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La psichiatria: storia ed evoluzione della cura dei disturbi mentali

In questo articolo vedremo che cos’è la psichiatria, percorreremo brevemente la sua storia e descriveremo il ruolo dello psichiatra

Di Gloria Angelini

Pubblicato il 27 Mag. 2024

Aggiornato il 06 Giu. 2024 12:37

Che cos’è la Psichiatria

La follia è una condizione umana. La follia esiste ed è presente in noi come la ragione. Il problema è che la società, per definirsi civile, dovrebbe accettare sia la ragione che la follia. (Franco Basaglia).

La salute mentale è strettamente connessa al benessere generale dell’individuo, influenzando non solo il suo stato emotivo, ma anche la sua salute fisica e le relazioni interpersonali.

La psichiatria rappresenta una disciplina fondamentale nel campo della medicina e della salute mentale, occupandosi dei disturbi mentali attraverso approcci terapeutici e farmacologici. 

In quest’ottica, la psichiatria si configura come una disciplina che integra aspetti biologici, psicologici e sociali per promuovere un equilibrio mentale ottimale e migliorare la qualità della vita delle persone.

In questo articolo vedremo che cos’è la psichiatria e percorreremo brevemente la sua storia.

L’American Psychological Association (APA, 2018) definisce la psichiatria come una “specialità medica che si occupa dello studio, della diagnosi, del trattamento e della prevenzione dei disturbi mentali, comportamentali e della personalità. Come specialità medica, la psichiatria si basa sulla premessa che le cause biologiche sono alla base dei problemi mentali ed emotivi. La formazione in psichiatria comprende lo studio della psicopatologia, della biochimica, della genetica, della psicofarmacologia, della neurologia, della neuropatologia, della psicologia, delle scienze sociali e della salute mentale comunitaria”.

Storia della Psichiatria

Le Radici Antiche

La storia della psichiatria attraversa millenni di pensiero e pratica, e offre un’affascinante panoramica delle diverse fasi dello sviluppo della comprensione della mente e dei disturbi mentali. 

In passato, la psichiatria non era considerata una disciplina medica formale, ma l’interesse per le cause e il trattamento dei disturbi mentali risale all’antichità. Si è sempre discusso se le malattie mentali fossero veramente anormali o solo variazioni del comportamento normale, se fossero malattie della “mente” o del “corpo”, e chi fosse più adatto a trattare tali disturbi.

Da Babilonia all’antico Egitto, pratiche come l’uso di incantesimi e l’esorcismo erano comuni per trattare i disturbi mentali. Tuttavia, fu con i filosofi e i pensatori dell’antichità che si iniziò a gettare una luce più razionale sulla mente umana. Da Platone e Aristotele ai filosofi stoici come Epitteto e Seneca, l’interesse per la natura della mente e per i suoi disturbi fu oggetto di profonda riflessione. Questi antichi pensatori non solo si interrogavano sul funzionamento della mente, ma svilupparono anche teorie e concetti che avrebbero influenzato il pensiero psicologico e psichiatrico nei secoli a venire. In questo modo, le radici della psichiatria affondano non solo nelle pratiche antiche di cura, ma anche nell’intelletto umano che ha sempre cercato di comprendere se stesso e il mondo che lo circonda.

Nel Medioevo, i paesi arabi includevano reparti psichiatrici nei loro ospedali, mentre in Europa comparivano i primi ospedali psichiatrici, sebbene fossero principalmente luoghi di custodia. 

Con l’avvento dell’età moderna, si assistette a una maggiore attenzione verso il trattamento umano e compassionevole delle persone con disturbi mentali, con la diffusione di concetti come il “trattamento morale”. Tuttavia, anche in questo periodo, molte pratiche rimanevano primitive e talvolta crudeli. 

L’Era Moderna

Nel XVIII secolo, l’Illuminismo segnò un cambiamento di paradigma, con l’accento sull’umanità e sulla riforma nei trattamenti dei malati mentali. L’importanza di trattamenti umani e rispettosi fu enfatizzata da figure come William Tuke in Inghilterra e Philippe Pinel in Francia, che furono pionieri del cosiddetto “trattamento morale”. Nonostante alcuni approcci fossero ancora influenzati da credenze pseudoscientifiche, come la frenologia, che considerava i disturbi mentali come un problema di morfologia cerebrale, questo periodo vide anche i primi passi verso una comprensione più scientifica dei disturbi psichiatrici.

