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La Play Therapy Cognitivo-Comportamentale: la psicoterapia pensata per i più piccoli

Play Therapy Cognitivo-Comportamentale è il risultato dei tentativi di adattare la psicoterapia alle caratteristiche dell’età evolutiva

Di Ornella Argento, Francesca Romana D`Angelo

Pubblicato il 31 Gen. 2024

Cos’è la Play Therapy Cognitivo-Comportamentale

La Play Therapy Cognitivo-Comportamentale, in origine Cognitive Behavioral Play Therapy- CBPT, è un intervento terapeutico pensato specificatamente per l’età evolutiva e per i bambini in età prescolare e scolare (3-8 anni). Questo intervento nasce dall’unione sinergica tra le teorie cognitive e comportamentali dello sviluppo emotivo e della psicopatologia (con particolare riferimento alla  Terapia Cognitiva concettualizzata da Aaron Beck tra il 1964 e il 1979) e il paradigma della Play Therapy, definendo un nuovo modello di psicoterapia integrato.

Gli esordi della Play Therapy

La Play Therapy Cognitivo-Comportamentale vede i suoi esordi nel 1993, grazie al lavoro di Susan M. Knell, psicologa clinica e psicoterapeuta dell’età evolutiva, la quale ha sviluppato gli approcci di Ellis (1971), Beck (1979) e Bandura (1977), utilizzando il gioco nel lavoro terapeutico con i bambini. Secondo Knell, infatti, la terapia cognitiva poteva essere adattata per consentirne l’utilizzo anche con i bambini piccoli se presentata in un modo che fosse altamente accessibile per loro. Ad esempio, attraverso puppets, animali peluche, libri e altri giochi potevano essere modellate le strategie cognitive dei bambini così come, secondo quanto sostenuto da Bandura (1969), attraverso dei modelli, fosse possibile facilitare cambiamenti nel comportamento.

Nella prospettiva della Play Therapy Cognitivo-Comportamentale questi modelli possono commettere “errori” lungo il percorso e modellare l’apprendimento di nuovi comportamenti mentre il bambino osserva. Il modello (ad esempio, un puppet) in questi casi può verbalizzare abilità di problem solving o soluzioni a problemi che rispecchiano le difficoltà del bambino. In questo modo, Knell ha usato un approccio strutturato, direttivo e orientato agli obiettivi, per insegnare ai bambini a pensare a un nuovo modo di risolvere i loro problemi. 

La Play Therapy Cognitivo-Comportamentale integra nella terapia i poteri terapeutici del gioco (Schaefer, 1999) con l’obiettivo principale di definirsi come un intervento appropriato allo sviluppo del bambino. La Knell (1993a), prima, e la Geraci (2022a), dopo, hanno riconosciuto che nella terapia con i bambini potevano essere inseriti tutti quei fattori curativi del gioco che lo rendono un agente terapeutico per il cambiamento (Russ, 2003). Una maggiore comprensione di questi meccanismi di cambiamento consente al clinico di applicarli in modo più efficace per soddisfare le esigenze particolari del caso (Schaefer, 1999). Schaefer (1993) è il primo a parlare di poteri terapeutici del gioco definendoli come quei “fattori che esercitano un effetto benefico nel cliente, nel senso che determinano una diminuzione dei sintomi o un aumento del comportamento desiderato”. Il gioco, quindi, è utilizzato in terapia come mezzo per aiutare i bambini ad affrontare problemi emotivi e comportamentali. Nell’ambiente sicuro ed emotivamente favorevole di una stanza dei giochi (playroom), il bambino può mettere in scena preoccupazioni e problemi, che può “giocare” con il terapeuta sentendosi ascoltato e compreso. L’uso del gioco aiuta a stabilire la relazione con i bambini e la presenza di giocattoli e materiali di gioco nella stanza invia un messaggio al bambino: quello spazio e quel tempo sono diversi da tutti gli altri. Indica al bambino che gli viene concesso il permesso di essere bambino e di sentirsi libero di essere pienamente sé stesso (Landreth, 1983). I giocattoli diventano le parole del bambino e interpretano il suo linguaggio (Landreth, 1991), che il terapeuta, in un tempo di gioco non strutturato, “riflette” al bambino per favorire una maggiore comprensione. Invece, in un tempo di gioco strutturato, il terapeuta “modella” (Knell, 1993a, 1998a, 1998b) al bambino, attraverso il gioco, comportamenti più adattivi e funzionali allo sviluppo di abilità di coping e strategie di problem-solving.

