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Gravidanza e maternità in presenza di un disturbo alimentare

Le trasformazioni corporee possono comportare vissuti complessi durante la gravidanza e nel post-partum, soprattutto in presenza di un disturbo alimentare

Di Annalisa Sensi, Gabriella Gandino

Pubblicato il 24 Mag. 2023

Aggiornato il 05 Feb. 2024 11:45

La nascita di un figlio è un evento delicato nel ciclo di vita di una donna; infatti, durante la gravidanza e nel post-partum le donne vanno incontro a profondi cambiamenti dal punto di vista fisico, psicologico e relazionale. Tuttavia, non per tutte è una “dolce attesa”: quando è presente un disturbo alimentare, l’aumento del pancione può essere accompagnato da sentimenti negativi e conflittuali e le consuete preoccupazioni riguardo al parto e all’arrivo del piccolo possono assumere delle sfumature affettive differenti.

I cambiamenti corporei in gravidanza

 La nascita di un figlio è un evento delicato nel ciclo di vita della donna, che comporta importanti trasformazioni sul piano somatico, psicologico e relazionale. Durante la gravidanza e il post-partum fisiologicamente il corpo si adatta ai cambiamenti, e i vissuti correlati sono per lo più di segno positivo. La condizione di “dolce attesa” fa riferimento a un momento della vita in cui le donne si legittimano a essere meno vincolate agli standard socioculturali: il sovrappeso durante la gestazione è percepito come connesso alla salute propria e del bambino e oscura le preoccupazioni per l’immagine corporea (Pauleta, Pereira & Gracia, 2010; Grussu & Bramante, 2016).

Numerosi studi sostengono che non è semplice modificare le abitudini alimentari e al contempo mantenere una alimentazione equilibrata e controllata, e che vi è una correlazione tra uno stile alimentare disregolato e l’emergere di un disturbo alimentare in epoca perinatale (Dörsam, Preissl, Micali, Lörcher, Zipfel & Giel, 2019).

Quando la donna soffre o ha sofferto di un disturbo alimentare possono insorgere emozioni negative e conflittuali: nonostante la gestazione venga spesso vissuta come un momento di tregua rispetto ai modelli condivisi di bellezza femminile (Grussu & Bramante, 2016; Bergmeier, Hill, Haycraft, Blewitt, Lim, Meyer & Skouteris, 2020) e si rilevi una minore insoddisfazione corporea, l’aumento del peso allontana dagli standard sociali di magrezza e di bellezza. Risulta disturbante soprattutto l’aumento di peso in parti del corpo non direttamente connesse alla gravidanza, come gambe, viso e braccia, mentre le trasformazioni che avvicinano agli standard sociali, come l’aumento del seno, sono più tollerate (Merkitch, 2020).

I disturbi alimentari in gravidanza

Le trasformazioni corporee possono comportare vissuti complessi soprattutto se la gravidanza è inaspettata (Easter, Treasure & Micali, 2011). Nelle donne con anoressia nervosa (AN) la gravidanza talvolta nasce in seguito all’alterazione del ciclo mestruale: l’amenorrea può essere interpretata come un segno di “non fertilità” e nessun metodo contraccettivo viene attuato (Claydon, Davodov, Zullig, Lilly, Contrell & Zerwas, 2018).

I disturbi alimentari in epoca perinatale possono avere diverse ripercussioni sulla madre, sulla gravidanza e sul feto, ed essere associati a esiti avversi in gravidanza e nel post-partum, fra cui la nascita pretermine e le restrizioni nella crescita fetale e infantile (Micali, Stermann Larsen, Strandberg Larsen & Nybo Andersen, 2016).

Nelle donne con bulimia nervosa (BN) si rileva un aumentato rischio di diabete gestazionale (Astrachan-Fletcher, Veldhuis, Lively, Fowler, & Marcks, 2008) e, a causa dei comportamenti compensatori disfunzionali, un’oscillazione tra un consumo impulsivo di cibo e la consapevolezza di nuocere a sé e alla gravidanza, con forti sensi di colpa nei confronti del bambino, sentimenti che possono portare a loro volta a un uso inappropriato del cibo.

Anche nel Binge Eating Disorder (BED), o disturbo da alimentazione incontrollata, possono insorgere preoccupazioni legate al fatto che il peso gestazionale danneggi il bambino, aspetto che aumenta i sensi di colpa nella donna (Arnold et al., 2019).

In presenza di anoressia i livelli di mortalità perinatale sono sei volte più alti rispetto alla norma (Astrachan-Fletcher et al., 2008), aumenta il rischio di complicazioni ostetriche ed è presente la preoccupazione per l’aumento del peso; diventare madre simbolicamente richiama un sacrificio personale e una minaccia all’identità anoressica (Easter, Treasure & Micali, 2011).

I disturbi alimentari nel post-partum

Se da una parte la gravidanza può avere ricadute positive sul decorso di un disturbo alimentare preesistente, e quindi essere protettiva rispetto alla salute della donna e del feto, parimenti non accade per il post-partum, dove il rischio di ricaduta nel disturbo alimentare aumenta dell’80% (Astrachan-Fletcher et al., 2008).

 Alcune donne riferiscono che nel post-partum è come se non fosse più concesso loro di avere dei chili in più; altre si sentono fortemente in difficoltà per il fatto di non riuscire più a tornare al peso di prima, o si scontrano con le aspettative irrealistiche del poter ritornare alla forma fisica oppure al peso corporeo che avevano di prima del concepimento (Clark, Skouteris, Wertheim, Paxton, & Milgrom, 2009).

L’incidenza dei disturbi alimentari aumenta dopo il parto anche perché le abitudini alimentari cambiano sostanzialmente, talvolta in maniera disordinata e caotica (Lai, Tang & Tse, 2006).

Alcune donne con un disturbo alimentare sperimentano apprensione anziché il piacere della condivisione durante l’allattamento, che può essere vissuto in maniera duplice: può placare i sensi di colpa sviluppati in gravidanza e agire da potente rinforzo della competenza materna, e contemporaneamente può diventare un incentivo per perdere peso velocemente oppure un giustificativo per consumare cibi più calorici come cioccolato e gelato (Stapleton Fielder & Kirkham, 2008).

Quando al momento del post-partum è presente un disturbo alimentare sul versante anoressico, le donne possono mostrare consistenti paure per il fatto che il neonato possa ingrassare. Alcune donne bulimiche, invece, possono sentirsi intrappolate nel circuito dieta-abbuffate-vomito e, quindi, oscillare tra la mancanza di un senso materno di protezione, quando vengono mantenute le condotte di compensazione, e forti senti di colpa nei confronti del proprio bambino (Manzato, Zanetti & Gualandi, 2010).

Il trattamento

Per quanto concerne il trattamento, è importante che avvenga una precoce presa in carico del disturbo alimentare e che venga proposta un’adeguata assistenza prenatale e post-natale: la gravidanza può essere un momento propizio per un adeguato supporto psicologico, dal momento che la madre è maggiormente disposta a prendersi cura di sé e del proprio bambino (Zappa, 2019). È auspicabile un intervento di tipo multidisciplinare che tenga conto della salute psicofisica della donna e del nascituro e del loro benessere relazionale; in questo senso, è possibile intervenire aumentando la consapevolezza dei rischi che il disturbo alimentare ha in gravidanza e nel post-partum e riducendo lo stigma di queste donne nel condividere le proprie sofferenze (Bye, Shawe, Bick, Easter, Kash-Mcdonald & Micali, 2018).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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