Intelligenza artificiale e genitorialità: quale impatto reale?
PSICOLOGIA DIGITALE – (Nr. 81) Coparenting digitale: quando l’intelligenza artificiale diventa co-genitore
Per anni l’ora della nanna è stata per Lilian Schmidt una sorta di maratona serale. Lei e il compagno trascorrevano ore nella speranza di calmare la loro bambina con scarsi risultati. Finché, quasi per gioco, Schmidt ha chiesto un suggerimento a ChatGPT che ha proposto di fare il contrario rispetto ai loro metodi abituali: lasciare che la piccola si sfogasse prima di andare a letto. La prima sera in cui hanno provato questa idea, la bambina si è addormentata in pochi minuti.
Il caso di Schmidt, raccontato da Business Insider (Pugachevsky, 2025), è diventato virale perché mette a fuoco un fenomeno sempre più diffuso: l’uso dell’intelligenza artificiale come strumento di supporto, guida, organizzazione nel quotidiano delle famiglie.
Ma nonostante negli ultimi anni siano aumentati gli studi sull’uso dell’intelligenza artificiale in molti settori, l’ambiente domestico resta sorprendentemente poco esplorato pur essendo uno dei luoghi in cui il suo utilizzo cresce rapidamente (Szondy & Magyary, 2025).
Che cosa accade quando l’intelligenza artificiale si inserisce nella quotidianità delle famiglie e comincia a influire sulla sfera affettiva e sull’assetto delle relazioni familiari?
Perché i genitori si rivolgono all’intelligenza artificiale
Non si tratta, almeno non nella maggior parte dei casi, di fascinazione tecnologica. Piuttosto, di una necessità concreta. Il racconto di Schmidt lo evidenzia: costi di vita elevati, assenza di reti familiari vicine, genitori che lavorano a tempo pieno. Secondo la terapeuta Lorain Moorehead, intervistata da Business Insider, i genitori sono “tirati da molte parti” tra scuola, lavoro e gestione della casa. È il terreno perfetto per il cosiddetto overload cognitivo. Per questo l’intelligenza artificiale viene sempre più utilizzata dai genitori come aiuto operativo nella gestione delle complessità quotidiane. Dalla definizione delle routine alla pianificazione dei pasti, fino alla ricerca di strategie educative per affrontare momenti difficili con i figli, questi strumenti digitali sono un aiuto immediato e accessibile (Quan et al., 2024). Si tratta di un uso pragmatico, “a basso rischio”: domande precise, risposte rapide, alleggerimento immediato del carico mentale (Ashraf, 2024). Ma la semplificazione delle incombenze rappresenta solo il primo livello di utilizzo. Gli effetti più rilevanti emergono quando l’intelligenza artificiale inizia a incidere sulle relazioni e sui processi educativi che tengono unita la famiglia.
Ridefinire il sistema familiare
Szondy e Magyary (2025) propongono di osservare l’ingresso dell’intelligenza artificiale in casa attraverso la lente dei sistemi familiari, un modello che considera ruoli, confini e comunicazione come elementi strettamente intrecciati. In questa prospettiva, la tecnologia modifica anzitutto i confini tra genitori e figli. Assistenti vocali e dispositivi intelligenti non si limitano a rispondere a comandi: ascoltano, registrano, interpretano situazioni quotidiane. Questo rende più incerta la separazione tra ciò che rimane privato e ciò che può essere condiviso o segnalato. Si aprono così interrogativi ancora poco esplorati, come l’eventualità che la tecnologia identifichi comportamenti rischiosi o episodi di violenza domestica o la gestione dei dati sensibili raccolti durante l’interazione (Quan et al., 2024). Anche i ruoli possono cambiare: l’intelligenza artificiale finisce per sostenere i genitori nella definizione delle responsabilità educative e nell’organizzazione della vita familiare con il rischio però di entrare nel merito delle funzioni tipiche dell’adulto. Infine, l’intelligenza artificiale interviene nella costruzione di rituali e narrazioni familiari. La possibilità di generare storie personalizzate o di suggerire attività condivise, come nel caso di Schmidt che utilizza ChatGPT per trasformare una giornata speciale in un racconto della buonanotte, apre a nuove forme di condivisione simbolica (Chin et al., 2024).
