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Baby gang in Italia: una riflessione clinica

Le Baby Gang indicano gruppi di ragazzi che decidono di prendere parte alla vita criminale; come si spiega questo fenomeno?

Di Giulia Celii, Stefania Righini

Pubblicato il 04 Apr. 2024

Devianza minorile e Baby Gang

Sebbene non si tratti né di un termine né di un fenomeno sociale che ha radici recenti, è pur vero che ad oggi di “Baby Gang” se ne sente parlare frequentemente. Questa denominazione ha acquisito nell’immaginario collettivo elementi sempre più dettagliati e precisi, andando a definire quegli adolescenti e giovani adulti che decidono (più o meno consapevolmente) di prendere parte alla vita criminale. Per una migliore comprensione del tema della devianza minorile in Italia sono state evidenziate alcune macro-tipologie che rappresentano solo in parte le numerose sfumature di questo fenomeno sociale.

Secondo il “1° Rapporto sulla Devianza Minorile in Italia” (Mastropasqua, Pagliaroli, Totaro, 2008) i membri delle Baby Gang sono rappresentati da:

  • Ragazzi “senza problemi” affetti da “malessere del benessere”: di solito adolescenti appartenenti al ceto medio e spesso altamente scolarizzati. L’apparente mancanza di problemi è legata ad un benessere materiale, risultando tuttavia carente della sfera relazionale e affettiva, indispensabile per la costruzione di una personalità organizzata in modo sano. Tali giovani commettono reati spesso legati al possesso di beni effimeri e alle violenze di gruppo (anche di tipo sessuale), in tutta probabilità gesti rappresentativi, ancorché altamente disfunzionali, di bisogni attivi riguardanti la definizione di personalità, in particolare in termini di autoaffermazione e di comunicazione.
  • Ragazzi con problemi economici e sociali le cui condotte devianti sono strettamente connesse a condizioni di grave povertà economica e sociale, esacerbate da un profondo senso di marginalità collegato agli spazi urbani delle grandi città, sottesi alla formazione di gruppi di ragazzi nelle periferie delle aree urbane.
  • Ragazzi con problematiche di espressione legate alla diade devianza-sintomo frutto dell’aumento progressivo dell’aggressività, anche comunicativa, registrato negli ultimi anni, come risultato di un conflitto interiore, che “è strettamente connessa al cambiamento nel tempo dei ruoli familiari e sociali dei membri nel nucleo d’appartenenza” (Censis, 2007). Non di rado le figure genitoriali si trovano in difficoltà a gestire tali “crisi” adolescenziali e tendono ad assumere atteggiamenti da un lato di distanza e giudizio, dall’altro di totale simmetria con il figlio con, involontariamente, mancata comprensione dei reali bisogni dello stesso. Tale assenza di mentalizzazione e rispecchiamento sono verosimilmente alla base dell’incapacità dell’adolescente di rappresentare, a sua volta, un senso di sé, con relativa disregolazione sul piano emotivo e disorganizzazione nella costruzione della personalità (Liotti, 2005; Panksepp & Biven, 2012; Bateman & Fonagy, 2010) sottesi all’incapacità manifesta di regolarsi e sperimentarsi in situazioni e rapporti (anche di potenziale pericolosità) in modo funzionale.

  Secondo Ponti (2008) vi è un’ulteriore distinzione da fare tra:

  • bande criminali formate da giovani specializzati in attività (ad esempio furto o borseggio) che, con l’inserimento nella sottocultura della delinquenza, implementano le skills pro attività criminose commettendo atti come truffa, estorsione intimidatoria di denaro o sfruttamento della prostituzione;
  • bande conflittuali dedite alla violenza e al vandalismo il cui obiettivo principale è quello di distruggere simboli inarrivabili di ricchezza e successo, in segno di ribellione per esserne stati esclusi;
  • bande astensioniste composte da giovani incapaci di tollerare la frustrazione derivante dalla loro condizione di vita per cui l’unico modo per fronteggiarla diviene il piano immunizzante (Libet, Sassaroli, Caselli & Ruggiero, 2016) che si esprime comportamentalmente in abuso di droghe e alcolici.

Le criticità che i ragazzi si trovano a dover fronteggiare nel periodo dell’adolescenza sono innumerevoli e le esperienze vissute in questa fase evolutiva contribuiscono significativamente alla strutturazione della personalità. Allport (1961) definiva la personalità come “un’unità dinamica di quei sistemi psicofisici e sociali che determinano i modelli di comportamento, i pensieri e i sentimenti caratteristici della persona”. Secondo il modello di personalità a tre fattori di Eysenck (1990), la vulnerabilità a mettere in atto comportamenti criminali può essere evidenziata attraverso un elevato punteggio corrispondente ad una di queste dimensioni:

  • Estroversione: individui propensi a prendere parte ad attività sociali e alla continua ricerca di sensazioni nuove e intense (sensations seekers);
  • Nevroticismo: individui preoccupati e tendenti agli sbalzi di umore;
  • Psicoticismo: individui aggressivi, egoisti, irresponsabili e impulsivi.