Il modello, come concettualizzato da Knell, ha dimostrato la sua efficacia in bambini con varie difficoltà: mutismo selettivo (Knell, 1993b); encopresi (Knell, 1990); ansia da separazione (Knell, 1999); disturbi d’ansia (Knell, 2000; Knell & Dasari, 2006) e comportamento aggressivo (Knell, 2000). La prova della sua efficacia è stata inoltre presentata in casi di bambini con disturbi del sonno, bambini che vivono la separazione dei genitori (Knell, 1993b), nelle storie di abusi sessuali (Knell & Ruma, 1996, 2003). Solo di recente sono riportate in letteratura le prime evidenze sulla popolazione italiana con un caso di disregolazione emotiva (Geraci, 2021) e di comportamenti aggressivi (Geraci & Argento 2022). 

Adattamento della Terapia Cognitivo-Comportamentale per bambini scolari e prescolari

Una delle più grandi difficoltà incontrate nello sviluppo e nell’evoluzione della terapia cognitivo-comportamentale (CBT) è sempre stata quella di trovare il modo di adattarla all’età evolutiva. Adattare la CBT alle caratteristiche dell’età evolutiva comporta l’inevitabile modificazione delle metodologie della terapia cognitiva standard, pur mantenendo saldo il suo fondamento teorico. Secondo la CBT, infatti, il comportamento disadattivo è l’espressione del pensiero irrazionale, per cui l’intervento si focalizza sul cambiamento delle cognizioni, in particolare sulla modificazione del pensiero irrazionale, disadattivo o illogico.

La CBT fondata sul funzionamento adulto può essere adattata sui bambini, ma è necessario non dimenticare che essi non hanno ancora maturato un sufficiente sviluppo cognitivo per beneficiare delle tecniche CBT. Nella fase pre-operatoria dello sviluppo del bambino, infatti, il pensiero è di natura egocentrica, concreta e irrazionale e il linguaggio non risulta ancora pienamente sviluppato. Tali caratteristiche rendono difficile applicare una terapia prettamente verbale come la CBT, che presuppone la capacità di distinguere tra pensiero razionale e irrazionale, adeguate capacità linguistiche e pensiero astratto. 

Attraverso la Play Therapy Cognitivo-Comportamentale i dati di letteratura hanno dimostrato che questo è possibile utilizzando tecniche CBT mediate da interventi esperienziali basati sul gioco (Knell, 1993a, 1994, 1997, 1998, 1999; Knell & Moore, 1990; Knell & Ruma, 1996, 2003; Knell & Dasari, 2006). Infatti, per i bambini, il gioco è un mezzo di comunicazione naturale e appropriato allo sviluppo. Per questo, i bambini usano i giocattoli come parole e il gioco come linguaggio. In questo modo, attraverso l’uso del gioco, il cambiamento cognitivo può essere modellato indirettamente (Shirk & Russell, 1996; Knell 1998).

La Play Therapy Cognitivo-Comportamentale si pone, dunque, come un intervento strutturato in grado di superare tali limiti metodologici che riduce l’attenzione sulle capacità verbali e linguistiche del bambino e aumenta l’uso di approcci più esperienziali, contribuendo al successo dell’adattamento della terapia cognitiva con i bambini piccoli (Knell & Ruma, 1996, 2003; Knell & Dasari, 2006).

Applicazione delle Play Therapy

Nella Play Therapy Cognitivo-Comportamentale le tecniche CBT vengono utilizzate per sviluppare le competenze dei bambini e sono adattate al livello di sviluppo delle loro capacità cognitive, emotive e sociali (Knell, 1993a, 1993b, 1994, 1997, 1998, 1999, 2000; Knell & Moore, 1990; Knell & Ruma, 1996, 2003; Knell & Beck, 2000, Knell & Dasari, 2006). 

La tecnica CBT centrale nell’intervento della Play Therapy Cognitivo Comportamentale è il modeling. Questa tecnica espone il bambino a qualcuno o qualcosa che funge da modello e dimostra il comportamento da apprendere, rinforzare o ridurre, nonché le strategie di fronteggiamento adattive (Bandura, 1977; Zimmerman e Lanaro, 1974). Nello specifico può essere applicato attraverso vari strumenti come l’uso dei puppets, dei libri terapeutici, delle arti espressive, film ecc. Ad esempio, un puppet può verbalizzare le capacità di soluzione dei problemi: il terapeuta parla ad alta voce a ogni passo, fornendo così uno stimolo uditivo e un esempio concreto per il bambino che osserva. Allo stesso tempo, il terapeuta può commentare ad alta voce e affrontare i problemi sollevati dal puppet. Oppure attraverso la creazione di storie, il bambino ha la possibilità di apprendere modelli di comportamento positivo e adattivo attraverso l’identificazione con i personaggi della storia.

Tra le tecniche comportamentali applicate attraverso l’uso del gioco ritroviamo il rinforzo positivo, lo shaping, il role playing, la dissolvenza dello stimolo, l’estinzione, la sospensione del rinforzo, il rilassamento, la desensibilizzazione sistematica, l’esposizione e la generalizzazione.

