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La dimensione corporea nella relazione terapeutica online – Psicologia Digitale

Nella psicoterapia online, nonostante la mancanza della presenza fisica, la dimensione corporea gioca un ruolo centrale nella relazione terapeutica

Di Chiara Cilardo

Pubblicato il 16 Mag. 2025

Corpo e presenza nella psicoterapia online: una relazione oltre la distanza

PSICOLOGIA DIGITALE – (Nr. 70) La dimensione corporea nella relazione terapeutica online

Oggi migliaia di pazienti svolgono regolarmente sedute di psicoterapia online. La pandemia da COVID-19 ha accelerato un processo già in atto e ha portato a una diffusione rapida e capillare delle pratiche digitali. Quella che inizialmente era una risposta emergenziale si è trasformata in una modalità stabile di lavoro clinico scelta da molti professionisti e pazienti per ragioni di accessibilità, flessibilità e continuità.

Ma cosa accade alla relazione terapeutica quando ci si incontra a distanza? In che modo cambia il processo clinico quando lo spazio condiviso diventa digitale?

Il corpo ha un ruolo: non è un semplice “contenitore” ma parte attiva e costitutiva dell’esperienza. Pensieri, emozioni e relazioni emergono dall’interazione dinamica tra corpo, ambiente e contesto sociale. La presenza non si limita alla vicinanza fisica ma nasce dalla qualità dell’interazione incarnata (García et al., 2022).

Comprendere come questa dimensione possa essere sostenuta anche online porta a interrogarsi su come la dimensione corporea continui a sostenere il processo terapeutico anche a distanza. 

Che cos’è l’embodiment nella psicoterapia online

Anche nella relazione terapeutica i segnali corporei danno ritmo e profondità allo scambio. Il corpo del paziente e quello del terapeuta comunicano in modo continuo e implicito: nella postura, nei gesti, nel ritmo del respiro, nella prosodia della voce, nei micromovimenti facciali, nelle pause, persino nelle sensazioni viscerali che emergono nel corso della seduta.

Tutti questi elementi costituiscono quella che Carroll (2021) chiama embodied intersubjectivity: una dinamica incarnata, fatta di micro-eventi relazionali che si manifestano nel momento presente anche al di sotto della soglia della consapevolezza verbale.

A influenzare questo incontro non sono solo i corpi ma anche lo spazio che li accoglie. L’embodiment, infatti, riguarda anche il contesto ambientale e sensoriale in cui si svolge la relazione: l’illuminazione, i suoni, la disposizione degli arredi, la temperatura e perfino l’estetica dello studio contribuiscono a modulare l’esperienza condivisa (Carroll, 2021).

Non conta solo cosa viene detto ma anche come viene detto: il tono, il ritmo, il contesto, la qualità della presenza reciproca, la possibilità di co-costruire uno spazio percepito come sicuro. Il corpo diventa uno strumento che sostiene l’alleanza terapeutica e facilita l’apertura emotiva (Rizzo et al., 2024).

Dal setting fisico a quello digitale

Nel setting online c’è una modifica strutturale: la mediazione dello schermo implica la perdita della co-presenza fisica e con essa di molte delle coordinate corporee e sensoriali che danno forma all’interazione terapeutica. In presenza, il corpo è visibile nella sua interezza; online, invece, il campo visivo si restringe quasi sempre alla parte superiore del busto, cosa che limita la percezione di posture, movimenti e gesti spontanei.

Elementi essenziali del dialogo corporeo come il respiro, l’orientamento nello spazio o i cambiamenti posturali diventano meno accessibili, quando non del tutto invisibili: questo può alterare la percezione reciproca, ridurre la spontaneità e accentuare l’auto-monitoraggio del proprio corpo sullo schermo (García et al., 2022).

Anche lo spazio terapeutico si trasforma: se lo studio del terapeuta rappresenta un contenitore protetto e intenzionalmente strutturato, il contesto da cui ci si connette non sempre garantisce le condizioni di privacy e contenimento richieste dal setting terapeutico.

A questo si aggiunge un aspetto più sottile ma altrettanto incisivo: l’alterazione del ritmo relazionale. I ritardi di latenza, i micro-silenzi involontari e la difficoltà nel mantenere un contatto visivo possono compromettere la sintonizzazione emotiva (Carroll, 2021).

Inoltre, la psicoterapia online elimina momenti di transizione come il tragitto, l’attesa o il rientro a casa, che aiutano a rendere l’ingresso in seduta più graduale e meno compresso tra le attività quotidiane (García et al., 2022).

Tecniche corporee e adattamenti nella seduta online

Molti terapeuti hanno saputo valorizzare la psicoterapia online adattando tecniche corporee e relazionali al contesto a distanza senza rinunciare alla centralità del corpo come strumento di connessione. Approcci come la Sensorimotor Psychotherapy, il Somatic Experiencing® e l’EMDR sono stati riformulati per il digitale, grazie a istruzioni guidate, strumenti dedicati e una maggiore attenzione alla regolazione corporea anche a distanza; anche tecniche come mindfulness, grounding e respirazione vengono utilizzate con efficacia (Rizzo et al., 2024).

Alcuni terapeuti propongono di trasformare il contesto domestico del paziente in un “mini-setting terapeutico” utilizzando oggetti simbolici (come cuscini, teli o luci specifiche) per ricreare, per quanto possibile, la percezione di contenimento e sicurezza. Altri introducono rituali digitali come, ad esempio, chiedere al paziente di compiere un gesto simbolico prima di iniziare la seduta. Questi piccoli gesti aiutano a marcare la soglia tra la quotidianità e lo spazio terapeutico (Carroll, 2021).

Un altro punto è che online l’asimmetria tradizionalmente implicita nella relazione terapeutica viene sfumata. Connettendosi dai propri spazi personali, clinico e paziente non sono più collocati in un setting “del terapeuta”, ma in una cornice più orizzontale. Questa configurazione paritaria fa sperimentare un maggiore senso di agency e partecipazione attiva (García et al., 2022).

Il corpo rimane al centro anche nella clinica digitale

L’esperienza della psicoterapia online ha mostrato quanto il corpo resta centrale nella relazione terapeutica, anche quando lo schermo sembra dividerci. Nella pratica digitale, l’embodiment non scompare: si modifica, si adatta, a volte si attenua e può anche riemergere in forme nuove, inaspettate (Rizzo et al., 2024).

Molti professionisti hanno saputo trovare modalità creative per preservare, e talvolta potenziare, la dimensione corporea del lavoro clinico. Come mostrano i case study riportati da Carroll (2021), il digitale ha stimolato pratiche adattive: spostare la videocamera per consentire il movimento, proporre giochi simbolici con bambini, o introdurre esercizi espressivi con la voce e il corpo. Anche se nate da esigenze pratiche, queste soluzioni hanno dato vita a connessioni non meno significative di quelle costruite in setting tradizionali. Come osserva Giampà (2024), l’approccio embodied non è in contrasto con il digitale: richiede piuttosto una ridefinizione consapevole delle pratiche e una nuova sensibilità verso il corpo a distanza. 

E mentre le tecnologie avanzano, il corpo continua a essere il nostro principale strumento di connessione. In un mondo sempre più smaterializzato, dove il contatto passa attraverso schermi, codici e algoritmi, resta proprio il corpo – anche, e forse soprattutto, quando è fisicamente lontano – a custodire la possibilità di sentirci davvero in relazione.

Riferimenti Bibliografici
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