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L’enigma del desiderio. Sesso, nostalgia e appartenenza – Recensione del libro di Galit Atlas

In "L’enigma del desiderio" Galit Atlas accompagna il lettore verso l’enigmatico, l’ineffabile, della vita affettiva e sessuale.

Di Angela Niro

Pubblicato il 19 Giu. 2023

In L’enigma del desiderio. Sesso, nostalgia e appartenenza, Galit Atlas, con la prodezza di uno sguardo costantemente in divenire, accompagna il lettore verso l’enigmatico, l’ineffabile, della vita affettiva e sessuale.

Le radici della vita affettiva e sessuale

Vi sono aspetti della nostra esistenza che possiamo vedere e verbalizzare, altri che possiamo soltanto percepire o sperimentare, ascoltando quello che non viene detto, il silenzio tra le note […] il vuoto che contiene ogni cosa (Atlas, 2023, p.3).

Nel suo ultimo contributo “L’enigma del desiderio. Sesso, nostalgia e appartenenza” la psicoanalista Galit Atlas, con la prodezza di uno sguardo costantemente in divenire, accompagna il moto del lettore verso l’enigmatico, l’ineffabile, della vita affettiva e sessuale.

In un territorio dominato dall’eccesso e dalla perdita, senza mai perdere di vista la natura intersoggettiva delle interazioni umane e attingendo ai contributi di eminenti esponenti del panorama psicoanalitico, filosofico e religioso propone il tentativo di renderne visibili le radici, transitando tra la cultura occidentale e quella orientale.

Il suo vertice attentivo, orientato verso i primissimi scambi madre-bambino, punta a svelare la complessità della vita pre-edipica e a segnalare il suo legame con la sessualità adulta, superando rigidi divari e contrapposizioni che dominano il campo psicoanalitico. Da qui si espande la riflessione sulla necessità di innovare lo sguardo psicoanalitico sulla sessualità, ancora lacunoso nel riconoscimento della complementarietà degli aspetti che la riguardano.

Come figli e figlie – sostiene Galit Atlas (2023) – dialoghiamo con il corpo di nostra madre; come uomini e donne, incontriamo la sua identità e ne tratteniamo parti dentro di noi (p.6).

In tal senso, la soggettività e l’intersoggettività sono analizzate mettendo in luce la dialettica esistente tra gli aspetti afferrabili, o “pragmatici” e ignoti, o enigmatici, che caratterizzano le relazioni, partendo dalle prime esperienze di contatto con il corpo materno fino ad arrivare alla vita adulta.

Il corpo protagonista di aspetti enigmatici, oltre che pragmatici, viene scandagliato nelle sue parti visibili e meno visibili, presentato nelle sue potenzialità e fragilità, svincolato dal rigido incasellamento di genere.

Attraverso le storie dei suoi pazienti offre al lettore la possibilità di scorgerlo in un gioco di pieni e vuoti, di accostarsi alle potenti emozioni, alla sofferenza, alla perdita evocata dall’esperienza sessuale e alle dinamiche ad essa soggiacenti. Diviene così afferrabile, percorrendo i suoi “racconti terapeutici”, nel viaggio personale verso una nuova regolazione emotiva, la ricerca spasmodica e comune di un vuoto da riempire che espone a nuova intensa condizione di angoscia ed eccitazione senza possibilità di contenimento.

Vulnerabili, eccitati, sollecitati da emozioni potenti da cui tentano di proteggersi, individuiamo paziente e analista impegnati a co-costruire, elaborare, tradurre quella commistione di parole e silenzi strettamente interconnessi –che appartengono al momento presente e alle loro storie passate– e ad anticipare inconsapevolmente il loro futuro.

La vita pre-edipica, la seduzione e la vergogna

Sebbene non esistano ancora evidenti dati a sostegno di un legame diretto tra specifici pattern di attaccamento e la vita sessuale, le prime esperienze di contatto con il corpo materno e la loro influenza sulla capacità di regolazione emotiva nelle successive relazioni, sono state indagate fornendoci significative informazioni sull’importanza di questi precoci scambi. L’Infant Research, in particolare, attraverso i suoi studi, ha rilevato che la disregolazione materna impedisce alla madre di percepire correttamente le proprie emozioni. Più nel dettaglio, tale condizione ostacola anche la sua possibilità di identificare e rispondere correttamente alle emozioni dell’infante esponendolo a sua volta ad una condizione di disregolazione emotiva. Secondo Galit Atlas, una diade così funzionante, in cui prevalgono gli aspetti enigmatici nella relazione, ossia una diade costituita da “madri enigmatiche”, è una diade in cui il corpo materno non riesce a svolgere correttamente la sua funzione di contenimento di questi aspetti inafferrabili, introducendo una condizione di disorganizzazione che spingerà successivamente l’adulto attraverso la sessualità a cercare una riparazione.

