ADHD: quale incidenza?
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è comunemente associato ai bambini, ma pochi sanno che può persistere anche nell’età adulta. In Italia, si stima che il 2,8% della popolazione adulta conviva con questa condizione, spesso senza saperlo. L’ADHD non trattato può avere un’influenza significativa sulla vita quotidiana, incidendo sul rendimento scolastico e lavorativo, sulle relazioni sociali e sulla salute mentale. Nonostante l’evidenza clinica e scientifica, la diagnosi nell’adulto è spesso sottovalutata e in Italia mancano ancora linee guida nazionali per il trattamento e la diagnosi di questa patologia.
Cosa è l’ADHD negli Adulti?
L’ADHD è caratterizzato da sintomi persistenti di disattenzione, iperattività e impulsività. Sebbene questi sintomi siano più evidenti nei bambini, in circa il 60% dei casi continuano nell’età adulta. Negli adulti, l’iperattività fisica si trasforma spesso in irrequietezza interna e l’impulsività può manifestarsi come difficoltà nel controllo delle emozioni e nei rapporti sociali. Inoltre, gli adulti con ADHD tendono ad avere problemi di concentrazione, difficoltà a completare i compiti e sbalzi di umore. Spesso, la difficoltà a diagnosticare l’ADHD negli adulti risiede nella capacità delle persone di sviluppare strategie di compensazione, rendendo meno evidenti i sintomi principali. Ciò è particolarmente evidente quando il livello intellettivo dei soggetti è sufficientemente elevato.
Le sfide diagnostiche in Italia
In molti paesi esistono linee guida consolidate per la diagnosi e il trattamento dell’ADHD negli adulti. Il Regno Unito, ad esempio, con il National Institute for Health and Care Excellence (NICE), ha stabilito una serie di raccomandazioni che includono l’uso di gruppi multidisciplinari per la diagnosi, nonché la formazione specifica per i professionisti della salute. In Italia, invece, mancano linee guida nazionali per gli adulti e la diagnosi varia notevolmente da regione a regione. Questo comporta diagnosi disomogenee e trattamenti non uniformi nonostante si assista ad una tendenza all’omogeneizzazione dei protocolli diagnostici applicati da alcuni centri specializzati nel trattamento del disturbo. In alcuni casi, come in Emilia-Romagna, esistono degli indirizzi a livello regionale per il coordinamento delle procedure diagnostiche. Ma si tratta di situazioni piuttosto isolate e forse uniche nel panorama nazionale.
Strumenti diagnostici per l’ADHD
Per diagnosticare l’ADHD negli adulti, esistono diversi strumenti utilizzati e validati a livello internazionale. Tra i più usati vi è la Adult ADHD Self-Report Scale (ASRS), una scala di autovalutazione che permette di identificare i sintomi principali dell’ADHD basandosi sui criteri del DSM-5. Altri strumenti includono la Wender Utah Rating Scale (WURS), che valuta i sintomi infantili dell’ADHD retrospettivamente, e la Diagnostic Interview for ADHD in Adults (DIVA), un’intervista semi-strutturata per una diagnosi approfondita. L’uso combinato di questi strumenti permette di ottenere una valutazione più accurata e completa del disturbo. Tuttavia, è necessario sottolineare come la diagnosi finale debba basarsi sempre su una valutazione clinica accurata, spesso supportata da informazioni raccolte da familiari o persone vicine al paziente. Entrando nello specifico, la prassi oramai consolidata e convalidata da diverse ricerche in ambito internazionale prevede una sequenza di fasi che sono importanti anche a livello di diagnosi differenziale. La diagnosi dell’ADHD negli adulti, infatti, richiede una procedura strutturata al fine di garantire un’accuratezza diagnostica e ridurre il rischio di falsi positivi o negativi. La sequenza diagnostica standard prevede una fase preliminare di screening seguita da una valutazione clinica più approfondita. L’impiego di diversi strumenti diagnostici in ciascuna fase è cruciale per identificare correttamente i sintomi e differenziarli da altre condizioni:
- Fase di screening: Nella fase iniziale, si utilizzano strumenti rapidi ed efficaci per identificare i possibili sintomi dell’ADHD. Uno dei più comuni è la Adult ADHD Self-Report Scale (ASRS), una scala di autovalutazione sviluppata per rilevare i sintomi principali dell’ADHD secondo i criteri del DSM-5. La versione breve della ASRS, composta da sei domande, è molto utilizzata per la sua facilità di somministrazione e le sue buone proprietà psicometriche. Tuttavia, la ASRS non può essere utilizzata da sola per una diagnosi definitiva. Gli individui che superano una certa soglia nella scala di screening vengono invitati a sottoporsi a una valutazione clinica più dettagliata.
