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Le fasi dell’amore tra neuroscienze e le canzoni di Lucio Battisti

Battisti è riuscito a scrivere e cantare ogni fase e sintomo d’amore, regalandoci brani indimenticabili e intramontabili

Di Giulia Campanale

Pubblicato il 08 Set. 2023

Aggiornato il 15 Set. 2023 12:38

La musica di Lucio Battisti

Probabilmente Lucio Battisti sapeva che il potere della musica è inarrestabile, che la sua magia è capace di trascendere lo spazio e il tempo e navigare l’eternità. Ma chissà se aveva anche previsto che la sua musica, proprio la sua – indubbiamente anche grazie alla lunga e fortunata collaborazione con il suo paroliere Mogol – avrebbe fluttuato indelebilmente tra generazioni e generazioni e che le sue parole e melodie si sarebbero incastrate nei cuori di milioni di persone, permettendo loro di conoscersi e riconoscersi, di sentirsi capiti, di emozionarsi ascoltandolo.

Chissà se immaginava quanti brividi riescono a scaturire ancora oggi dalle sue poesie di vita. D’altronde, però, lo diceva già lui stesso: “come può uno scoglio arginare il mare?” (Io vorrei…non vorrei…ma se vuoi, 1972). Quando la musica è fatta bene e si trasforma in un oceano di emozioni, non c’è nessun impedimento o confine spazio-temporale che può arrestare o rendere prigioniera la sua incredibile potenza.

Immenso artista e geniale interprete del sentimento amoroso, Lucio Battisti è riuscito a scrivere e cantare ogni fase e sintomo d’amore, regalandoci brani indimenticabili e intramontabili dove rifugiarsi in cerca di emozioni e comprensione, quasi come se conoscesse ognuno di noi da sempre, e in ogni momento della nostra vita.

Attrazione, infatuazione, innamoramento

No, non sarà un’avventura
non è un fuoco che col vento può morire
ma vivrà quanto il mondo
fino a quando gli occhi miei
avran luce per guardare gli occhi tuoi
Innamorato, sempre di più
in fondo all’anima
per sempre tu

Che meraviglia innamorarsi, lasciarsi inebriare da quella sensazione di gioia, curiosità, ottimismo ed euforia che non vuol sentir ragioni e ti porta a desiderare più che mai la persona che hai conosciuto, a pensarla costantemente e a immaginare romantici scenari. Un’avventura (1969) riassume bene il passaggio dalla prima attrazione all’innamoramento, fase durante la quale il cuore batte all’impazzata e si ha una grande sensazione di fiducia in sé stessi e nel futuro della coppia. Ci si trova in una sorta di “stato alterato di coscienza” che viene chiamato limerence (limerenza, invischiamento) e la sensazione di avere trovato la persona che potenzialmente cercavamo scatena importanti reazioni chimiche, ormonali e cerebrali.

L’attrazione delle prime fasi deriva prima di tutto dall’attivazione del sistema sessuale. Il desiderio viene innescato principalmente da due ormoni: gli androgeni (testosterone) e gli estrogeni, entrambi presenti sia negli uomini che nelle donne, seppure in quantità differenti. Il testosterone, in particolare, gioca un ruolo fondamentale per creare quelle condizioni ottimali che cementificano un’unione e assicurano la possibilità di fecondazione. Insomma, è questa la fase in cui siamo maggiormente travolti dai nostri assetti ormonali.

Durante la fase dell’attrazione e dell’innamoramento sono molto importanti anche alcune sostanze chimiche che vengono rilasciate nel nostro corpo: la persona che ci attrae costituisce infatti un potente segnale che fa attivare tutto il nostro organismo attraverso il rilascio di alcuni neurotrasmettitori come l’epinefrina, la norepinefrina, la feniletilamina e la dopamina. Proprio quest’ultima, che viene stimolata direttamente dalla feniletilamina, sembra avere un peso determinante durante le prime fasi della relazione di coppia ed è quella che ci fa battere il cuore e avere la sensazione di essere sottoposti a una vera e propria scarica di adrenalina.

In quelle regioni del cervello che sono responsabili della produzione di dopamina, infatti, la pressione sanguigna aumenta: si tratta di aree anatomicamente collegate che costituiscono il cosiddetto sistema dopaminergico della ricompensa. Quando i livelli di dopamina aumentano in seguito all’attivazione di queste particolari aree cerebrali ne sentiamo l’effetto non solo a livello psicologico ma anche a livello fisico: proviamo un forte senso di appagamento e gratificazione, vogliamo ripetere gli eventi che ci danno quella forte sensazione di euforia e perdiamo –letteralmente– la testa, poiché l’attivazione di questo sistema riduce l’azione di controllo da parte della corteccia prefrontale, ossia quell’area cerebrale deputata al pensiero, al ragionamento, alla capacità critica, di valutazione e di giudizio.

