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Pregiudizi sugli accenti: l’ostacolo invisibile nelle carriere lavorative

Il bias sugli accenti può influenzare le opportunità di carriera, portando a discriminazioni e ostacoli professionali

Di Silvia Bettoni, Silvia Carrara, Martina Gori, Giulia Onida

Pubblicato il 14 Feb. 2025

Il bias sugli accenti e le sue conseguenze

L’accento è una caratteristica naturale del linguaggio, che riflette l’origine geografica, culturale o linguistica di una persona. Può derivare dal luogo in cui si è cresciuti, dalla lingua madre o dall’apprendimento di una seconda lingua. Gli accenti sono estremamente riconoscibili: bastano poche parole perché gli ascoltatori notino immediatamente sfumature di pronuncia differenti. Nonostante ciò, nella maggior parte dei casi, gli accenti non compromettono la comprensione del messaggio (Grantham O’Brien et al., 2024).

Eppure, la percezione di un accento “straniero” può suscitare reazioni che vanno oltre il semplice riconoscimento. Gli accenti svolgono infatti un doppio ruolo: da un lato, rappresentano una parte importante dell’identità di una persona, raccontando storie di origine e appartenenza culturale; dall’altro, sono spesso causa di stereotipi e pregiudizi negativi. Chi parla con un accento diverso da quello locale può essere percepito come meno affidabile, meno competente o persino meno intelligente, indipendentemente dalle sue reali capacità o qualifiche (Kinzler et al., 2010; Rubin et al., 2009). Questo tipo di bias, dunque, non solo limita la percezione delle capacità di una persona, ma rafforza un’immagine distorta che penalizza la diversità linguistica e culturale.

Il bias sul posto di lavoro

Nel contesto lavorativo, il bias sugli accenti può trasformarsi in un ostacolo significativo per chi cerca di affermarsi professionalmente. Sebbene un accento non nativo non comprometta necessariamente le competenze o l’efficacia comunicativa di una persona, è spesso associato a pregiudizi che influenzano negativamente le opportunità di carriera.

Chi parla con un accento percepito come “straniero” può essere escluso dai ruoli di responsabilità, in particolare quelli che richiedono un’elevata interazione comunicativa. Questo pregiudizio non si limita all’accesso ai ruoli “chiave”, ma si riflette anche in salari inferiori e valutazioni professionali penalizzanti. Per molti lavoratori, ciò significa dover dimostrare costantemente il proprio valore in un ambiente che tende a sottovalutarli (Beyer, 2016; Hansen, 2019; Iheduru-Anderson, 2020; Russo et al., 2017; Spence et al., 2022).

Le conseguenze personali sono altrettanto rilevanti. Il bias sugli accenti può generare un forte stress, alimentato dalla sensazione di doversi conformare a standard che penalizzano la diversità. Nel tempo, questo porta a un impatto negativo sulla salute mentale, con sentimenti di inadeguatezza e isolamento che possono minare il benessere generale (Wated & Sanchez, 2006).

Contrastare il bias sul posto di lavoro non significa solo garantire pari opportunità, ma anche riconoscere il valore della diversità linguistica come una risorsa. Un ambiente inclusivo, in cui l’accento non determini il giudizio sulle capacità, rappresenta un passo fondamentale verso una cultura lavorativa più equa e rispettosa.

Le risorse umane: tra stereotipi e buone pratiche

Per esplorare maggiormente come il bias sugli accenti possa impattare sul contesto lavorativo, il gruppo di ricerca di Mary Grantham O’Brien – professoressa di Linguistica presso la Simon Fraser University – ha recentemente condotto una serie di studi volti a indagare le conoscenze dei professionisti impiegati nelle risorse umane sul bias sugli accenti, osservando inoltre come essi rispondono a chi parla con un accento percepito come “straniero”.

Un primo studio ha coinvolto 6 professori universitari di gestione delle risorse umane e alcuni dei loro studenti (O’Brien et al., 2024), evidenziando che i programmi universitari, così come i libri di testo in essi utilizzati, generalmente non si focalizzano sui pregiudizi legati all’accento e su come il modo di parlare di un potenziale dipendente possa giocare un ruolo nelle decisioni relative alla sua assunzione. Nonostante questo, gli studenti hanno dimostrato di avere una buona comprensione del fenomeno del bias sugli accenti, articolando diversi esempi di come quest’ultimo potrebbe condurre a pregiudizi e discriminazioni, e hanno sottolineato la rilevanza dell’affrontare tale tematica nel corso della loro formazione (O’Brien et al., 2024; Trofimovich et al., 2024).

Una successiva indagine ha coinvolto 80 studenti di gestione delle risorse umane, a cui è stato chiesto di valutare l’occupabilità di una serie di candidati con diversi background linguistici – dei quali hanno letto il curriculum e ascoltato le registrazioni di colloqui di lavoro (simulati) – dimostrando di essere in grado di individuare i candidati più qualificati, indipendentemente dall’accento (Teló et al., 2024). Risultati simili sono emersi da uno studio condotto su professionisti delle risorse umane, che tuttavia hanno mostrato di non essere completamente liberi dal bias sugli accenti, soprattutto in relazione ad alcuni ruoli, ad esempio “posizioni manageriali o in cui [i candidati] devono parlare più spesso durante le riunioni” (Teló et al., 2023). 

Per un futuro senza pregiudizi

I risultati di questi studi sottolineano che, per quanto i professionisti delle risorse umane siano tendenzialmente in grado di valutare un candidato in base alle sue qualifiche, essi non sono completamente immuni al bias sull’accento e ai pregiudizi che ne derivano. Inoltre, è stato osservato che chi parla una seconda lingua si preoccupa del fatto che possa avere un accento (Derwing, 2003) e – come è emerso negli studi di O’Brien – gli studenti di gestione delle risorse umane desiderano che il loro percorso di formazione li istruisca anche sui possibili pregiudizi legati all’accento (O’Brien et al., 2024). Risulta quindi fondamentale attuare dei provvedimenti volti ad abbattere l’impatto del bias sull’accento, affinché chi parla una seconda lingua abbia davvero la possibilità di ricoprire un ruolo che rispecchia le sue competenze.

Gli stereotipi si sviluppano quando gli individui appartenenti a determinati gruppi sociali o linguistici vengono costantemente associati a ruoli considerati per loro “abituali”. Per superarli, è dunque necessario che vi sia una maggiore rappresentanza di persone che parlano con un accento in posizioni professionali di prestigio. Un altro potente strumento è rappresentato dal contatto inter-gruppo, ad esempio favorendo l’opportunità di lavorare in team con professionisti esperti e di successo che parlano una seconda lingua: questo approccio può contribuire a sfatare “nella pratica” diversi pregiudizi sugli accenti, tra cui l’aspettativa che chi parla l’idioma del Paese dove risiede come seconda lingua abbia prestazioni inferiori a chi parla la lingua madre.

In conclusione, il nostro accento fa parte della nostra identità e non è una misura delle nostre competenze. In un mondo sempre più globalizzato, promuovere una maggiore inclusione di chi parla con un accento “straniero” – anche nei contesti lavorativi – rappresenta un passo importante verso una cultura che garantisca pari opportunità e riconosca il valore della diversità linguistica. 

Riferimenti Bibliografici
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