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Il contagio emotivo tra caregiver e paziente

A causa dell’alto carico assistenziale, la demenza comporta una ricaduta psicologica importante sul caregiver, le cui emozioni possono essere percepite dal paziente

Di Pina Laffusa

Pubblicato il 28 Mag. 2024

Le emozioni della persona con demenza e del caregiver

Le emozioni influenzano i nostri atteggiamenti e comportamenti ed è per questo che è necessario cercare di conoscere i propri stati emotivi in modo da gestirli correttamente.

È evidente quindi che le emozioni e le sensazioni che si provano nei confronti del paziente influenzano la relazione con quest’ultimo. Pertanto, nell’ottica di una analisi completa del ruolo delle emozioni nel paziente affetto da demenza non si può prescindere dall’analisi delle emozioni del soggetto più prossimo, ossia del caregiver.

Chi è il caregiver della persona con demenza?

Il caregiver è letteralmente “colui che si prende cura”.

Prendersi cura di un paziente affetto da demenza è estremamente impegnativo, trattandosi di “un preoccuparsi, un responsabilizzarsi in toto, un accogliere globale” (E. Neve, I.Berto, 2007).

In una prospettiva analitica, è primariamente necessario fare una distinzione tra caregiver informale e formale.

Nel caso del caregiver informale si tratta di un parente prossimo al paziente che, per obbligo o per scelta, riveste questo ruolo, generalmente un figlio o il coniuge; il secondo caso invece si riferisce ad un infermiere o comunque ad una figura professionale specializzata nella cura.

Dai dati emerge che generalmente i caregiver informali sono donne nell’80 % dei casi (M.F.Turno, 2004).

Prendersi cura di un proprio familiare è sicuramente stressante: non a caso i caregiver sono spesso vittime di burnout, tuttavia la consapevolezza che il proprio familiare è sotto la propria cura è anche qualcosa di estremamente rasserenante e appagante.

Il delicato e importante ruolo del caregiver determina sicuramente un ventaglio di emozioni forti e intense che, sebbene spesso involontariamente, si riversano nei confronti della persona con demenza.

Le emozioni del caregiver si riflettono sull’individuo con demenza

Nel 2013 l’Università della California ha condotto uno studio (Virginia E. Sturm et al. 2013, PNAS) al fine di verificare se il contagio emotivo fosse più alto negli individui affetti da Alzheimer oppure in quelli con compromissione cognitiva lieve.

Il contagio emotivo è stato definito come “una tendenza a imitare in modo automatico e sincronizzare espressioni facciali, vocalizzazioni, posture e movimenti con quelli di un’altra persona e di conseguenza convergere emotivamente” (Hatfield, Cacioppo e Rapson, 1994). 

Tale indagine ha coinvolto 237 adulti, di cui 62 presentavano una compromissione cognitiva lieve, 64 presentavano Alzheimer e 111 costituivano il gruppo di controllo.

I pazienti sono stati sottoposti a risonanza magnetica (MRI) ed è stato loro somministrato un questionario sul contagio emotivo.

I risultati hanno evidenziato che il contagio emotivo era sicuramente più alto tra i pazienti affetti da Alzheimer; anche i pazienti con compromissione cognitiva lieve avevano ottenuto punteggi maggiori rispetto al gruppo di controllo.

Questo studio ha, quindi, confermato la teoria che il contagio emotivo sia più forte negli individui affetti da Alzheimer: questi pazienti sono pertanto più inclini a riflettere le emozioni di chi li circonda.

Secondo questo studio un ruolo fondamentale nel riflettere le emozioni è svolto dall’ippocampo, area coinvolta nel funzionamento della memoria, dall’amigdala e dai neuroni specchio.

I neuroni specchio, la cui scoperta è considerata una delle rivoluzioni scientifiche del secolo scorso, si attivano quando si compie una determinata azione e quando si vede qualcuno compierla. Inoltre, sembra che questi si attivino quando si  percepiscono determinate emozioni altrui.

Lo studio ha concluso che esiste un collegamento tra il grado di contagio emotivo e i danni al lato destro del lobo temporale mediale. 

Il contagio emotivo può essere un problema se pensiamo all’eccessiva sensibilità sperimentata dai pazienti affetti da demenza.

Virginia Sturm, ricercatrice statunitense, sostiene che nell’Alzheimer e nelle altre patologie dementigene, i pazienti siano maggiormente sensibili alle emozioni rispetto alla popolazione normale.

Perciò secondo la Sturm se il caregiver si dimostra arrabbiato o irritato, il paziente assorbirà queste emozioni, le farà sue. D’altro canto, se il caregiver si mostrerà calmo e rilassato il paziente non farà altro che interiorizzare ed imitare quest’emozione.