Ad esempio il rinforzo positivo viene utilizzato specificando un comportamento target, determinando un rinforzo e rendendo il rinforzo contingente al verificarsi del comportamento target. Nella Play Therapy Cognitivo-Comportamentale il rinforzo positivo spesso include rinforzi sociali (una lode) o rinforzi materiali (degli adesivi), e può essere diretto o indiretto. Molte volte il rinforzo positivo viene utilizzato nelle arti espressive per incrementare i livelli di autostima di bambini che vivono situazioni in cui si sentono impotenti, in modo da aiutarli a ripristinare un senso di accettazione, controllo e realizzazione. Oppure, nel caso di un puppet che ha paura di leggere ad alta voce, questo potrà ricevere degli adesivi o dei feedback positivi per ogni tentativo di leggere a un altro puppet (per una descrizione più completa delle tecniche, vedi Geraci, 2022a).

Tra le tecniche cognitive applicate attraverso l’uso del gioco ritroviamo la psicoeducazione, le autoistruzioni, il contrasto delle credenze irrazionali, le autoaffermazioni positive, l’autocontrollo, il problem-solving, la biblioterapia e la prevenzione della ricaduta.

Ad esempio la psicoeducazione consiste nel fornire al bambino informazioni sul suo disturbo e prevede la normalizzazione dei sintomi e la spiegazione del modello CBT. Nella Play Therapy Cognitivo-Comportamentale, la psicoeducazione viene adattata al livello di sviluppo dei bambini attraverso principalmente l’uso del modeling e della biblioterapia. Attraverso il modeling il bambino osserva il terapeuta che insegna a un puppet: (a) quali sono le sue difficoltà e (b) quali sono i pensieri che influenzano i suoi sentimenti e il suo comportamento.

Un’altra tecnica molto usata è la soluzione dei problemi (problem solving) è una tecnica sistematica che consente di identificare modalità attive di fronteggiamento e di testare i possibili risultati che ne conseguono. Anche in questo caso, attraverso l’uso di puppets, dello storytelling terapeutico o attività ludiche strutturate, il terapeuta ha la possibilità di poter presentare al bambino i cinque passaggi del problem-solving. Ad esempio la lettura di una storia che spiega l’importanza di: (1) identificare il problema specifico e l’obiettivo desiderato; (2) riflettere sulle possibili strategie per raggiungere l’obiettivo; (3) valutare i pro e i contro di ogni strategia; (4) attuare la strategia preferita; e (5) valutare i risultati. Il terapeuta, dopo la lettura, può potenziare l’apprendimento di questa tecnica attraverso l’uso del modeling e del role playing (per una descrizione più completa delle tecniche, vedi Geraci, 2022a).

Il setting della Play Therapy Cognitivo-Comportamentale

Il setting della Play Therapy Cognitivo-Comportamentale solitamente è strutturato nella stanza dei giochi, all’interno della quale si trovano materiali e giocattoli tradizionali di play therapy che possono essere utilizzati sia direttamente che metaforicamente (Geraci, 2022a).

È fondamentale che i giochi siano visibili e facilmente accessibili al bambino. Deve essere curato l’aspetto della “prevedibilità”, con i giochi tenuti sempre nello stesso posto in modo che il bambino sappia dove si trovino da una sessione all’altra. Se il bambino sta lavorando a un progetto o a documenti (ad es. immagini, libri individuali e auto-creati), è importante che il terapeuta e il bambino abbiano un luogo sicuro dove conservare questi materiali fuori dalla portata di altri bambini (Knell, 2009).

Nella Play Therapy Cognitivo-Comportamentale è fondamentale l’equilibrio tra attività strutturate e orientate agli obiettivi e attività non strutturate durante le quali è possibile osservare la spontaneità del bambino. I momenti non strutturati e spontanei sono fondamentali perché consentono al terapeuta di sintonizzarsi sui bisogni del bambino, favorendo un ambiente sicuro e di accettazione che possano rafforzare il senso di padronanza del bambino, e al tempo stesso ottenere molte informazioni cliniche.

Infatti, il bambino esprime i propri bisogni attraverso il gioco e il terapeuta, nel riconoscerli, fornisce uno spazio espressivo senza intervenire o interpretare, ma accettandolo e riconoscendo il “prezioso” momento di comunicazione. Grazie a questo spazio, il terapeuta attraverso i momenti strutturati può pianificare un intervento che prevede l’insegnamento di comportamenti e strategie più adattivi attraverso le tecniche cognitive e comportamentali mediate dal gioco. L’equilibrio tra i momenti strutturati e non strutturati è regolato dall’abilità di seamless, ovvero la capacità di entrare ed uscire dal gioco strutturato e non strutturato nel modo più fluido possibile insieme al bambino. In questo senso, le sessioni si articolano lungo un continuum che accompagna il bambino nel gioco non definendo delle “rotture”, ma strutturando il gioco e assecondando il bambino avendo chiari gli obiettivi terapeutici da raggiungere.

