I disturbi perinatali paterni
Per quanto negli ultimi anni ci si sia concentrati molto sulla condizione depressiva perinatale delle mamme, la ricerca scientifica si sta interessando sempre di più alla condizione di sofferenza che presentano alcuni papà nel periodo perinatale che comprende sia i mesi precedenti alla nascita del figlio, durante la gravidanza, sia i mesi successivi alla nascita. In Italia Currò e collaboratori segnalano un’importante incidenza delle patologie perinatali: nel 9.1% dei casi i papà riportano una condizione significativa di stress perinatale rendendo così chiaro quanto tale patologia sia più comune di ciò che si pensa (Currò, De Rosa, Maulucci, Maulucci, Silvestri, Zambrano & Regine, 2009).
Il termine patologie al plurale viene utilizzato come una sorta di ‘termine ombrello’ per indicare una serie di condizioni, più o meno gravi, che possono interessare i neopapà. L’uomo tende a manifestare il proprio malessere perinatale in modalità molto varie, da quelle puramente esternalizzanti (Baldoni & Landi, 2015), quali disturbo da discontrollo degli impulsi e l’abuso di sostanze, ad altre più internalizzanti, per esempio, di natura ansiosa (Baldoni & Ceccarelli, 2010).
Le manifestazioni dei disturbi perinatali paterni
La tendenza all’internalizzazione si osserva nel caso della sindrome della Couvade nella quale l’uomo esperisce lo stress perinatale attraverso sintomi corporei che lo avvicinano alla condizione della donna in gravidanza, quali gonfiore addominale, nausee e cambiamenti ormonali (Baldoni & Ceccarelli, 2010). Tale condizione è stata ricondotta all’inconscio processo di “femminilizzazione” vissuto dagli uomini a seguito della spinta alla parità di genere soprattutto nell’assegnazione dei compiti familiari. Attraverso i sintomi corporei l’uomo cercherebbe di esprimere l’ansia derivante dall’attribuzione di responsabilità familiari per cui da un punto di vista evoluzionistico non è preparato, un esempio ne è il nutrimento del neonato (Baldoni, 2005).
Una condizione di maggiore gravità si è evidenziata nella psicosi puerperale maschile: in questo caso, l’uomo manifesta allucinazioni visive e uditive il cui contenuto è riferito alla preoccupazione riguardanti la cura della diade mamma-bambino. Esse sarebbero conseguenza estrema della percezione di se stesso come “padre incapace” di assumere il ruolo di protettore della diade mamma-bambino e di farsi carico dei nuovi compiti evolutivi che il diventare genitore gli pone davanti. L’eziopatogenesi di tali disturbi potrebbe riscontrarsi in uno scarso insight paterno e nella mancanza di un solido modello genitoriale a cui affidarsi (Shahani, 2012).
Tutte queste manifestazioni vengono incluse in un continuum di gravità, come accade nel caso della sofferenza materna, ai cui estremi si possono trovare, da una parte, i paternal blues (Cicchiello, 2017), con sintomatologia più lieve e di breve durata, dall’altra, la psicosi puerperale passando per tutte quelle manifestazioni intermedie che si rifanno alla sintomatologia della depressione perinatale maschile (Goodman, 2004 Cicchiello, 2017).
Nonostante la letteratura sul tema sia relativamente recente, dalla ricerca clinica emerge l’importanza di dare un nome e inquadrare dal punto di vista psicopatologico queste condizioni di sofferenza paterna. Per agevolare la diagnosi clinica, e con l’intento di rendere conto della complessità di tale condizione, alcuni autori propongono di integrare la molteplicità delle condizioni in un’unica etichetta diagnostica nella più ampia definizione del “disturbo affettivo perinatale paterno” (Baldoni & Giannotti, 2020).
L’eziopatogenesi dei disturbi perinatali paterni
L’eziopatogenesi dei disturbi perinatali paterni si può ricondurre a diverse condizioni biologiche, psicologiche e sociali.
In primo luogo, l’analisi dei cambiamenti ormonali che il corpo dell’uomo subisce nel periodo perinatale permette di evidenziare che a una maggiore vicinanza con il figlio corrisponde un importante abbassamento dei livelli di testosterone – ormone maschile simbolo di forza e virilità – accompagnato da un aumento di prolattina e ossitocina definiti come “ormoni dell’amore”. Tali cambiamenti hanno la duplice funzione fisiologica di diminuire il desiderio sessuale maschile nel periodo immediatamente successivo al parto, assecondando le necessità del corpo femminile, e di sottostare alla richiesta di delicatezza e tenerezza che sono fondamentali nell’interazione tra il papà e il bambino nei suoi primi giorni di vita (Pellai, 2019). Tuttavia, bassi livelli di testosterone sono associati ad una maggiore probabilità di insorgenza di sintomi depressivi, pertanto l’abbassamento di tali livelli potrebbe avere un effetto sull’insorgenza della depressione perinatale paterna (Storey, Walsh, Quinton & Wynne-Edwards, 2000).
In secondo luogo, si è osservato che anche l’insoddisfazione coniugale percepita dall’uomo può essere una causa di insorgenza di patologia in epoca perinatale. Le difficoltà maggiori che portano a un cambiamento nel rapporto di coppia sono state riscontrate nella negoziazione dei nuovi ruoli e compiti coniugali e familiari e nella complicità e nella sessualità di coppia (Belsky, 1997; Baldoni, 2005). Per quanto concerne la sessualità, questa può fisiologicamente venire meno dal momento che la donna, specialmente nel post-partum, è molto impegnata nelle cure primarie del bambino e, quindi, l’uomo può sentirsi messo in secondo piano e vedersi meno considerato come partner sessuale. Proprio a causa di tali sentimenti di estraneità, in questa delicata fase del ciclo di vita dell’uomo, possono insorgere dei disturbi psicologici di segno depressivo (Johnson, 2011).