L’attaccamento alla madre, allora, è sempre presente, nelle nostre relazioni consce e inconsce con gli altri. Abbiamo nostalgia di quello che abbiamo perduto […]. In altre parole, attraverso il sesso non cerchiamo di entrare in contatto con l’oggetto pragmatico reale soltanto (Atlas, 2023, p.25).

Per chiarire meglio questo aspetto, affidandosi al pensiero di Laplanche, l’autrice conduce il lettore alla scoperta della seduzione, evidentemente densa dei suoi significati irrappresentabili –provenienti dall’inconscio materno– e diretti verso il corpo e la mente del bambino, indicandola come condizione fondamentale per lo sviluppo del suo inconscio e dei risvolti sulla vita adulta.

L’eccitazione, i pensieri, le preoccupazioni che affliggono i suoi pazienti sono presentate nella loro dimensione eccessiva e soverchiante. C’è sempre un troppo che non può essere contenuto, che può generare disgusto, vergogna, angoscia di abbandono. Sono, di fatto, testimonianze di una difficoltà di autoregolazione emotiva che non tarda a palesarsi nelle relazioni affettive della loro esistenza e nella stanza d’analisi. Galit Atlas riconduce queste esperienze ai “fallimenti intersoggettivi” dei primissimi scambi madre-bambino e presenta l’emergere delle difese che quest’ultimo sviluppa per fronteggiare tutte quelle situazioni in cui l’altro viene meno quale adulto responsivo. In tali circostanze i desideri non possono essere riconosciuti, i bisogni sono negati e il controllo diventa inevitabile.

Quando l’investimento è indirizzato alla mente come a un oggetto che, in maniera onnipotente, cerca di sostituire l’ambiente di custodia e cura del bambino, nelle prime fasi dello sviluppo si manifesta la tendenza ad allontanarsi prematuramente dalla madre, volgendosi piuttosto verso la mente che, a quel punto, sostituisce l’oggetto in un processo di adattamento al fallimento intersoggettivo e nel tentativo di risolvere il problema del “desiderio” e dei bisogni pieni di vergogna della mente e del corpo (Atlas, 2023, p.67).

Seguendo i racconti clinici dei suoi pazienti diviene possibile, di fatto, osservare proprio quelle condizioni in cui la perdita, che non può essere vissuta, determina il manifestarsi di “fantasmi”, in cui viene proiettata la parte del sé, carica di aspetti spaventosi e che generano vergogna.

Attraverso i contributi di Jessica, Benjamin, Sullivan e Bromberg, Hartman, l’autrice segnala come in una condizione di mancato contenimento, l’eccesso esperito dall’infante nel contatto con il corpo materno lo conduca a dissociare parti attive e passive del sé, cercando un sostituto che le contenga. In tal senso, il fantasma diviene il ricettacolo delle parti inaccettabili del sé, il “non me” che, tuttavia, finisce per assumere il controllo. Tuttavia, questo fantasma –per riprendere il riferimento alla tradizione ebraica a cui Galit Atlas attinge–, sospeso tra vita e morte, cerca una persona in cui penetrare per poter raggiungere la riparazione.

Dipendenza, abbandono e svezzamento

Le esplorazioni dello scenario relazionale condotte dall’Infant Research sulle diadi madre-bambino hanno permesso di rilevare precocemente il manifestarsi di una relazione co-costruita da parte di entrambi i membri appartenenti alla diade che sono sin dai primissimi scambi in una condizione di interazione reciproca. L’individuazione e la descrizione di specifici pattern di attaccamento ha permesso, inoltre, di rilevare che la perturbazione della relazione tra madre e bambino può innescare reazioni differenti da parte dei bambini in relazione ad una maggiore o minore capacità di tollerare la separazione. Più nel dettaglio, in presenza di pattern di attaccamento ambivalenti, il bambino, in assenza del caregiver, mostra difficoltà a tollerare la separazione, anche se di breve durata, manifestando ansia e collera o indifferenza anche dopo il ricongiungimento.

Come fa notare Galit Atlas (2023):

Lo stile di attaccamento ambivalente è legato alla fantasia di una fusione regressiva armoniosa con la madre, finalizzata a negare una possibile separazione. In fasi successive della vita, l’investimento emotivo del bambino e dell’adulto ansioso mira a controllare e a mantenere l’oggetto vivo, vicino e inseparabile (p.115).

Quando questo accade, la separazione, vissuta come un abbandono, può essere interpretata dal bambino come conseguente all’inaccettabilità del suo bisogno e alla sua distruttività.