Il XIX e l’inizio del XX secolo hanno visto un crescente coinvolgimento dello stato nel trattamento delle malattie mentali occidentali. In Inghilterra, nel 1808, fu approvato il Country Asylums Act, che istituì manicomi pubblici, mentre nel 1828 furono nominati i Commissari per la Follia per supervisionare e autorizzare i manicomi privati, in risposta alle preoccupazioni pubbliche riguardo agli abusi al Bethlem Hospital e in strutture simili. Anche in Francia, nel 1838, fu emanata una legge per regolare i servizi ospedalieri in tutto il paese, e fu costruita la prima scuola per persone con disabilità intellettive. Negli Stati Uniti, riformatori come Dorothea Dix contribuirono alla prima legge per istituire un manicomio di stato, la Utica State Hospital, fondata intorno al 1850, dopo un’indagine condotta da Dix sul trattamento dei poveri affetti da malattie mentali in Massachusetts. Il XIX secolo e l’inizio del XX secolo videro anche lo sviluppo di approcci scientifici ai disturbi mentali, con avanzamenti nella classificazione dei disturbi psichiatrici e nelle prime intuizioni sulla patofisiologia ed eziologia delle malattie. Benedict Morel fu tra i primi a descrivere formalmente una psicosi schizofrenica nel 1852, introducendo il termine “démence précoce”. Nel corso del secolo, emersero diverse teorie sulle cause e la classificazione dei disturbi mentali, con figure come Emil Kraepelin che contribuirono a definire un quadro categorico della psichiatria moderna. Eugene Bleuler coniò il termine “schizofrenia” nel tentativo di descrivere le scissione tra pensiero, emozione e comportamento nei pazienti affetti da questa patologia.

Il Novecento e Oltre

Allo stesso tempo, Sigmund Freud sviluppò l’approccio psicoanalitico per comprendere le malattie mentali, focalizzandosi sull’interpretazione dei significati inconsci di pensieri, comportamenti e desideri. Sebbene la psicoanalisi abbia avuto un’influenza significativa sulla psichiatria nel XX secolo, con il tempo ha perso terreno a favore di approcci più empirici e basati sulla biologia.

Nel secondo dopoguerra, si è assistito a un cambiamento nell’approccio alla malattia mentale, gli psichiatri che si sono spostati dagli ospedali psichiatrici per affrontare pazienti molto diversi dimostrarono la loro utilità anche nel contesto militare, trattando sia i pazienti traumatizzati dal combattimento sia quelli ritenuti non idonei al servizio militare per motivi psicologici. Si è attribuita maggiore importanza al ruolo dell’ambiente nelle malattie mentali, un cambiamento che trae ispirazione dal lavoro di Adolph Meyer, il fondatore della psicobiologia, che vedeva i disturbi mentali come reazioni agli stress della vita. Da qui nacque il modello psicosociale delle malattie mentali, sviluppato da Walter Menninger e altri, che vedeva la depressione non come una malattia neurologica, ma come una mancanza di adattamento. La seconda metà del XX secolo vide anche una transizione graduale da una comprensione psicoanalitica e sociologica della malattia mentale a una biologica. Molti progressi scientifici favorirono questo cambiamento di approccio, tra cui le scoperte sul ruolo dei neurotrasmettitori come l’acetilcolina e l’introduzione di farmaci come la clorpromazina per la schizofrenia, l’imipramina e l’iproniazide per la depressione, e il carbonato di litio per il disturbo bipolare. Inoltre, lo sviluppo delle tecniche di neuroimaging e gli studi genetici contribuirono a una migliore comprensione dell’eziologia dei disturbi mentali. Parallelamente, nel corso del XX secolo si è assistito a una progressiva deistituzionalizzazione, con il passaggio dall’ospedale psichiatrico all’ufficio e alla comunità come centro del trattamento psichiatrico. 

Prima degli anni ’60, le istituzioni psichiatriche svilupparono i propri sistemi di classificazione, portando a una significativa variabilità nei termini diagnostici e nella loro applicazione. Questo problema fu evidenziato da studi condotti negli Stati Uniti e nel Regno Unito negli anni ’60, che mostrarono una discrepanza nella diagnosi di schizofrenia e disturbo bipolare. Questo portò a un tentativo di sviluppare sistemi diagnostici più affidabili, culminato nella pubblicazione del DSM-III nel 1980, che rappresentò un cambiamento significativo nel paradigma diagnostico. Il DSM-III eliminò la dicotomia endogena/esogena precedentemente presente in molte diagnosi e adottò un approccio strettamente fenomenologico. Tuttavia, sebbene questo approccio categorico abbia migliorato la affidabilità delle diagnosi, ha anche creato una netta divisione tra individui con disturbo depressivo maggiore e quelli che non soddisfano i criteri per tale disturbo. Guardando al futuro, gli avanzamenti tecnologici e la crescente capacità di elaborare dati promettono ulteriori progressi nella comprensione e nel trattamento delle malattie psichiatriche, anche se rimane una sfida colmare il divario tra ricerca di base e ricerca clinica. 

