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Genitorialità e anoressia: fra timori e nuove occasioni

Alcuni genitori, memori della natura totalizzante dell’anoressia, temono le tracce delle problematiche alimentari sui figli

Di Micol Agradi

Pubblicato il 27 Lug. 2023

Aggiornato il 05 Feb. 2024 11:45

Genitori con una storia di anoressia: quali preoccupazioni?

Essere genitore è di per sé un compito difficile, fatto di responsabilità, doveri e anche preoccupazioni: dover badare alla crescita del proprio figlio, sapendo di dover indirizzare in modo significativo la sua traiettoria evolutiva, non è certamente facile. Ciò può essere ancora più impegnativo per i genitori con una storia di anoressia, spesso timorosi di influenzare i figli con le proprie problematiche o, addirittura, di trasmettere loro lo stesso disturbo alimentare.

Alcuni genitori, memori della natura totalizzante dell’anoressia e di come questa riesca a divenire il principio organizzatore dell’esistenza, temono le tracce delle problematiche alimentari sul modo in cui nutrire i propri figli, nei termini di cosa sia giusto o meno dar loro da mangiare. Altri genitori riferiscono preoccupazioni sul versante dell’immagine corporea: quelli che si portano ancora dietro un’insoddisfazione critica nei confronti del proprio corpo temono che questa loro irrisolta antipatia trovi un facile bersaglio nei propri figli, che potrebbero sviluppare la stessa vergogna corporea. Altri ancora, infine, hanno paura di mettere al mondo figlie femmine perché preoccupati del fatto che loro, più dei maschi, possano interiorizzare più facilmente l’enorme apparato sociale di controllo ossessivo dell’aspetto fisico, che rende la nostra cultura un terreno fertile per un’alimentazione disordinata.

In forme diverse, dunque, molti dei genitori che hanno vissuto sulla propria pelle l’anoressia riferiscono il timore di passare ai figli le loro problematiche, raccontando questo passaggio come un danno collaterale inevitabile del loro difficile passato.

Le cause multifattoriali dell’anoressia secondo la scienza psicologica

L’anoressia è una realtà complessa che, come ogni disturbo mentale, si sviluppa sulla base dell’interazione tra variabili genetiche e ambientali. Anche se può essere condizionata da fattori di rischio quali la storia familiare e i comportamenti genitoriali, né l’anoressia né nessun altro disturbo alimentare ne sono diretta conseguenza: l’eziologia è sempre multifattoriale. In questa direzione, i timori dei genitori con un passato di anoressia non sono supportati dalla scienza.

Come spiegato dal Dott. Enenbach, neuropsichiatra infantile presso il Child Mind Institute, le persone che sviluppano l’anoressia possono sì essere condizionate dal loro ambiente, ma solo sulla base di una preesistente vulnerabilità genetica. I genitori possono modellare l’atteggiamento di un bambino nei confronti del cibo e dell’immagine corporea (ad esempio, parlando del proprio corpo o prendendo in considerazione una dieta alimentare), ma non è corretto dire che possono causare l’anoressia: al massimo, possono influenzarne lo sviluppo.

Alla luce di ciò, la psicologa Zerwas ci tiene comunque a mettere in guardia rispetto alla necessità di attenzionare i segnali di disagio che le mamme con un disturbo alimentare attivo durante la gravidanza possono manifestare: soffrire di anoressia durante questo periodo, di fatto, sembra comportare rischi per la salute e lo sviluppo del bambino. Anche dopo la nascita, soffrire di problematiche alimentari può rendere più difficile e impegnativo il lavoro dei genitori.

La genitorialità come occasione di cambiamento: il ruolo della compassione

Nonostante le comprensibili preoccupazioni prima citate, la genitorialità non è vissuta con difficoltà e dolore da tutti i genitori che in passato hanno sofferto di anoressia. Molti di essi, infatti, trovano stimolante il semplice rapporto dei loro figli con il cibo e, anzi, fanno della loro esperienza con i disturbi alimentari una risorsa per essere più ricettivi a individuare eventuali segnali d’allarme nella salute dei propri figli. Alcune madri, inoltre, riferiscono che notare la progressiva somiglianza fisica tra se stesse e le figlie durante la loro crescita ha aiutato a cambiare prospettiva sul modo di vedere il proprio corpo: seppur disorientante, è stato d’aiuto riconoscere che il corpo che in passato hanno cercato di cancellare in tutti i modi è lo stesso che si sta formando in un altro essere umano in tutta la sua bellezza.

Per far sì che la genitorialità diventi in questo senso un’occasione per ispirare un più sano rapporto con il cibo, secondo la psicologa Zerwas è importante incoraggiare i genitori ancora alle prese con la vergogna corporea a immaginare il proprio corpo come luogo di compassione: così questo può divenire un mezzo per iniziare a vedere sé e l’altro nella propria interezza e come qualcosa di più di una semplice somma di parti del corpo. Nella stessa direzione, secondo la psicologa, l’amore materno può aiutare a ispirare compassione e a sviluppare una visione più chiara del vero valore della persona che è il proprio figlio, al di là dei problemi legati all’immagine corporea.

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