Il ruolo dello psicologo dopo la diagnosi di demenza

Da questi dati è evidente quanto sia importante evitare lo stress e il burnout dei caregiver, per proteggere i pazienti stessi, ma anche per evitare che essi, già fortemente compromessi a livello emotivo a causa della patologia, assorbano emozioni negative.

Questo è, a parere della Sturm, un modo che i pazienti affetti da Alzheimer hanno per comunicare e connettersi con gli altri, anche se hanno difficoltà a comprendere il contesto sociale in cui si trovano.

Perciò, anche nei momenti di difficoltà e di sfida che questa patologia può presentare , i caregivers hanno un ruolo fondamentale perché possono proiettare emozioni positive e piacevoli nella persona che amano, cancellando i sentimenti di rabbia e di frustrazione (Dana Territo, 2020, The Advocate).

In effetti, in tal caso la locuzione ‘caregiver mask’  è perfettamente calzante con questo concetto.

Assumere il ruolo di caregiver è dunque un grande impegno, primariamente dal punto di vista umano oltre che professionale: significa anche rinunciare a condividere tutte le proprie emozioni con il proprio caro; significa spesso soffocare con grande difficoltà i propri sentimenti anche di rabbia e frustrazione.

Lo psicologo, di fronte ad una diagnosi di demenza, ha un duplice ruolo: fornire sostegno e supporto al paziente e parallelamente svolgere un compito educativo e di sostegno psicologico nei confronti del caregiver.

A causa dell’alto carico assistenziale è noto che la demenza sia una patologia familiare, e che comporti una ricaduta psicologica in particolare sul caregiver.

Sin dal momento della diagnosi, il caregiver avrà una serie di perplessità e di domande.

Molto spesso chi si trova in questi panni non è molto informato circa la malattia e si informa per mezzo di internet sulle varie ripercussioni che la demenza può comportare sul proprio caro.

Anche questo può portare a sviluppare nuove paure e ansie, perciò l’intervento dello psicologo è fondamentale per chiarire tutti gli aspetti riguardanti la demenza, e fornire sostegno rispetto alle preoccupazioni che inizialmente possono sopraggiungere.

Lo psicologo ha il compito di intraprendere sia un percorso di supporto psicologico sia un percorso di formazione e di psicoeducazione nei confronti del caregiver.

Il caregiver ha bisogno di sapere di non essere solo in questa sfida, e che chiedere aiuto non significa essere debole, bensì riconoscere la difficoltà insite in questo ruolo.

Lo psicologo deve informare il caregiver e la famiglia in merito ai sintomi e ai disturbi cognitivi e comportamentali che si presenteranno durante il corso della malattia in modo da prepararli al meglio nel comprendere la situazione e assumere decisioni consapevoli. Questo può avvenire tramite colloqui individuali / familiari o in gruppo, dove c’è anche la possibilità di confronto e di scambio di informazioni fra caregivers. 

Vengono spesso fornite informazioni sulle attività che il paziente può svolgere, considerando ad esempio  gli hobby passati del paziente, così da coinvolgerlo senza costringerlo a fare qualcosa che va oltre il suo volere.

Viene in seguito illustrato come comunicare con il paziente, dando voce alle emozioni di quest’ultimo.

Con l’avanzare della malattia e quindi con l’avanzare dei disturbi emotivi, cognitivi e comportamentali del paziente, il caregiver percepirà maggiormente il peso della propria posizione, risentendone psicologicamente.

Sentimenti di ansia, frustrazione e rabbia sono molto comuni e molto spesso queste emozioni vanno ad influenzare la relazione con il proprio caro.

Lo psicologo ha naturalmente il compito di offrire ascolto e sostegno, di far acquisire strategie di coping efficaci, di favorire il riconoscimento e l’elaborazione di tali emozioni e di facilitare l’adattamento a questa nuova situazione in cui il caregiver si trova.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Neve E., Berto I. (2007). Anziani non autosufficienti: prendersi cura di chi si prende cura, Fondazione E. Zancan, Padova, p.14.
  • Turno M.F. (2007). Una notte senza luna. Manuale di base per l’orientamento degli operatori psicogeriatrici, la Biblioteca by ASPPI, Milano, p.77, 127
  • Sturm V.E., Yokoyama J.S., Seeley W.W., Kramer J.H., Bruce L. Miller B.L. and Rankin K.P. (2013). Heightened emotional contagion in mild cognitive impairment and Alzheimer’s disease is associated with temporal lobe degeneration , PNAS
  • Territo D. (2020). Alzheimer’s Q&A: What is meant by emotional contagion? The Advocate.
  • Hatfield, E., Cacioppo, J. T., & Rapson, R. L. (1994). Emotional contagion. Cambridge University Press; Editions de la Maison des Sciences de l’Homme.

Sitografia

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