La ricerca farmacologica, pur avendo prodotto farmaci più tollerabili, ha incontrato ostacoli nella scoperta di nuovi trattamenti efficaci, mentre gli studi genetici cercano endofenotipi validi e nuovi approcci terapeutici multifattoriali sono in fase sperimentale per affrontare la complessità delle malattie psichiatriche.

Psichiatria in Italia

La storia della psichiatria in Italia attraversa un percorso ricco di trasformazioni e cambiamenti significativi nel modo in cui la società ha affrontato la cura della salute mentale. Risalente al XIX secolo, il concetto di manicomio ha segnato l’inizio della psichiatria formale nel paese. Modellati sul Grand Hôpital Général di Parigi, i manicomi italiani servivano principalmente da luoghi di confinamento per una vasta gamma di individui considerati devianti, compresi i malati di mente.

Tuttavia, è stata la legge “Disposizioni sui manicomi e sugli alienati” del 1904 a delineare un quadro normativo che sottolinea l’aspetto custodiale nella cura della salute mentale, equiparando la malattia mentale alla pericolosità e consentendo il confino di individui ritenuti una minaccia per sé stessi o per gli altri. 

L’ascesa della professione psichiatrica in Italia è stata caratterizzata dalla creazione di istituzioni sia pubbliche che private. I manicomi pubblici accoglievano principalmente i poveri e gli emarginati, mentre le cliniche private fornivano assistenza ai più abbienti. Tuttavia, gli anni ’60 hanno segnato un cambiamento radicale nell’approccio alla cura della salute mentale in Italia, influenzato dal movimento antipsichiatrico guidato da figure come lo psichiatra Franco Basaglia. Basaglia ha sostenuto con forza la chiusura dei manicomi e la deistituzionalizzazione delle cure mentali, promuovendo un’assistenza basata sulla comunità. Questa spinta ha portato all’approvazione della Legge 180 del 1978, nota come “Legge Basaglia”, che ha rivoluzionato il sistema di salute mentale in Italia. La legge mirava a promuovere l’assistenza basata sulla comunità, a ridurre la dipendenza dagli ospedali psichiatrici e a dare priorità ai diritti e alla dignità delle persone con malattie mentali.

Cosa fa lo psichiatra

Lo psichiatra è un medico specializzato in psichiatria, si occupa quindi della diagnosi, del trattamento e della gestione dei disturbi mentali e dei problemi legati alla salute mentale. Il suo ruolo è quello di valutare attentamente i pazienti per comprendere i loro sintomi, il loro stato psichico, e formulare una diagnosi accurata. 

Lo psichiatra inizia valutando il paziente attraverso un’intervista approfondita, nota come anamnesi, per meglio comprendere la natura dei sintomi presentati e la loro storia clinica. Questo processo coinvolge la raccolta di informazioni riguardanti la salute mentale e fisica del paziente, eventi scatenanti, storia familiare di malattie mentali e l’assunzione passata di farmaci o sostanze.

Esegue un esame obiettivo completo e valuta anche lo stato mentale del paziente, osservando eventuali segni di confusione, disattenzione o altri sintomi che possono suggerire una condizione psichiatrica o una causa organica sottostante.

Lo psichiatra quindi identifica possibili cause dei sintomi del paziente. Questo può includere la differenziazione tra disturbi mentali primari e disturbi causati da condizioni organiche.

Una volta completata la valutazione iniziale, lo psichiatra pianifica il trattamento più appropriato per il paziente. Questo può includere una combinazione di terapia farmacologica, psicoterapia, interventi di supporto e, se necessario, riferimento ad altri specialisti medici o servizi.

Lo psichiatra monitora attentamente la risposta del paziente al trattamento nel tempo, regolando il piano di trattamento secondo necessità e fornendo supporto continuo al paziente e alla sua famiglia.

Lo psichiatra lavora spesso in equipe multidisciplinari, collaborando con altri professionisti della salute mentale, come psicologi e psicoterapeuti, assistenti sociali, infermieri psichiatrici e medici di altre specialità, per fornire un trattamento completo e integrato al paziente.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • APA dictionary. Psychiatry.
  • Boland, R., Verdiun, M., & Ruiz, P. (2022). Kaplan & Sadock’s synopsis of psychiatry. Wolters Kluwer.
  • Andreoli, V. (2017). I principi della nuova psichiatria. Rizzoli.
  • Basaglia, F. (1997). Che cos’ è la psichiatria?. Baldini & Castoldi.
  • Cipriano, P. (2018). Basaglia e le metamorfosi della psichiatria. Elèuthera.
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