L’impatto della diagnosi di autismo sui genitori
Quando arriva la diagnosi di autismo per un figlio, ciò che arriva non è solo una parola pronunciata in ambulatorio o in una relazione clinica. Si crea una frattura invisibile, profonda che tocca le radici dell’identità genitoriale. È come se crollasse, all’improvviso, una costruzione silenziosa di aspettative che, alle volte inconsciamente, si erano formate ben prima che quel figlio venisse al mondo.
I genitori, anche senza volerlo, immaginano un futuro. Si chiedono come sarà il proprio bambino, che passioni avrà, come sarà andare al parco, come parlerà, come ti guarderà e come cresceranno insieme a lui. Si immaginano come madri e padri, nella quotidianità e nelle sfide, e anche come coppia dentro al nuovo assetto familiare.
Tutto ciò accade in modo sottile, non sempre esplicito, ma presente.
Il momento della diagnosi come “lutto delle aspettative”
Nel momento in cui arriva una diagnosi di autismo, questo scenario può sgretolarsi.
Non perché venga meno il figlio reale – che è lì, presente, vivo – ma perché cade il figlio immaginato. Si apre così uno spazio di smarrimento che molti genitori faticano a nominare. Alcuni si sentono in colpa per il dolore che provano, come se non fosse lecito “soffrire” per una diagnosi e per una perdita non “vera”. Ma quella che si sperimenta è, a tutti gli effetti, una perdita simbolica, un lutto delle aspettative, che in psicologia può essere considerata una forma di lutto.
Uno degli aspetti più dolorosi di questo tipo di lutto è che non è riconosciuto socialmente. Non ci sono rituali, parole di conforto o spazio di ascolto dedicati. I genitori si trovano a dover “andare avanti” mentre dentro sentono che qualcosa è crollato. Questo silenzio sociale aumenta la solitudine e il senso di inadeguatezza.
Le fasi del lutto nei genitori
Secondo la psicologia Elisabeth Kubert – Ross, le fasi del lutto (originariamente riferite alla morte fisica) sono:
- Negazione, <<Non è possibile, forse si sono sbagliati>>
- Rabbia, <<Perché a noi? Perché a lui?>>
- Contrattazione, <<Se facciamo tutte le terapie giuste, magari passa>>
- Depressione, <<Non sarà mai come gli altri, non ce la faremo>>
- Accettazione, <<è mio figlio. Ed è proprio lui>>
Molti genitori possono attraversare queste fasi in modo non lineare, con oscillazioni e ritorni. È importante che questo processo venga accompagnato senza giudizio, con empatia e presenza. Non si tratta di patologizzare il dolore, ma di legittimarlo, affinché non diventi blocco o solitudine.
La pressione della genitorialità performativa
Oggi i genitori sono spesso spinti a dimostrare che tutto va bene, che sono capaci, resilienti, forti. Questo porta a interiorizzare un’idea tossica: se provo dolore, allora sto fallendo. Ma elaborare un lutto non è fallimento, è un atto di amore e maturità verso il proprio figlio reale.
A questo si aggiunge una pressione sociale più ampia: viviamo in una società che richiede, implicitamente o esplicitamente, un atteggiamento sempre positivo e propenso, anche di fronte alla sofferenza. Sui social, in particolare, si diffonde un’immagine idealizzata della genitorialità, dove mostrare fragilità sembra quasi un tabù. Questo crea una distanza ancora più grande tra ciò che i genitori provano davvero e ciò che sentono di dover dimostrare.
Un secondo lutto, quando finisce l’infanzia
Quello che spesso si ignora è il percorso non finisce lì. Per molti genitori, un secondo “lutto” si verifica nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Dopo la diagnosi, le famiglie iniziano un percorso: si informano, trovano professionisti, intraprendono interventi, vedono progressi. Inizia a crescere una speranza nuova, più concreta. Si formano nuove aspettative, magari più realistiche ma pur sempre piene di fiducia.
Eppure, l’autismo è una condizione complessa e non lineare. Spesso porta con sé ricadute, regressioni, crisi adolescenziali che possono riattivare paure antiche. In quel momento, i genitori si trovano ancora una volta a fare i conti con una frustrazione profonda: <<Ce l’avevamo quasi fatta, perché adesso di nuovo tutto si blocca>>
È qui che si consuma, per molti, un secondo lutto delle aspettative. Questa volta più silenzioso, più intimo, ma non per questo meno doloroso. E anche questo richiede spazio di elaborazione e non minimizzazione.
La frattura delle coppie: due modi di vivere il dolore
Un aspetto spesso trascurato è che la madre e il padre possono vivere questo lutto in modi diversi e asincroni. Uno può volere agire subito, l’altro può bloccarsi nel dolore. Questo crea delle fratture nella coppia, che a loro volta possono amplificare la sofferenza, serve uno spazio anche per questo: per aiutare i genitori non solo a sostenere il figlio, ma anche a sostenersi a vicenda. A ricordare che esiste ancora una loro dimensione, che dedicare tempo a loro non deve essere motivo di sensi di colpa.
Il lutto come processo che lascia spazio alla rinascita
Ogni lutto, anche quello simbolico, non è solo fine: è anche trasformazione. Quando viene accolto e attraversato, apre nuove possibilità. Alcuni genitori raccontano che solo dopo aver “lasciato andare” l’idea di un figlio perfetto, hanno iniziato a conoscerlo davvero. A vederlo per ciò che è, e non per ciò che mancava.
Perché è importante parlarne
Riconoscere questo tipo di lutto non significa ridurre il figlio alla sua diagnosi, né essere genitori meno bravi o proiettare tristezza sulla sua vita. Al contrario, vuol dire attraversare onestamente le emozioni per poter incontrare il proprio figlio così com’è, e non come ci si era immaginati che fosse.
Significa permettere a sé stessi, al sé genitore, di fare pace con la frattura e di ricostruire un senso nuovo. Dove c’era un ideale si può formare un legame autentico, fatto di scoperte inattese.
Il lutto delle aspettative è un passaggio complesso ma profondamento umano. Riconoscerlo, nominarlo, elaborarlo è il primo passo per ricostruire la relazione con sé stessi, con il figlio e con l’immagine di famiglia.