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“È un’ingiustizia però!” – La Sindrome di Calimero tra vittimismo e lamentazione

La Sindrome di Calimero sarebbe la convinzione di essere stati baciati dalla sfortuna, accompagnata da vittimismo e lamentele

Di Elisabetta Carbone

Pubblicato il 02 Gen. 2024

Le lamentele di Calimero

E che maniere! Qui fanno sempre così perché loro sono grandi e io sono piccolo e nero. È un’ingiustizia, però!. 

La celebre frase di Calimero, mascotte della pubblicità italiana, è evocativa di per sé. Il piccolo e goffo pulcino appare per la prima volta nel format Carosello per sponsorizzare una società produttrice di saponi e detersivi: essendo caduto nella fuliggine si sporca, diventa tutto nero e non viene più riconosciuto dalla sua mamma, che lo abbandona; grazie a un prodigioso detersivo torna ad essere bianco, pulito e contento. 

Il suo personaggio è diventato nel tempo e nella mentalità italiana l’immagine iconica della vittima: Calimero si sente sempre solo, indifeso, costantemente segnato dalla sfortuna, incompreso catalizzatore di tutti gli eventi negativi. E il suo pensiero si traduce in una pedante lamentazione continua. 

Tutti conosciamo una persona che durante una conversazione non la smette mai di lamentarsi, con una serie di recriminazioni che tradiscono la paura di non essere accettato. Se è vero che i lagnoni sono tanti, è anche vero che tutti possiamo avere dei “momenti Calimero”: riflettendoci, almeno una volta della vita siamo rientrati nella schiera dei malcontenti, dei brontoloni e dei frignoni. Chi più per personalità e chi più per un momento di fragilità, siamo caduti nella trappola della lamentela facile. 

Il personaggio del piccolo pulcino nero è però ambivalente: se da un lato attiva compassione, con il suo misero fagottino in spalla, dall’altro si intravede una sorta di ombra di falsità nella sua sofferenza, come se si atteggiasse da incompreso, venendo inevitabilmente screditato, etichettato come esagerato, noioso e pesante. 

Il grande salto: Calimero dalla pubblicità alla patologia

Saverio Tomasella ha teorizzato una vera e propria Sindrome di Calimero, caratterizzata da un senso di sfiducia in espansione, sentimenti di autosvalutazione, disistima e visione negativa di sé, degli altri e del mondo. Secondo l’autore, gli aspetti nucleari della sindrome sono da un lato il pessimismo, nutrito da pensieri e comportamenti negativi, dall’altro il vittimismo accompagnato dalla sensazione di essere incessantemente vittima degli eventi e della vita, in un susseguirsi di giornate che vanno inevitabilmente sempre storte.  

La risposta comportamentale che ne deriva è una lamentazione continua, condita con la percezione di svantaggio e di ingiustizia perenne, un senso di fragilità, come se si fosse sempre il bersaglio di circostanze negative. 

In sintesi, la Sindrome di Calimero sarebbe l’insieme dei comportamenti che derivano dalla convinzione di essere stati baciati dalla sfortuna, determinando un meccanismo mentale che inibisce tutti gli interventi attivi sulle situazioni problematiche. 

Ingiustizia, educazione e famiglia

Riprendendo le parole di Calimero, «È un’ingiustizia, però!». 

Ma cos’è davvero l’ingiustizia? 

Dal punto di vista psicologico è difficile distinguere un’ingiustizia realmente vissuta da un più vago, ma altrettanto doloroso, senso di ingiustizia. 

Sembrerebbe che l’arbitrarietà nell’educazione sia uno dei primi motivi di risentimento, covato nell’infanzia ed espresso nell’età adulta, come il dolore provocato dai favoritismi (reali o immaginari) dei genitori verso i figli. 

Ma l’ingiustizia può essere anche una sorta di eredità familiare: si può proteggere e custodire la tristezza dei genitori o dei nonni che, insieme al peso delle ingiustizie subite, sveglia il pulcino piccolo e nero che abita in noi, come se i torti delle generazioni precedenti prendessero vita in quelle successive, mettendo in scena le ingiustizie irrisolte

Se per Calimero l’ingiustizia è rappresentata dall’abbandono della mamma, che si traduce nel fagottino ben saldo al bastone portato sulle spalle, è anche vero che il suo continuo borbottare lo rende inconsolabile e indigesto, proprio perché iperfocalizzato su di sé e non sul contesto. Ed ecco che la vita altrui appare come “ingiustamente giusta”, perfetta, vincente, come se per gli altri fosse semplice essere felici. 

La sindrome di Calimero e l’arte del lamento

Il lamento è un’azione, un comportamento e, come tale, ha bisogno di energia. In un’ottica psicoanalitica, Tomasella lo definisce come una pulsione che ricerca una soddisfazione inconscia, caratterizzato dalla reiterazione dei meccanismi psichici che lo alimenta, creando una spirale pulsionale che difficilmente ha fine. 

Il lamento non va stigmatizzato e non è necessariamente negativo: ha origini antichissime (come il lamento del XXIV canto dell’Iliade, il coro delle supplici di Euripide o il “Libro delle lamentazioni” della Bibbia) ed ha la funzione sociale di sostegno verso le persone sconsolate – funzione che è presente in tutte le culture di tutte le popolazioni di tutto il mondo. 

Ma c’è una giusta dose di lamento? 