Attingendo ai contributi di Carper, l’autrice segnala la necessità di non trascurare il legame tra distruttività e dipendenza, di cui questi bambini –poi adulti– si fanno testimoni, e il loro bisogno di riparazione. In essi, infatti, l’attacco mosso verso l’oggetto è necessario per un’illusoria percezione di controllo e per la liberazione dalla dipendenza. Pertanto, si comprende bene come in una tale condizione, lo “svezzamento”, venga a rappresentare la soluzione per rendersi indipendenti e non essere più esposti all’angoscia terrificante dell’abbandono e della perdita.

Rotture nell’unità e punti di svolta

La cesura della nascita, del venire al mondo come bambino e come madre, concerne la perdita di un respiro, quando sfioriamo lo spazio in cui il significato si sbriciola, dove io sono “me” e “non me”, quando le cose sono note e completamente sconosciute

Se c’è un aspetto che non può sfuggire della maternità è senz’altro quello che riguarda la tensione tra vita e morte, creazione e frammentazione, mondo interno e mondo esterno. Si tratta –come sostiene Galit Atlas– di un’esperienza che possiede numerose parti enigmatiche non ancora attentamente prese in esame. In tal senso, il suo tentativo si spinge proprio nella direzione di fornire una lettura differente della maternità e della nascita, segnalando la mancata integrazione del potenziale distruttivo e trasformativo che le riguarda.

Proseguendo nella sua riflessione l’autrice segnala la rottura esistenziale che caratterizza la nascita, come esperienza vissuta tanto dal bambino quanto dalla madre, sebbene in quest’ultima non sia stata ancora sufficientemente indagata. Il corpo protagonista del generare e del venire al mondo è osservato nella sua potenza e nella sua fragilità e nella permeabilità, rottura e ricostruzione dei suoi confini fisici ed emotivi.

Siamo tutti nati da una donna e, in questo senso, la vagina rappresenta la via d’accesso non soltanto alla mente e al corpo, bensì anche al mondo, oltre che la capacità enigmatica e pragmatica di nascere e rinascere e il continuum all’interno di quella cesura (Atlas, 2023, p.80).

Superando il contributo di Winnicott, Galit Atlas propone una prospettiva il cui la “paura del crollo” è letta all’interno di una cornice intersoggettiva. La rottura, di fatto, avvenuta nella mente della madre viene acquisita dal bambino proprio in virtù della “connessione intersoggettiva” esistente tra madre e bambino e non dovrebbe essere considerata, come fa notare, espressione di una assenza di connessione. È, infatti, attraverso la comunicazione inconscia che la rottura avvenuta è trasmessa dalla madre al bambino.

Inoltre, analizzando nei capitoli a seguire la gravidanza, più nel dettaglio, ne segnalerà fantasie, preoccupazioni, spinte alla fusionalità, sogni e movimenti aggressivi affrontati quando entrambi i membri della coppia analitica sono immersi nel processo della “nascita della madre”.

Sessualità e immigrazione

In prossimità della seconda sezione del testo, Galit Atlas riserva al lettore uno spazio intimo in cui lo invita a scoprire la sua storia, le difficoltà incontrate nel passaggio da oriente a occidente, il suo desiderio di trovare una casa. In questo spazio racconta la vergogna, la curiosità e le prime consapevolezze sulla sessualità maturate nell’ambiente in cui le donne amavano trattenersi e parlare, quello della cucina. Diversamente dall’immaginario comune, la cucina viene presentata dall’autrice come luogo profondamente enigmatico, sede del piacere e della proibizione.

Noi ragazze imparavamo il linguaggio poetico molto velocemente e capivamo anche che, quando in cucina venivano usate rime e metafore oscure, di solito si riferivano al sesso (Atlas, 2023, p. 136).

La sua storia, come quella di molti pazienti immigrati, incontrati nella stanza d’analisi, le hanno consentito di analizzare la relazione tra immigrazione e sessualità, conducendola a segnalare l’influenza della componente traumatica dell’immigrazione sulla sessualità. Mettendo a confronto la cultura medio-orientale e quella occidentale evidenzia il differente rapporto tra desideri, piacere e interdetti nel contatto con l’altro. Nel varcare le tre porte, a cui fa riferimento metaforicamente per segnalare i principali momenti di svolta della sua vita, segnala proprio le difficoltà di adattamento a nuove norme, l’emozione della vergogna e l’influenza del corredo culturale, incontrate nella sua vita proprio come i suoi pazienti. Puntando, inoltre, l’attenzione verso una difficoltà piuttosto comune a parlare di sessualità, sostiene:

[…] il divario tra le culture è un buco nero che cattura buona parte di quello di cui non parliamo: l’orrore, la vergogna, la confusione. La sessualità, allora, trattiene nella propria orbita una lunga tradizione enigmatica di silenzio e vergogna. Bugie e camuffamenti sono quasi sempre parte delle sue manifestazioni esteriori (Atlas, 2023, p.140).