E come uccelli leggeri
fuggono tutti i miei pensieri
per lasciare solo posto al tuo viso
che come un sole rosso acceso
arde per me

Ci dice Lucio Battisti in La luce dell’est (1972). Insomma, in questa fase il/la partner e la nostra neo-storia d’amore ci sembrano perfetti, lontani da qualsiasi possibile critica o insuperabile problema.

Tuttavia, sempre in queste prime fasi del sentimento amoroso, se da un lato aumentano nel cervello quei neurormoni che producono eccitazione ed euforia, dall’altro ne diminuiscono altri, i quali, proprio con la loro carenza, inducono uno stato di forte ansia e agitazione. In particolare, se la relazione non si è ancora definitivamente consolidata o è in fase di consolidamento, da una parte ci sentiamo in estasi, dall’altra ci sembra di essere in uno stato di ipervigilanza, che ci porta ad entrare facilmente in ansia o a rattristarci a ogni minimo segnale di disattenzione da parte dell’altro/a. Queste sensazioni, che possono inconsapevolmente sfociare poi in pensieri ossessivi e fissazioni, derivano dall’abbassamento dei livelli di serotonina, un neurotrasmettitore che – quando è in equilibrio – regola le emozioni e produce buon umore.

Uno studio condotto presso l’Università di Pisa da una psichiatra (Marazziti et al., 1999) ha rivelato che in soggetti innamorati da non più di sei mesi sottoposti ad un’analisi del sangue, compariva a livello ematico una struttura simile a quella presente nei pazienti affetti da un disturbo ossessivo-compulsivo, cioè vi era un’evidente disfunzione nei livelli di serotonina.

In sintesi, nelle prime fasi di una relazione tutto l’organismo si trova in uno stato di iperattivazione e il cervello cerca di fare il possibile affinché si avvii la costruzione di un legame solido e duraturo.

Il declinare della passione: verso l’amore e l’impegno

La passione, l’eccitazione e l’euforia prevalgono nel periodo iniziale di una relazione e –sebbene nei legami di coppia sani e funzionali non si esauriscano mai del tutto– con il passare del tempo sono l’intimità e l’impegno ad acquisire maggiore importanza. La dopamina, infatti, inizia gradualmente ad esaurire la sua funzione euforizzante e l’organismo raggiunge una condizione di assuefazione dove il cervello impara a tollerare le elevate concentrazioni di questo neurotrasmettitore e ad abituarcisi. Successivamente la dopamina viene man mano eliminata permettendo all’organismo di ripristinare una condizione di equilibrio normale e di non andare più su di giri alla vista del partner. È questo un momento cruciale della relazione, la quale può a questo punto interrompersi lasciando ai membri della coppia la libertà di ricercare e riprovare quelle sensazioni eccitanti in un nuovo partner, oppure può continuare a consolidarsi sempre di più accogliendo una nuova intensità emotiva caratterizzata da profonda connessione, fiducia e interdipendenza.

Si tratta di un passaggio tanto naturale quanto delicato, spesso caratterizzato da pensieri e sane paure, come quella di mettersi completamente a nudo e in gioco, o di rimanere delusi o feriti. Il grande Lucio descrive molto bene questo stato in “Con il nastro rosa” (1980) quando dice “Comunque adesso ho un po’ paura / ora che quest’avventura / sta diventando una storia vera / spero solo tu sia sincera”, ma lo fa anche nella sua “Aver paura d’innamorarsi troppo” (1978), un brano capace di mettere al centro la nostra fragilità e la consapevolezza che per amare bisogna far cadere ogni maschera, fidarsi pienamente dell’altro/a e lasciarsi guardare e amare nella nostra più pura, intima e umana vulnerabilità.

Abbandonarsi senza più timori
senza fede nei falliti amori
e non studiarsi, ubriacarsi di fiducia
per uscirne finalmente fuori.
Aver paura
di confessare tutto
per il pudore
d’innamorarsi troppo.

 

Quando si parla di paura il pensiero corre subito all’amigdala, una piccola parte del cervello a forma di mandorla inserita nel sistema limbico che svolge un’importante funzione di difesa e procede a una continua comparazione degli stimoli che vengono ricevuti dall’ambiente con le esperienze passate. Quando presente e passato hanno degli elementi di allarme in comune, l’amigdala li identifica e sprona l’organismo a reagire immediatamente, in una cosiddetta reazione fight or flight.