In alcuni casi, la terapia può avvenire al di fuori della stanza dei giochi, in particolare quando i bambini presentano ansie o fobie specifiche, per cui è necessario un trattamento in vivo. In questo caso, vengono selezionati materiali di arti espressive in base alle esigenze dei bambini per consentire l’esposizione graduale e la desensibilizzazione sistematica nel trattare vissuti carichi di emozioni. Per questi bambini, il trattamento può avvenire in un ambiente che assomiglia più da vicino alla situazione temuta (Knell, 1993, 1998b).

In cosa consiste il trattamento attraverso la Play Therapy Cognitivo-Comportamentale

La Play Therapy Cognitivo-Comportamentale è articolata in 5 fasi, definite come: introduzione/orientamento, valutazione, concettualizzazione del caso, intervento e conclusione.

  • Introduzione: questa fase sottolinea, attraverso delle linee guida (Knell & Dasari, 2009), l’importanza di orientare e preparare sia il bambino che i genitori alla Play Therapy Cognitivo-Comportamentale. Qui vengono fornite indicazioni e utilizzati compiti strutturati o la biblioterapia per aiutare i genitori a spiegare al bambino il percorso terapeutico.
  • Valutazione: la valutazione è finalizzata alla raccolta di informazioni per la definizione degli obiettivi e del piano di trattamento. Prevede il colloquio con i genitori, la somministrazione di questionari o altre misure di valutazione, il play assessment del bambino e il play assessment familiare.
  • Concettualizzazione del caso: la concettualizzazione del caso nella Play Therapy Cognitivo-Comportamentale è fondamentale per capire il funzionamento del bambino e la natura dei comportamenti problematici manifestati alla luce dei dati emersi e sintetizzati secondo il modello teorico di riferimento. Gli elementi fondamentali della concettualizzazione del caso sono: (1) la descrizione dei fattori individuali; (2) la descrizione dei fattori relazionali; (3) la descrizione dei fattori ambientali; (4) il presenting problem(s); (5) i fattori di rischio, di protezione e di mantenimento (Geraci, 2022a).
  • Intervento: in questa fase viene sviluppato un piano di trattamento che contiene gli obiettivi terapeutici e le tecniche CBT che verranno utilizzate. L’intervento si focalizza sull’aumento e il rafforzamento dell’autocontrollo del bambino, sul suo senso di realizzazione e sull’apprendimento di risposte più adattive per affrontare situazioni specifiche. 
  • Conclusione: mentre il percorso terapeutico si avvicina al termine, il bambino e la famiglia vengono preparati gradualmente alla conclusione della terapia.

Per una descrizione più completa delle linee guida, vedi Geraci (2022a).

L’efficacia della Play Therapy Cognitivo-Comportamentale

Per concludere, grazie alla Play Therapy Cognitivo-Comportamentale, la CBT diventa accessibile e il bambino viene aiutato ad assumere un ruolo attivo nel processo di cambiamento e di padronanza del problema presentato. Questo modello terapeutico per l’età evolutiva ha linee guida chiare che guidano il clinico nella progettazione di un intervento specifico, appropriato allo sviluppo e su misura per il bambino a seconda delle sue difficoltà. Queste linee guida prevedono indicazioni sul setting, sull’organizzazione delle fasi della terapia, sulla concettualizzazione del caso e sull’integrazione delle tecniche CBT.

L’efficacia della Play Therapy Cognitivo-Comportamentale è, dunque, dimostrata da sei caratteristiche specifiche del modello: 

  • Coinvolge il bambino nella terapia attraverso il gioco. 
  • Si focalizza sui pensieri, sui sentimenti, sulle fantasie e sull’ambiente del bambino. 
  • Propone strategie per lo sviluppo di pensieri e comportamenti adattivi che possono aiutare il bambino ad affrontare situazioni e sentimenti. 
  • E’ una terapia strutturata, direttiva e orientata a un obiettivo.
  • Comporta l’impiego di tecniche empiricamente dimostrate, in particolare il modeling.
  • Consente un controllo empirico del trattamento.

Questo modello in sintesi, rientra negli interventi di terapia cognitivo-comportamentale (CBT) per l’età evolutiva e, utilizzando il gioco come mezzo per comunicare con il bambino, si configura come intervento CBT di elezione per insegnare ai bambini, anche molto piccoli, modalità più adattive per gestire le problematiche e superare le difficoltà in maniera indiretta e coinvolgente.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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