In tal senso, non solo chi chiede aiuto, ma anche chi si trova nella posizione di fornirlo non sembra sfuggire alla difficoltà di parlare di sessualità, ricorrendo alla vergogna e al senso di colpa per introdurre divari necessari per negare l’irrappresentabile. È così che:

L’Altro primitivo –una donna, oppure una cultura– allora contiene le proprie parti irrazionali e disinibite, come pure le parti vulnerabili e dipendenti (Ivi p. 149).

Visioni e suggestioni sul lavoro psicoanalitico

Come non aderire, allora, all’invito alla riflessione che Galit Atlas (2023), a mio avviso, rivolge non solo ai professionisti del panorama psicoanalitico quando afferma:

[…] dobbiamo riconoscere che alcune cose possono essere sentite soltanto da dentro, non attraverso l’interazione reale osservata tra due persone ma, piuttosto, nelle aree enigmatiche e invisibili della mente interiore, il luogo in cui sento me stessa e così ti conosco, il luogo in cui ti sento e mi conosco (p.89).

È, infatti, proprio scoprendo desideri, emozioni, vulnerabilità, impasse, confusione di confini e punti di svolta che avvengono all’interno dello spazio intersoggettivo tra paziente e analista, che conduce il lettore a scoprire i prodotti, per usare la sua metafora, del processo di “cucinare insieme”. Attraverso l’esplorazione degli aspetti enigmatici e pragmatici rivela la necessità di un “tocco affidabile” e contenitivo dinanzi all’ipereccitazione e all’angoscia abbandonica suscitata da bisogni e desideri sessuali. Ecco che nostalgia e distruttività, rabbia e angoscia appartenenti ad entrambi i membri della coppia divengono forieri di rotture più o meno intense a cui seguono riparazioni. Come pure il farsi strada nella stanza d’analisi di un linguaggio enigmatico che contiene tenerezza e aggressività, può portare in superficie in entrambi i membri della coppia l’esistenza di un livello infantile e uno adulto a cui appartengono specifici bisogni. Qui il trauma, fa notare l’autrice, può appartenere non solo al paziente. Quando questo accade, attraverso il processo analitico, la co-creazione di un “protettore-testimone” terzo consente il processo di integrazione di parti prima dissociate.

Parole, silenzi, sogni, emozioni dirompenti si avvicendano nello spazio intersoggettivo permettendo elaborazioni di crolli attraverso nuove difese. Collusioni protettive, difese dal materiale erotico, uno sguardo prospettico e retrospettivo nell’uso dell’enactment sono posti sotto la lente di ingrandimento per l’individuazione di buone prassi.

Il futuro enigmatico e la morte e l’incontro con la madre

L’enigmatico sin qui osservato costituisce una premessa alla riflessione conclusiva e, a mio avviso, esistenziale, in cui è il futuro ad essere analizzato nei suoi aspetti ignoti, o meglio nelle possibilità possedute dall’uomo a cui, pur inconsciamente, si accosta attraverso i suoi sforzi.

Appare qui interessante il lavoro che Galit Atlas insieme ad Aron compiono per proporre una visione dell’agency umana in cui presentano le potenzialità e l’attività dell’uomo come creatore del proprio destino. In altri termini:

[…] noi sosteniamo che tutte le produzioni della mente, tutte le formazioni di compromesso includano qualche anticipazione inconscia del futuro e lo sforzo di trasformare il fato in destino (Atlas, 2023, p. 176).

Attingendo ai contributi di Jung, Bion e Bollas presentano la funzione prospettica degli enactment, introducendo delle novità rispetto alle principali riflessioni esistenti nel panorama psicoanalitico. La loro tesi individua gli enactment riconoscendo la “drammatizzazione reciproca” di paziente e analista e la capacità generativa posseduta capace di anticipare il futuro.

Per finire, l’autrice conclude il suo contributo riservando lo spazio conclusivo al tema della morte fisica, quale enigma per eccellenza, in cui la familiarità e l’aspetto perturbante che la caratterizza viene ricondotto all’incontro con la madre, a quel “tornare da dove siamo venuti”, radice dell’enigma del desiderio.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Atlas, G. (2023). L’enigma del desiderio. Sesso, nostalgia e appartenenza. Milano: Raffaello Cortina.
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