“Una vita come tante”
Un gruppo di amici e il dipanarsi di storie ed eventi che nel cementificare il loro rapporto sgretolano le reciproche personalità.
Un’opera in cui l’arte del “mischiarsi” con l’Altro diventa fonte di ricchezza e allo stesso tempo fonte di dolore.
Aprirsi all’Altro rende vivo un dolore taciuto che ha bisogno di silenzio e tagli per essere assopito.
Jude, il protagonista, vive tra passato e presente, tra orfanotrofio e violenze sessuali e fame di un presente diverso da quello che qualcuno e più di qualcuno aveva scritto per lui.
L’autolesionismo è la forma meno dolorosa e più vera che conosce per sopportare l’angoscia.
L’angoscia è ciò che non mente (LACAN, 1972) ed è proprio attraverso quest’angoscia che Jude trova l’amore, quello che cura e lenisce le ferite del corpo-anima.
Prima di Willem, l’amico e l’amore, Jude ha avuto una serie di relazioni disfunzionali e violente che gli ricordavano i soprusi vissuti da bambino e da adolescente: rapporti che gli confermavano che l’amore è sofferenza e dolore.
L’abuso sessuale infantile può portare a severe conseguenze fisiche e psicologiche (comportamentali, relazionali relative alla sfera sessuale) a breve ed a lungo termine (Hetzel, McCanne, 2005)
Le ricerche cliniche hanno mostrato che le vittime di abuso sessuale infantile presentano frequentemente sintomi di amnesia (dal 19% al 62% dei casi) e che i bambini cronicamente abusati possono dimenticare interi periodi della loro infanzia, arrivando a non evocare ricordi fino ai 9 anni (Spiegel, D, 2011).
“Una vita come tante” e le conseguenze degli abusi
Tra i soggetti vittime di abuso sessuale in età infantile si riscontra un’elevata incidenza di disturbi psicologici e psichiatrici che possono manifestarsi anche a distanza di anni dall’abuso subito (Krupnick, 2009).
Jude, attraverso le pagine di questo libro, prova ri-scrivere il proprio copione di vita: la vicinanza degli amici, l’amore di Willlem, i genitori adottivi riusciranno a riempire questo vuoto?
Questa è la domanda che il lettore si pone ad ogni pagina, una domanda che ogni capitolo riempie di nuove risposte.
La drammaticità degli eventi non oscurano la possibilità per il lettore di pensare all’amore come cura, in questo caso come antidoto per il sé logorato.
Le parole del libro ad inizio paragrafo sembrano mostrare il legame che si instaura tra vittima e carnefice: il bambino ha bisogno di credere nell’amore dell’adulto e l’adulto ha bisogno di essere creduto dal bambino per vedersi ai suoi occhi “sano”.
… dopo gli abusi Fratello Luke gli disse che voleva rivelargli un segreto, qualcosa che lo avrebbe aiutato a trovare sollievo dalle sue frustrazioni, e il giorno dopo gli insegnò a tagliarsi dandogli una busta piena di rasoi, alcool, ovatta e cerotti. Stava migrando da se stesso, per tornare ad una forma di purezza, e al tempo stesso si stava punendo per ciò che aveva fatto. Subito dopo si sentì pieno di energia, come se avesse corso per chilometri e poi avesse vomitato, e riuscì a tornare in camera… quando lo faceva era come se riuscisse a svuotarsi dal veleno, dalla rabbia e dalla sporcizia che aveva accumulato. Fratello Luke aveva ragione: tagliarsi era meglio… (Yagihara, 2015)
Queste parole a inizio libro possono essere rilette alla fine perché aprono o chiudono le porte al dolore. Possono essere, inoltre, inserite in percorso di terapia: “lo scopo dello psicoterapeuta non è produrre uno stato mentale, ma una mobilità mentale che permetta di seguire un percorso nel futuro”.
Queste parole mostrano come la psicoterapia, similmente all’ambiente umano, dal potere “cicatrizzante”, potrebbe diventare un percorso di continua ricerca di riscrittura della “scena iniziale”.