La paura è un’emozione che viene scatenata in modo indipendente dal pensiero cosciente, generalmente prima di esso, di conseguenza l’amigdala reagisce agli stimoli prima che questi vengano valutati dalla neocorteccia. Tuttavia, in questa fase di passaggio dall’innamoramento passionale al vero e proprio amore caratterizzato da impegno e fiducia, la corteccia prefrontale torna lentamente a riattivarsi, e con questo inizia pian piano a riaffiorare la capacità di giudizio critico e di ragionamento. Le informazioni relative al partner e le nostre eventuali paure vengono ancora elaborate nelle regioni del sistema dopaminergico della ricompensa, ma questo processo avviene a un livello di minore intensità. Un peso maggiore lo acquisisce allora l’accensione di altre aree cerebrali come l’ippocampo, coinvolto nei processi di memoria, e il cingolo anteriore, coinvolto nell’attenzione, nella regolazione del dolore e caratterizzato da una forte concentrazione di ossitocina e di vasopressina. Ed è proprio l’ossitocina –prodotta dalla zona posteriore dell’ipofisi– ad avere un ruolo fondamentale in questa nuova fase del rapporto di coppia che porta all’amore vero e proprio. L’ossitocina, infatti, viene anche chiamata “ormone dell’amore” perché fa sviluppare tenerezza e desiderio di mantenere il contatto, riducendo l’attività dell’amigdala e portando una sensazione di benessere, di sicurezza emozionale, di desiderio di fidarsi dell’altro e di mettere in atto comportamenti di accudimento. Essa potrebbe essere considerata l’elemento cruciale che consente il passaggio da un legame basato sull’attrazione e il desiderio, a un legame più propriamente affettivo, dove le paure si annullano e regna la fiducia. “Fra le tue braccia calde / anche l’ultima paura morì” dice Battisti in “Vento nel vento” (1972).

Insomma, è proprio quando si è in grado di accettare che una relazione di coppia implica cambiamenti e trasformazioni che sono funzionali al buon andamento della relazione stessa e non ci si lascia influenzare troppo dalle paure (“Ma non ti accorgi che è solo la paura che inquina / e uccide i sentimenti”, “La collina dei ciliegi”, 1973) che viene favorito il rilascio delle endorfine, la mente si calma ed emerge l’amore più vero e profondo.

Tra amore e sofferenza: verso la fine di una relazione

Amarsi un po’
è un po’ fiorire
aiuta sai
a non morire.
Senza nascondersi,
manifestandosi
si può eludere
la solitudine.

L’amore rende il nostro cuore rigoglioso, ci riempie di emozioni e fiducia, ci fa apprezzare la bellezza del non essere soli e della condivisione. Stabilizzare e mantenere a lungo un rapporto, però, trovando il modo di ritornare in equilibrio anche dopo gli ostacoli e le difficoltà, non è cosa semplice: non basta quasi mai solo il sentimento, serve anche coraggio. E in “Amarsi un po’” (1977) Lucio Battisti ci regala un viaggio alla scoperta dell’altro, dove le difficoltà esistono e si incontrano lungo il percorso di crescita della coppia, e dove “quanti ostacoli e sofferenze / e poi sconforti e lacrime / per diventare noi / veramente noi / uniti / indivisibili / vicini / ma irraggiungibili” bisogna affrontare. Perché bisogna essere pronti a vivere a pieno l’amore, lasciandosi guidare dall’altro/a, scacciando e affrontando le proprie paure, tenendosi stretti mano nella mano.

E quando non si ha più il coraggio o la forza di stringerle forte quelle mani, la relazione di coppia finisce e nuove emozioni e sensazioni invadono fastidiosamente il nostro organismo.

La separazione, infatti, costituisce senza dubbio un’esperienza stressante, angosciante e dolorosa, caratterizzata –secondo lo psicologo John Bowlby (1982, 2000)– dalla successione o dall’alternarsi di una serie di fasi.

Durante la cosiddetta fase dell’obnubilamento e della protesta le nostre emozioni diventano intense e contraddittorie: si prova rabbia, delusione, ci si sente in colpa, si incolpa l’altro, si è tristi, abbattuti, ipersensibili, ci si sente soli e persi. E potrà sembrare un paradosso, ma durante questi primi momenti si attivano le stesse aree cerebrali coinvolte nella fase dell’innamoramento: è come se la paura di un definitivo distacco riaccendesse l’attrazione, la passione e l’amore: si sperimenta un grande desiderio dell’altra persona e si vive nella speranza di riunirsi. I primi versi di “Fiori rosa, Fiori di pesco” (1970) riassumono bene la condizione post-rottura e la difficoltà ad accettare la fine di una storia:

Scusa se son venuto qui questa sera
da solo non riuscivo a dormire perché
di notte ho ancor bisogno di te
fammi entrare per favore
(…)
No, non sto sbagliando, mi ami
dimmi che è vero.