Coparenting con l’IA: da supporto a terzo partecipante
L’ingresso dell’intelligenza artificiale nelle pratiche familiari introduce un attore ulteriore nella gestione, partecipa alle decisioni quotidiane e può acquisire un ruolo significativo grazie alla sua rapidità nel proporre soluzioni considerate efficaci dai genitori (Quan et al., 2024).
Come osservato da Moorehead, sempre più genitori chiedono direttamente all’intelligenza artificiale di strutturare routine e strategie educative e migliorare l’organizzazione quotidiana. Tuttavia, quando sempre più aspetti della regolazione emotiva, della mediazione o del problem solving vengono delegati alla tecnologia, il ruolo educativo dell’adulto rischia di indebolirsi (Ashraf, 2024). Anche i bambini, infatti, rispondono attivamente a questa trasformazione. Alcune ricerche indicano che i più piccoli tendono a considerare gli smart speaker come interlocutori sociali e a sviluppare con essi una forma di attaccamento emotivo, il che può influenzare la qualità delle interazioni familiari. Una dipendenza troppo marcata dalle risposte immediate dei dispositivi potrebbe infatti ridurre il tempo di dialogo con i genitori, limitare le occasioni di ragionamento autonomo, impoverire l’esperienza linguistica e rendere più fragile la capacità di tollerare la frustrazione. Ciò non implica che l’intelligenza artificiale sia di per sé dannosa; il nodo centrale, come sottolineano Szondy e Magyary (2025), è mantenere un equilibrio in cui la tecnologia rappresenti un supporto e non una sostituzione, preservando la relazione umana come fondamento dello sviluppo cognitivo e socio-emotivo.
AI literacy: la competenza che serve alle famiglie di oggi
L’adozione dell’intelligenza artificiale negli spazi domestici modifica in profondità la gestione delle informazioni familiari. Assistenti e dispositivi intelligenti registrano e interpretano elementi della vita quotidiana che un tempo restavano all’interno della relazione, rendendo meno chiaro il confine tra ciò che è privato e ciò che può essere condiviso o monitorato. Per questo c’è la necessità di una solida competenza nell’uso della tecnologia, l’AI literacy, ovvero la capacità di comprendere che cosa l’intelligenza artificiale raccoglie, come lo elabora e in che modo può influire e che permette di integrare questi strumenti senza perderne il controllo (Ashraf, 2024).
Inoltre, poiché nelle famiglie esiste spesso una distanza tra la rapidità con cui i bambini apprendono l’uso della tecnologia e la competenza degli adulti nel governarla, l’apprendimento condiviso può diventare un modo efficace per mantenere il controllo sugli strumenti e sul loro ruolo nelle relazioni quotidiane (Szondy & Magyary, 2025). In molte famiglie l’intelligenza artificiale si sta integrando nelle attività quotidiane come un aiuto pratico nella gestione del tempo e delle incombenze, senza per questo poter sostituire la presenza del genitore. Il contributo della tecnologia resta infatti positivo solo quando si integra ai valori familiari e preserva la dimensione relazionale, perché ciò che sostiene lo sviluppo dei bambini non è la correttezza delle risposte fornite da un algoritmo, ma l’esperienza di essere accompagnati da un adulto che ascolta, interpreta e dà significato (Chin et al., 2024). Il punto non è dunque scegliere tra l’intelligenza artificiale e la relazione, ma stabilire un equilibrio in cui il digitale rafforzi la cura e non la riduca.
Perché, anche quando la tecnologia contribuisce alla cura, è il legame umano a dare forma a ciò che chiamiamo famiglia.