Riflessioni sul concetto di trauma
Negli ultimi anni, la parola “trauma” è entrata nel nostro linguaggio quotidiano. La usiamo per descrivere esperienze difficili, relazioni tossiche, eventi dolorosi della nostra infanzia. Ma cosa significa davvero “trauma”? È possibile che, nel tentativo di portare più consapevolezza al dolore psicologico, stiamo finendo per vedere traumi ovunque?
A queste domande cerca di rispondere Joel Paris, psichiatra e professore alla McGill University, nel suo libro Miti del trauma (Raffaello Cortina Editore, 2024). Con tono lucido, rispettoso ma anche decisamente critico, Paris affronta una delle grandi narrative della psicologia contemporanea: quella che lega quasi ogni forma di sofferenza mentale a un trauma infantile.
Attenzione: Paris non nega l’esistenza del trauma. Al contrario, riconosce il peso devastante che eventi come abusi, violenze o gravi trascuratezze possono avere sullo sviluppo psicologico. Ma mette in guardia contro un uso troppo esteso, quasi “inflazionato”, del concetto di trauma. Non tutto ciò che ci fa stare male, sostiene, può o deve essere spiegato come il risultato di un trauma irrisolto.
Il libro Miti del trauma
Sin dall’inizio del libro Miti del trauma, l’autore chiarisce che uno dei problemi fondamentali è proprio la definizione stessa di “trauma“, oggi usata in modo sempre più vago e impreciso. Nei primi capitoli, Paris si sofferma sul disturbo da stress post-traumatico (PTSD), mostrando come i criteri diagnostici si siano progressivamente ampliati, fino a includere esperienze che, pur dolorose, non rientrano nella definizione clinica originaria del trauma. Questo, sostiene, ha portato a una sovradiagnosi del disturbo, con il rischio di vedere trauma dove non ce n’è uno clinicamente fondato.
Uno degli aspetti più interessanti è la riflessione sulla resilienza umana: la maggior parte delle persone esposte a eventi traumatici, sottolinea Paris, non sviluppa PTSD. La sofferenza non è automatica né universale. Esistono risorse psicologiche, supporti sociali e differenze individuali che ci proteggono e che andrebbero riconosciute tanto quanto il danno.
Nel corso del libro Miti del trauma, Paris si spinge oltre la clinica, affrontando anche le implicazioni sociali e politiche della “cultura del trauma“. Il trauma, scrive, è diventato una lente attraverso cui rileggiamo non solo le storie personali, ma anche quelle collettive, con effetti ambivalenti: da un lato legittima il dolore, dall’altro rischia di fossilizzarlo in identità vittimistiche.
Un’intera sezione è dedicata al tema controverso dei ricordi recuperati – memorie di abusi infantili che emergono improvvisamente in età adulta, spesso in contesti terapeutici. Paris invita alla cautela: questi ricordi possono essere ricostruzioni influenzate dal contesto, dalla suggestione o da aspettative implicite, e non sempre corrispondono a eventi realmente accaduti.
La seconda metà del libro Miti del trauma si concentra sulle comorbilità del PTSD e sulla proposta, emersa negli ultimi anni, di un PTSD “complesso”, pensato per spiegare sintomi più diffusi e duraturi legati a traumi cronici. Paris rimane scettico: molti dei sintomi attribuiti al PTSD complesso, come l’instabilità emotiva o le difficoltà relazionali, sono – secondo lui – meglio inquadrabili in termini di disturbi di personalità, piuttosto che in un’unica nuova etichetta clinica.
Verso la fine del libro Miti del trauma, l’autore propone un ritorno a una prospettiva biopsicosociale del disagio psicologico: ogni sofferenza mentale è il risultato di una complessa interazione tra vulnerabilità biologiche, esperienze ambientali e risposte personali. La terapia, quindi, non dovrebbe limitarsi a “scovare” il trauma nascosto, ma lavorare con ciò che la persona è oggi, nel presente.
Oltre il trauma: un invito alla complessità della sofferenza
Il libro Miti del trauma è scritto con uno stile chiaro, asciutto, privo di tecnicismi inutili. Paris non cerca il sensazionalismo, né si arroga il diritto di dire l’ultima parola. Piuttosto, invita a un approccio più critico e responsabile: non basta dire “sei traumatizzato”, bisogna capire come e perché quella persona soffre oggi, e soprattutto come può uscirne.
Miti del trauma è una lettura utile non solo per psicologi e terapeuti, ma anche per chi è interessato a riflettere sui modi in cui raccontiamo la sofferenza. In un’epoca in cui il trauma rischia di diventare una spiegazione “totale”, questo libro ci ricorda che la psiche umana è più sfumata, e che a volte il lavoro terapeutico parte proprio da lì: dal riconoscere che il dolore non sempre ha una causa unica, e che guarire non significa per forza scavare nel passato alla ricerca di un colpevole.