Le teorie del complotto
Le “teorie del complotto” possono essere definite come spiegazioni di eventi che ne attribuiscono la causa a un gruppo di potenti individui (i cosiddetti cospiratori), i quali operano in segreto elaborando piani che avvantaggiano loro stessi e danneggiano il bene comune (Bowes et al., 2023). Esse tendono ad emergere in risposta a sentimenti di incertezza, paura e sfiducia nelle autorità, offrendo una spiegazione semplice a eventi che in realtà sono molto complessi (ad esempio, l’emergenza sanitaria del Covid-19, che secondo alcuni sarebbe stata pianificata in anticipo). Attualmente, le teorie del complotto possono diffondersi con una rapidità senza precedenti, soprattutto grazie all’utilizzo dei social media, i quali permettono agli individui che sostengono una determinata teoria di tenersi facilmente in contatto, rafforzando reciprocamente le proprie opinioni (Hedrih, 2025).
Riprendendo la definizione, è possibile osservare che una teoria del complotto si compone di tre credenze principali:
- l’esistenza di un gruppo di potenti individui,
- la credenza che essi collaborano in segreto,
- la credenza che mettono in atto comportamenti volti a favorire loro stessi, danneggiando al contempo gli altri.
Secondo alcuni studiosi (Douglas & Sutton, 2023; Harmon-Jones et al., 2024), questo terzo elemento – ovvero, il grado di malignità attribuito al gruppo dei cospiratori – può differire tra le varie teorie: per fare un esempio, la teoria secondo cui la morte della principessa Diana sarebbe stata orchestrata dal governo britannico attribuisce intenzioni molto più malvagie al gruppo dei cospiratori rispetto a quella secondo cui i “potenti” nascondono il fatto che la Terra è piatta. Approfondire il livello di malignità attribuito al gruppo dei cospiratori potrebbe quindi essere interessante per comprendere meglio le teorie del complotto e le caratteristiche degli individui che tendono a sostenerle.
Il legame tra rabbia e teorie del complotto
A questo proposito, un recente studio ha indagato tale elemento in relazione alla rabbia di tratto — una caratteristica della personalità che riflette la tendenza a provare rabbia più frequentemente e intensamente (Deffenbacher et al., 1996) — evidenziando che gli individui che presentano livelli più elevati di rabbia di tratto sono più propensi ad attribuire intenzioni malevole al gruppo dei cospiratori (Harmon-Jones & Szymaniak, 2023). La ricerca ha dimostrato che le persone con un’elevata rabbia di tratto tendono non solo a credere più fortemente nelle teorie del complotto, ma anche a percepire i cospiratori come più malvagi, corrotti e intenzionati a danneggiare gli altri. Questo suggerisce che la rabbia di tratto può amplificare le percezioni di malignità nei confronti di eventuali gruppi che “agiscono segretamente”.
Tuttavia, è importante sottolineare che i risultati dello studio erano basati su dati correlazionali, che non consentono di stabilire un rapporto di causa-effetto. Non era dunque chiaro se fosse la rabbia di tratto a determinare una maggiore credenza nelle teorie complottistiche con elevata malignità o se, al contrario, fossero queste credenze ad alimentare la rabbia. Per fare fronte a questa limitazione, Harmon-Jones et al. (2024) hanno condotto un nuovo studio, manipolando il livello di malignità percepita nelle teorie complottistiche, per esplorare con maggiore precisione il ruolo della rabbia di tratto.
I risultati della ricerca di Harmon-Jones et al. (2024)
Lo studio più recente (Harmon-Jones et al., 2024) ha adottato una metodologia sperimentale per esaminare con ulteriore precisione il legame tra rabbia di tratto e credenze complottistiche, tentando di stabilire in quale direzione avvenisse l’influenza tra le due variabili. I ricercatori hanno elaborato un questionario con versioni “ad alta malignità” e “a bassa malignità” di diverse teorie complottistiche poco conosciute. Per esempio, una teoria “ad alta malignità” ipotizzava che un gruppo avesse deliberatamente causato gravi danni per un proprio tornaconto, mentre la versione “a bassa malignità” descriveva un comportamento meno maligno. I partecipanti dovevano valutare quanto credevano in ciascuna teoria e quanto percepivano i cospiratori come malvagi.
I risultati hanno confermato l’ipotesi iniziale: le persone con livelli elevati di rabbia di tratto mostravano una maggiore propensione a credere nelle teorie “ad alta malignità”, effetto che si manteneva anche quando si controllava la credenza complottistica nelle versioni “a bassa malignità”. Questo effetto era indipendente da altre variabili, come la mentalità complottistica generale e la soddisfazione per la vita. Inoltre, la rabbia di tratto si è rivelata un predittore unico per credenze complottistiche ad alta malignità, indicando che le percezioni di intenzioni malevole sono un fattore cruciale nel collegare rabbia e teorie del complotto.
Questi risultati offrono nuove prospettive sul ruolo delle emozioni e delle percezioni soggettive nella diffusione delle teorie del complotto, sottolineando l’importanza di affrontare i fattori emotivi per limitare l’impatto di tali credenze.