Quando perseveriamo in imprese fallimentari: la fallacia dei costi irrecuperabili
A volte le persone tendono a perseverare nel raggiungimento di un obiettivo anche quando esso appare fallimentare, e sappiamo che questo comportamento può avvenire a causa di bias emotivi e cognitivi: ma quali sono le aree cerebrali che lo sottendono? Un recente studio ha cercato di rispondere a questa domanda.
In numerose situazioni, prima di poter raggiungere un obiettivo è necessario perseverare per un lungo periodo di tempo senza venire ricompensati e sopportando una certa dose di frustrazione: ad esempio, prima di potersi laureare, una persona deve affrontare diversi anni di studio, durante i quali investirà una parte sostanziale delle proprie energie. In tali situazioni, il comportamento ideale consiste nel saper bilanciare l’impegno verso il proprio obiettivo attuale con la capacità di abbandonarlo se non dovesse più valere la pena perseguirlo (magari perché nel frattempo si sono presentate delle alternative più interessanti). Tuttavia, spesso le persone non sono disposte a rinunciare a un proprio obiettivo anche quando esso si rivela dannoso o fallimentare, cadendo in quella che l’economia comportamentale definisce sunk cost fallacy (in italiano, fallacia dei costi irrecuperabili): ad esempio, si legge un libro brutto perché ormai è stato acquistato, oppure si mantiene una relazione affettiva disfunzionale perché vi si è investito molto tempo (Arkes & Blumer, 1985).
La ricerca ha evidenziato che gli individui spesso si impegnano eccessivamente nel raggiungimento di un obiettivo a causa di bias emotivi e cognitivi, mentre i meccanismi cerebrali che sottendono questo comportamento non sono ancora stati ben compresi o approfonditi. Per colmare tale lacuna, il gruppo di ricerca di Eleanor Holton – dottoranda presso il Dipartimento di Psicologia Sperimentale dell’Università di Oxford – ha recentemente condotto uno studio volto a esplorare le regioni cerebrali coinvolte nella fallacia dei costi irrecuperabili: più nello specifico, gli studiosi hanno ipotizzato che la corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC) possa svolgere un ruolo centrale nel mediare l’impegno verso i propri obiettivi, influenzando l’allocazione delle risorse attentive e i processi di decision-making (Holton et al., 2024).
Una ricerca sulla fallacia dei costi irrecuperabili
Lo studio è stato condotto su due campioni, il primo composto da 30 individui sani e il secondo da 26 pazienti con lesioni cerebrali. Per indagare la tendenza a persistere nei propri obiettivi, i partecipanti hanno svolto un compito progettato per simulare scenari decisionali reali, che richiedeva loro di riempire reti da pesca virtuali.
Più nello specifico, essi potevano scegliere tra tre tipologie di prodotti ittici (granchi, polpi e pesci), presentati in quantità diverse visualizzate come barre sullo schermo: la prova consisteva nel decidere se continuare ad aggiungere un dato elemento alla rete attuale o se passare a un’altra rete, sapendo che la seconda scelta avrebbe comportato la perdita di tutti i passaggi precedenti. I partecipanti hanno inizialmente svolto il compito in una fase di test per comprenderne il funzionamento; successivamente, hanno proseguito all’interno di uno scanner per effettuare una risonanza magnetica funzionale (fMRI), così da evidenziare le aree cerebrali maggiormente attive.
Per decretare se un individuo mostrasse una tendenza a persistere eccessivamente nel perseguimento del suo obiettivo corrente, le scelte effettuate nel corso del compito sono state confrontate con un modello computazionale di decision-making “ottimale”.
I ricercatori hanno inoltre ipotizzato che una persistenza eccessiva nel perseguire un dato obiettivo sarebbe risultata correlata a un maggiore orientamento attentivo verso stimoli rilevanti per tale obiettivo. Per esaminare come i partecipanti distribuissero le proprie risorse attentive tra stimoli associati all’obiettivo attuale e stimoli associati a obiettivi alternativi, è stato quindi condotto un compito di attenzione spaziale (intervallato alle sessioni del compito di decision-making): i partecipanti vedevano lampeggiare brevemente su uno schermo le tre tipologie di animali marini in posizioni casuali, e dovevano successivamente indicare la posizione di ogni elemento visualizzato, consapevoli che la loro prestazione a tale compito non avrebbe influito in alcun modo sull’obiettivo di riempire la rete.
Il ruolo della vmPFC nel perseguimento degli obiettivi e nella fallacia dei costi irrecuperabili
Dallo studio di Holton et al. (2024) è emerso che, durante un compito che richiedeva di prendere decisioni sequenziali (scegliere quali animali marini pescare, così da riempire il maggior numero di reti), i partecipanti hanno mostrato un bias di impegno verso l’obiettivo (“goal commitment bias”), ovvero una tendenza a persistere nel raggiungimento dell’obiettivo prefissato più a lungo di quanto fosse vantaggioso (sunk cost bias).
Rispetto ad una scelta ottimale (che permetteva di riempire la rete più velocemente), le persone erano più riluttanti ad abbandonare l’obiettivo quanto più avanzavano verso esso. Ciò è spiegato da un bias attenzionale: la loro attenzione selettiva orientata all’obiettivo aumentava man mano che i partecipanti si avvicinavano al completamento dello scopo, diventando più sensibili alle informazioni relative all’obiettivo attuale piuttosto che a quelle relative agli obiettivi alternativi (più erano vicini a riempire la rete e più continuavano a scegliere lo stesso animale marino da pescare). Anche durante un compito di memoria di lavoro spaziale che non richiedeva alcuna decisione, i partecipanti ricordavano meglio la posizione degli stimoli associati all’obiettivo perseguito, soprattutto quando si avvicinavano ad esso.
Lo studio ha dimostrato come un’area del cervello denominata corteccia prefrontale ventromediale (ventromedial prefrontal cortex, vmPFC) svolga un ruolo centrale nel determinare l’impegno nel perseguimento degli obiettivi, influenzando così l’attenzione e i processi decisionali. La fMRI ha mostrato, infatti, un picco di attività nella vmPFC sia durante il processo decisionale sia tra una decisione e l’altra, che indica un tracciamento neurale dell’inseguimento dell’obiettivo. In particolare, la forza del segnale della vmPFC prima di una decisione predice sia il grado della perseveranza sia l’attenzione verso l’obiettivo. La conferma del ruolo causale della vmPFC è data dal fatto che pazienti con danni alla vmPFC presentano un bias di impegno verso l’obiettivo inferiore, ovvero mostrano una maggiore flessibilità ad optare per obiettivi migliori abbandonando un obiettivo fallito.
Tra i limiti dello studio vi è il fatto che il campione di pazienti con lesioni era relativamente piccolo, rendendo limitata la generalizzabilità dei risultati. Inoltre, i compiti sperimentali richiedenti il decision-making potrebbero non equivalere a quelli della vita quotidiana.