttivo attribuirlo soltanto ad ‘un trasferimento’? È questa la questione di fondo, ineludibile, e, pare che, alla fine, la paziente fosse più consapevole del suo analista, nel consigliargli per il futuro di procedere, camminando ‘muru muru’.

A lui va certamente riconosciuto il merito di un impegno profondo nel dedicarsi ad una ‘mission impossible’ e anche una coerenza al proprio metodo di lettura del mondo, che sfiora la cocciutaggine.

Infine, alcune curiosità biografiche. Nelle note, Martone ‘confessa’ il suo affetto per il proprio psicoanalista: il compianto Andreas Giannakoulas, scomparso lo scorso anno, alla cui memoria dedica lo spettacolo. Altre piccole curiosità legate al cinema: Ignazio Majore compare con un’intervista nel film-documentario E il Casanova di Fellini? (1975), mentre suo figlio Stefano, nel film Roma di Fellini impersona il regista da bambino, in una scena ambientata a Rimini in cui osserva passare un treno diretto alla capitale.

Dopo la tappa di Napoli, l’allestimento teatrale, che ha debuttato lo scorso anno, sarà, nel primo semestre del 2022, a Modena, Torino, Catania, Macerata, Milano e Roma.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Sapienza G., (1969) Il filo di mezzogiorno, La nave di Teseo, Milano, 2019
  • Sapienza G., L’arte della gioia, Einaudi, Torino, 2008
  • Il filo di mezzogiorno. Di Goliarda Sapienza. Regia di Mario Martone. Adattamento Ippolita Di Majo, Con Donatella Finocchiaro, Roberto de Francesco.
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