Come si spiega il fenomeno delle Baby Gang?

Il fenomeno delle Baby Gang è multifattoriale e puntiforme, per cui individuarne cause e potenziali sviluppi è estremamente complesso. Per poter analizzare le dinamiche che coinvolgono i minori nei gruppi criminali, dovremmo considerare tutti quei fattori che possono comportare l’insorgenza di comportamenti devianti problematici e antisociali in adolescenza. Fra questi, molto importante è la costruzione del senso identitario, necessario ai giovanissimi e per questo fortemente da loro ricercato, e troppo spesso individuato all’interno della propria gang, ed in generale nel proprio gruppo di pari. I membri che fanno parte di una Baby Gang si riconoscono come simili, nonché consapevoli della loro appartenenza gruppale, anche in termini affettivi ed emotivi, così da riconoscere in essa la propria “identità sociale” (Tajfel & Turner, 1979). Altro aspetto caratterizzante alcuni membri facenti parte di una Baby Gang è il senso di abbandono e di solitudine spesso derivanti dall’inconsistenza dei rapporti con le figure e/o con la comunità di riferimento. Inoltre, coloro che hanno elevati valori per il tratto di estroversione e il tratto di psicoticismo ricercheranno nella propria gang occasioni per vivere esperienze adrenaliniche, nelle quali la componente di rischio viene vissuta come sfida per superare i propri limiti.

In alcuni casi, fattori predisponenti ed esperienze di vita avversive precoci (Seung, 2012) che alcuni giovani criminali potenzialmente hanno esperito nel percorso di vita, possono contribuire all’insorgenza del disturbo antisociale di personalità. Secondo il DSM-5-TR per disturbo antisociale di personalità si intende un pattern pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri, che inizia nell’infanzia o nella prima adolescenza e continua nell’età adulta. I criteri del DSM-5-TR definiscono gli individui con disturbo antisociale di personalità incapaci di conformarsi alle norme sociali per quanto riguarda il comportamento legale, sono frequentemente disonesti e manipolativi per profitto o per piacere personale e possono prendere decisioni impulsive, senza riflettere e senza considerare le conseguenze per sé e per gli altri. Inoltre, tendono ad essere irritabili ed estremamente irresponsabili, mostrano una noncuranza sconsiderata della sicurezza propria o degli altri e presentano scarso rimorso per le conseguenze delle proprie azioni.

In conclusione, comportamenti antisociali e illegali diventano per i membri delle Baby Gang un modo per esprimersi, identificarsi e anche autosostenersi, considerate le condizioni di estrema povertà economica e sociale in cui molti di loro versano. Questo permette loro di affermarsi e ottenere riconoscimento all’interno del gruppo nel tentativo, fallimentare di default, di compensare carenze identitarie e affettive, nonché una via per provare, sempre attraverso un piano immunizzante, emozioni forti, allo scopo di allontanare il senso di solitudine e marginalità. Sarebbe quindi fondamentale, sia dal punto di vista sociale che clinico-preventivo, prendere in considerazione tutto quanto sopra e riflettere, tutti insieme, sulla possibile attuazione di strumenti che possano prevenire le difficoltà, soprattutto emotive come abbiamo visto, che ne sono alla base.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Allport, G.W. (1961). Pattern and Growth in personality. Henry Holt.
  • American Psychiatric Association: Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th ed, Text Revision (DSM-5-TR). Washington, DC, American Psychiatric Association, 2022, pp 748-752.
  • Bateman, A. & Fonagy, P. (2010). Guida pratica al trattamento basato sulla mentalizzazione. Milano, Raffaello Cortina.
  • Censis (2007). Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2007
  • Eysenck, H. J. (1990). Biological dimensions of personality. In L. A. Pervin (Ed.), Handbook of personality: Theory and research (pp. 244-276). New York: Guilford.
  • Liotti, G. (2005). La dimensione interpersonale della coscienza. Roma: Carocci Ed.
  • Mastropasqua, I., Pagliaroli, T., Totaro, M.S. (2008). I numeri pensati. 1° Rapporto sulla devianza minorile in Italia. Gangemi.
  • Panksepp, J. & Biven, L. (2014). Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delel emozioni umane. Milano, Raffaello Cortina.
  • Ponti, G. e Merzagova Betsos, I. (2008). Compedio di criminologia (Quinta edizione). Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Seung, S. (2012). Connettoma. La nuova geografia della mente. Torino: Codice Ed.
  • Tajfel, H., & Turner, J. C. (1979). An integrative theory of intergroup conflict. The social psychology of intergroup relations, 33, 47.
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