- Approfondimento retrospettivo: La Wender Utah Rating Scale (WURS) è uno strumento retrospettivo che valuta i sintomi dell’ADHD nell’infanzia, una fase cruciale della diagnosi. L’ADHD è infatti considerato un disturbo del neurosviluppo che deve manifestarsi prima dei 12 anni. La WURS permette ai pazienti di riflettere sui loro comportamenti infantili e aiuta a determinare se i sintomi attuali siano una continuazione di quelli manifestati durante l’infanzia. Questo passaggio è fondamentale per escludere altre condizioni che possono presentare sintomi simili all’ADHD nell’età adulta, ma non hanno radici nello sviluppo infantile.
- Valutazione clinica approfondita: Una volta superate le fasi di screening e retrospettiva, è essenziale una valutazione clinica più approfondita per confermare la diagnosi e valutare l’impatto funzionale dei sintomi. La Diagnostic Interview for ADHD in Adults (DIVA) è lo strumento diagnostico più completo e utilizzato in questa fase. Si tratta di un’intervista semi-strutturata che esamina i sintomi dell’ADHD sia durante l’infanzia che nell’età adulta considerando cinque aree della vita quotidiana (lavoro, relazioni, vita sociale, tempo libero, autostima). La DIVA, inoltre, permette di identificare le comorbilità psichiatriche, spesso presenti negli adulti con ADHD, come disturbi d’ansia o dell’umore, il che è essenziale per una gestione terapeutica completa.
L’importanza della giusta sequenza
Seguire questa sequenza diagnostica è essenziale per evitare errori e sovradiagnosi, ma anche per garantire che i pazienti ricevano un trattamento appropriato. La fase di screening riduce il numero di individui che necessitano di una valutazione più complessa, permettendo una gestione più efficiente nell’ambito del sistema sanitario. Tuttavia, strumenti come la ASRS non possono essere utilizzati da soli per prendere decisioni cliniche definitive; è fondamentale che siano seguiti da strumenti più dettagliati come la WURS e la DIVA, che offrono una visione più profonda e clinicamente rilevante del disturbo.
L’assenza di una sequenza diagnostica rigorosa può portare a diagnosi incomplete o errate. Ad esempio, un individuo può risultare positivo alla ASRS per sintomi di disattenzione, ma non avere una storia di sintomi in età infantile, rendendo improbabile una diagnosi di ADHD. In questi casi, una corretta diagnosi differenziale è essenziale per escludere altre condizioni che possono presentare sintomi sovrapposti, come disturbi dell’umore o l’ansia.
Verso Linee Guida Italiane per l’ADHD negli adulti
L’Italia, nonostante i numerosi sforzi della comunità scientifica, non ha ancora adottato linee guida nazionali per la diagnosi e il trattamento dell’ADHD negli adulti. La creazione di un protocollo nazionale sarebbe un passo cruciale per uniformare le diagnosi e migliorare i risultati clinici. L’introduzione di linee guida consentirebbe anche una migliore gestione dei trattamenti, riducendo il rischio di sottodiagnosi e trattamenti inappropriati. Altri paesi europei, come la Germania e il Regno Unito, hanno dimostrato che l’adozione di protocolli clinici standardizzati porta benefici significativi, non solo per i pazienti, ma anche per il sistema sanitario nel suo complesso. L’adozione di Linee Guida nazionali, infatti, consentirebbe di integrare i protocolli diagnostici e trattamentali all’interno delle modalità specifiche di funzionamento del SSN italiano.
L’importanza di una diagnosi accurata di ADHD negli adulti
Una diagnosi accurata di ADHD negli adulti richiede quindi un approccio multilivello che integri strumenti di screening, interviste cliniche approfondite e una considerazione attenta della storia di sviluppo dell’individuo. Senza linee guida nazionali specifiche che indichino chiaramente l’uso di una sequenza diagnostica standardizzata, il rischio di disomogeneità diagnostica in Italia rimane elevato. L’adozione di linee guida ben definite migliorerebbe non solo la precisione diagnostica, ma anche l’efficacia del trattamento e il benessere complessivo dei pazienti.