Ma poi, piano piano, quanto più è evidente che la separazione è ufficiale, tanto più emergono una forte sofferenza e una specie di rassegnazione. Si entra nella fase della disperazione, uno stato caratterizzato da letargia, mancanza di sonno e appetito, stress e agitazione. Distrarsi e dedicarsi alle più semplici attività quotidiane diventa difficile, perché i pensieri si intrufolano da ogni parte e non ci lasciano in pace: “Sono al buio e penso a te / chiudo gli occhi e penso a te / io non dormo e penso a te”, dice Lucio con una sincerità disarmante nella sua meravigliosa “E penso a te” (1972).

Riemerge comunque, ogni tanto, la perdita di contatto con la realtà e la speranza che anche l’altro/a sia nella stessa condizione e ci cerchi col pensiero: “Non so con chi adesso sei / non so che cosa fai / ma so di certo a cosa stai pensando. / È troppo grande la città / per due che come noi / non sperano però si stan cercando”.

Si attraversano poi momenti di apatia, disillusione e amarezza, durante i quali ci si sente svuotati di ogni significato ed emozioni. Niente sembra più avere senso, niente riesce più a entusiasmarci come prima, ci si sente quasi anestetizzati verso la vita, un po’ come ci viene raccontato in “Nessun dolore” (1978): “Non sento niente, no / Adesso niente, no / Nessun dolore / Non c’è tensione / Non c’è emozione / Nessun dolore”.

Verso la rinascita

La fortuna è che, nonostante il dolore e la fatica emotiva, alla fine di una relazione si può sopravvivere e alla fase della disperazione, complicata ma necessaria per realizzare appieno che l’amore è davvero finito, subentra la fase del distacco, durante la quale si perde definitivamente la speranza e si ricomincia pian piano a vivere e a rifiorire, consapevoli del passato, cresciuti anche grazie al dolore e ottimisti verso il futuro e quello che verrà. Si cerca di ricostruire un nuovo personale equilibrio fatto di amore per sé stessi e indipendenza, lontano da tentazioni passate e dando il giusto peso ai ricordi e alle nostalgie che possono ancora inevitabilmente attraversarci. Tenere lontano il passato e allo stesso tempo accettarlo diventa il primo importante mattone per la costruzione di un nuovo presente più maturo e consapevole, come ci suggeriscono i versi di “Prendila così” (1978):

Cerca di evitare tutti i posti che frequento
e che conosci anche tu
nasce l’esigenza di sfuggirsi
per non ferirsi di più.
(…)
Prendila così
non possiamo farne un dramma. 

E allora, finalmente, allontanandosi emozionalmente dalla relazione e rinunciando alla speranza, l’organismo inizia a riorganizzarsi a livello pratico ed emotivo, pronto ad accogliere un nuovo futuro e nuovi livelli di dopamina, ossitocina, serotonina ed endorfine che verranno rilasciati grazie a un nuovo incontro speciale.

E se quell’incontro sarà un ritrovare nuovamente la forza di stringere le uniche mani che abbiamo sempre voluto intrecciare alle nostre (“Ancora tu / non mi sorprende lo sai / Ancora tu / ma non dovevamo vederci più”, da “Ancora tu”, 1976) o se sarà un prezioso incontro con la nuova versione di noi stessi (“Come me che ho bisogno di qualche cosa di più / che non puoi darmi tu”, da “L’aquila”, 1972), la chiave per tornare a vivere “Una vita viva” (1980) è comunque solo una:

Cercando di ripartire,
qualcosa accadrà.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Attili G. (2017) Il cervello in amore: le donne e gli uomini ai tempi delle neuroscienze. Il Mulino.
  • Esch T, Stefano GB. (2005) The Neurobiology of Love. Neuroendocrinology Letters ;26(3), 175-192.
  • Battisti L. (1972). Io vorrei…non vorrei…ma se vuoi.
  • Battisti L. (1969). Un’avventura.
  • Battisti L. (1972). La luce dell’est.
  • Battisti L. (1980). Con il nastro rosa.
  • Battisti L. (1978). Aver paura d’innamorarsi troppo.
  • Battisti L. (1972). Vento nel vento.
  • Battisti L. (1973). La collina dei ciliegi.
  • Battisti L. (1977). Amarsi un po’.
  • Battisti L. (1970). Fiori rosa, fiori di pesco.
  • Battisti L. (1972). E penso a te.
  • Battisti L. (1978). Nessun dolore.
  • Battisti L. (1978). Prendila così.
  • Battisti L. (1976). Ancora tu.
  • Battisti L. (1972). L’aquila.
  • Battisti L. (1980). Una vita viva.
  • Bowlby J. (2000) Attaccamento e perdita. III: La perdita della madre. Torino, Bollati Boringhieri.
  • Marazziti D., Akiskal H., Rossi A., Cassano G. (1999). Alteration of the platelet serotonin transporter in romantic love. Psychological Medicine, 29(3), 741-745.
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