Oggi sembra che esistano delle situazioni in cui è sconveniente lamentarsi, e quindi ci si trattiene. Il lamento, espresso o represso, è comunque uno specchio sociale che può valorizzarci: è un riflesso per l’anima, perché chi lo esterna dà prova di compassione e comprensione dei propri stati interni, rendendosi conto di ciò che lo fa soffrire. 

Dietro ogni lamento c’è una sofferenza reale più o meno consapevole, che può derivare da una paura, una delusione, una disillusione, un’aspirazione, un bisogno non riconosciuto o non soddisfatto. 

Perché proprio il vittimismo

La vittima si autosvaluta continuamente, ingabbiata in una visione negativa di sé e di tutto ciò che lo circonda. Quello che identifica un qualsiasi Calimero a livello superficiale è il lamento, ma nel profondo è la rappresentazione psichica di bambino piccolo, indifeso e inerme: dare a qualcuno del Calimero significa di fatto sottolineare la sua posizione infantile. Anche un adulto nella condizione di vittima mostra il bambino interiore incompreso, infelice e inconsolabile, che è stato e che forse vorrebbe ancora essere. 

Il processo di introiezione vittimistica ha origine generalmente nell’infanzia, soprattutto nell’educazione ricevuta da piccoli: se i bambini hanno vissuto grandi delusioni mai (o mal) consolate, quando queste tornano a galla in età adulta riaprendo la ferita emotiva ancora viva e pulsante. Infatti, le esperienze avverse infantili possono influenzare la percezione, contribuendo alla creazione di una visione negativa delle proprie capacità e la tendenza a sentirsi vittima degli eventi. 

Ed ecco quindi che subire un’ingiustizia da adulti fa riaffiorare i ricordi dolorosi dell’infanzia: se normalmente la reazione di rabbia è rivolta verso il colpevole, Calimero si arrabbia con sé stesso. L’idea di essere sfortunati in tutto e per tutto matura pian piano, l’autostima subisce un crollo e si inizia ad elemosinare compatimento da parte degli altri. In altri casi, il vittimismo è stato appreso dal modello genitoriale, nel quale il genitore Calimero poteva far sentire in colpa e inadeguato il futuro Calimero designato. 

Nel pulcino piccolo e nero il vittimismo è alimentato dalla mancanza di qualcuno che se ne prenda cura: il senso di ingiustizia è l’espressione proprio di questo vuoto. La formula “Calimero interiore” rappresenta quindi un bambino ferito che ha bisogno di un altro essere umano che si prenda cura di lui, anche solo con ascolto, comprensione, empatia e rispetto: è proprio di fronte alla solitudine che emerge il bisogno di amore, presenza, attenzione e sostegno. 

Il problema però è che i Calimero non sono consapevoli di esserlo: non si è mai visto infatti qualcuno lamentarsi dell’abitudine di lamentarsi troppo!

Il vittimismo arriva all’esasperazione, le lamentazioni sono sproporzionate e influenzano negativamente la personalità, portando ad un senso di insoddisfazione pervasivo. Vittimizzarsi diventa così un meccanismo di pensiero costante e rigido per affrontare il mondo, determinando una vita fatta di insuccessi di cui lamentarsi, ma sempre senza far niente per cambiare le carte in tavola. 

Come pensa un Calimero

  • Tende a paragonare la propria vita a quella degli altri, uscendone sempre sconfitto; 
  • Ha la sensazione di non avere mai il controllo sugli eventi, governati unicamente dalla sfortuna; 
  • Si sente sempre diverso e incompreso; 
  • Dà sempre colpa al passato e drammaticamente non vede un futuro; 
  • Prova invidia nel vedere gli altri avere successo, che genera in lui un senso di frustrazione, rabbia, odio e tristezza; 
  • Si lamenta sempre, ma non cerca mai una soluzione pratica. 

La caratteristica del pensiero orientato al vittimismo è che risulta estremamente stancante: l’attenzione è focalizzata solo sulle difficoltà e mai sulle possibilità di soluzione, in un circolo vizioso di negatività e pensieri autocommiseranti senza fine. Il rischio è l’alienazione, finendo per leggere la quotidianità con la lente delle convinzioni auto-costruite come magneti per la sfortuna (quindi una sfortuna che attira altra sfortuna). 

Zittire il Calimero che è in noi

Non esiste un antidoto, anche perché il dramma di Calimero non è solo quello di girovagare con il suo fagottino in spalla, ma è quello di vivere con la paura di essere respinto, abbandonato, incompreso e non accettato per quello che è. 

Il timore del giudizio altrui definisce la fragilità, ossia porta a galla l’infinita insicurezza e l’incapacità di vivere gli eventi per quello che sono e non come un’infinita catena di sfortune. Calimero, con le sue lamentele, nasconde l’impossibilità di esprimere le ingiustizie profonde infantili, focalizzandosi solo su quelle superficiali. 

In ognuno di noi dorme un piccolo pulcino nero che, all’occorrenza, può risvegliarsi come depositario delle nostre ferite scoperte, della memoria infantile di impotenza, momenti in cui sono mancati l’aiuto e il sostegno di cui avevamo bisogno. 

Calimero allora è il residuo psichico delle nostre più antiche esperienze di solitudine. 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Baumeister, R. F., Smart, L., & Boden, J. M. (1996). Relation of threatened egotism to violence and aggression: The dark side of high self-esteem. Psychological Review, 103(1), 5-33.
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  • Tomasella, S. (2018). La sindrome di Calimero, Sperling & Kupfer, Milano.
  • Twenge, J. M., & Campbell, W. K. (2009). The narcissism epidemic: Living in the age of entitlement. Free Press.
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