Intelligenza artificiale ed empatia
PSICOLOGIA DIGITALE – (Nr. 58) Possiamo davvero provare empatia per le intelligenze artificiali?
“Come ti senti?” “Perché mi hai risposto così?” “Hai idea di come ciò mi può far sentire?” Questi sono alcuni esempi del Test di Consapevolezza dell’Intelligenza Artificiale elaborato da Schneider nel 2019. Sulla base di risposte e comportamenti in scenari complessi, questo test dovrebbe valutare fino a che punto possiamo considerare “cosciente” una intelligenza artificiale. L’Autrice sostiene che la coscienza in un’intelligenza artificiale dovrebbe includere la consapevolezza di sé, la percezione soggettiva e una comprensione profonda delle esperienze e delle azioni proprie e altrui; quindi, dovrebbe possedere anche l’empatia.
L’empatia è la capacità di comprendere e condividere i sentimenti e le emozioni di un’altra persona, è la capacità di mettersi nei panni dell’altro, di percepire la sua esperienza emotiva e rispondere in risonanza col vissuto dell’altro; ha una componente cognitiva, affettiva e sensomotoria. Quindi, riguarda la capacità di assumere la prospettiva degli altri, comprendere le loro emozioni e sensazioni.
Esiste una forma di empatia tra esseri umani e macchine? Possiamo provare empatia per le intelligenze artificiali? Come ci sentiamo quando interagiamo con loro?
L’intelligenza artificiale e l’empatia artificiale
L’intelligenza emotiva artificiale (artificial emotional intelligence) è un ramo dell’intelligenza artificiale che si dedica allo sviluppo di sistemi e tecnologie capaci di riconoscere, comprendere e rispondere adeguatamente alle emozioni umane. L’obiettivo è riuscire a identificare le emozioni attraverso segnali come espressioni facciali e tono della voce, capire il contesto e interpretarlo, modulare le risposte in tempo reale e in modo empatico e appropriato sulla base dello stato emotivo dell’utente. Assistenti virtuali, chatbot, servizi clienti automatizzati e robot umanoidi sarebbero molto più efficaci se riuscissero a cogliere le sfumature emotive dei loro interlocutori umani. Allo stato attuale, tutte le forme di intelligenza artificiale manifestano solo una forma di empatia cognitiva, ovvero sono capaci di comprendere e riconoscere le emozioni ma non di condividerle e mettersi nei panni degli altri; colgono la prospettiva ma non la sperimentano. L’empatia per un umano, però, non può prescindere dalle componenti affettiva e sensomotoria; dunque, le intelligenze artificiali non sono dotate di empatia propriamente detta. In questo senso, si parla di “empatia artificiale”, poiché ciò di cui sono dotate le intelligenze artificiali è una simulazione di comportamenti emotivi che manifestano solo nel rapporto con gli esseri umani: si tratta di qualità che emergono esclusivamente dall’interazione, non intrinsecamente possedute dalla tecnologia in sé (Chen et al., 2024). Cosa proviamo noi, invece, nei confronti delle tecnologie?
Cosa ci fa provare empatia per l’intelligenza artificiale?
Proviamo empatia verso intelligenze artificiali a patto che si verifichino alcune condizioni (Chi & Hoang Vu, 2023; Wei 2024). In generale, più un robot o un agente appare simile a un essere umano, maggiore è la probabilità che susciti empatia. Quando mostrano emozioni, come paura o preoccupazione, e dimostrano capacità empatiche, come i robot di compagnia (companion robot) o i chatbot terapeutici, le persone tendono a rispondere con maggiore empatia, soprattutto se in relazione alle risposte umane; questo crea una maggiore fiducia e connessione tra l’utente e la tecnologia. Anche avere un aspetto e un design gradevole ne aumenta la percezione positiva, ma solo fino a un certo punto: secondo la teoria dell’uncanny valley (Mori, 1970/2012) una somiglianza eccessiva può generare paura, inquietudine e ansia. E’ di aiuto nel costruire una relazione di fiducia anche dare dei confini ben definiti che, così, modellano le aspettative e le esperienze degli utenti. Per esempio, attribuendo loro ruoli che definiscano chiaramente competenze e funzionalità, come nel caso dei chatbot “terapeutici”, oppure chiarire che c’è una supervisione da parte di un umano, in particolare nei casi in cui si tratta di assistenza sanitaria, sono tutte cose che aiutano a superare la diffidenza.
Come empatizziamo con le intelligenze artificiali: le basi neurologiche
Studi di risonanza magnetica funzionale hanno identificato reti neurali specifiche per le diverse componenti dell’empatia: la condivisione affettiva e le risposte sensomotorie coinvolgono il sistema dei neuroni specchio e il sistema limbico, mentre l’empatia cognitiva interessa la giunzione temporoparietale, la corteccia prefrontale e il precuneo. Poiché l’interazione sociale dipende dall’empatia, per sviluppare robot umanoidi capaci di interagire più efficacemente con gli esseri umani è essenziale capire se e come le persone empatizzano con loro.
Uno studio recente (Wu et al., 2024) ha utilizzato tecniche di imaging comportamentale, EEG e fMRI per analizzare le risposte alle espressioni di dolore in robot umanoidi o umani, dato che le espressioni di dolore innescano comportamenti prosociali. I risultati ottenuti tramite EEG e fMRI evidenziano una differenza significativa nella manifestazione di reazioni empatiche verso i robot, nonostante la loro capacità di simulare espressioni umane: come indicato da specifiche modulazioni neurali, i sentimenti soggettivi e le risposte cerebrali delle persone differiscono se l’espressione di dolore viene da un’altra persona o da un robot, seppur dai tratti umani. Gli autori ipotizzano che ciò possa derivare anche da una scarsa familiarità con queste tecnologie e che, in futuro, con l’aumento dell’esperienza con i robot umanoidi si andranno a sovrapporre i circuiti neurali e non ci sarà differenza tra l’empatia che proviamo per gli umani e per i robot. Quel momento, però, non è ancora arrivato.