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Dipendenza affettiva. Diagnosi, assessment e trattamento CBT (2022) – Recensione

Le autrici del libro avanzano l’ipotesi che la dipendenza affettiva non sia solo un tratto all’interno di un quadro diagnostico, ma una sindrome

Di Laura Baldrati

Pubblicato il 13 Apr. 2023

Il libro “Dipendenza affettiva – Diagnosi, assessment e trattamento cognitivo comportamentale”, recentemente proposto dalla casa editrice Erickson, rappresenta un contributo significativo per chi opera in ambito clinico nel campo delle relazioni disfunzionali.

 

 Si tratta di un testo ampiamente strutturato: partendo dall’inquadramento nosografico, grazie alla dettagliata sintesi degli studi presenti ad oggi in letteratura, propone strumenti per l’assessment e schede di lavoro per il trattamento di tipo cognitivo comportamentale.

Il tema delle dipendenze affettive ha acquisito nell’ultimo decennio una rilevanza crescente nell’ambito degli interventi clinici sulle problematiche relazionali.

La dipendenza affettiva –evidenza nell’introduzione Gabriele Melli, presidente dell’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva IPSICO– è sempre stata descritta come un sintomo ascrivibile ai disturbi di personalità come il borderline, l’istrionico, il narcisistico e il dipendente.

Nel volume le autrici avanzano l’ipotesi che la dipendenza affettiva non sia solo un tratto all’interno di un quadro diagnostico, ma che le possa essere attribuito lo statuto di sindrome, con una propria autonomia nosografica.

Questo nuovo approccio consentirebbe quindi di programmare interventi clinici strutturati e mirati al problema, anche a prescindere dalla diagnosi personologica del paziente.

Nella concettualizzazione del modello di dipendenza affettiva le autrici individuano una serie di fattori implicati nelle fasi di strutturazione e di mantenimento del disturbo. Vi sono fattori predisponenti di origine arcaica: a livello relazionale si fa riferimento allo stile di attaccamento insicuro o ambivalente, dove il timore della perdita dell’oggetto e la relativa paura abbandonica minano la possibilità di stabilire relazioni mature paritetiche e di fiducia.

A questo si associa un fattore di tipo neurologico: il temperamento. Nelle sindromi di dipendenza affettiva appare ricorrente una disregolazione nel controllo degli impulsi, che si concretizza in una prevalenza dell’agito, scarsamente mediato da adeguata competenza riflessiva.

La marcata impulsività trarrebbe inoltre forza da un deficit nella regolazione emotiva generale, e –secondo un meccanismo di retroattività– la scarsa inibizione all’agito a sua volta accentuerebbe ulteriormente la disregolazione emotiva.

Nello specifico in pazienti con dipendenza affettiva, la disregolazione emotiva, la predisposizione alle reazioni rapide, la ridotta inibizione delle risposte, l’avversione per il ritardo e la scarsa sensibilità ai processi compensativi determinano affetti estremamente dolorosi e scarsamente mentalizzati.

Il ricorso al partner o alla relazione d’amore si configura come una modalità disfunzionale di coping dei vissuti penosi. La dipendenza diventa quindi una “strategia” disfunzionale ricorrente, finalizzata a sedare la sofferenza legata all’angoscia abbandonica.

All’interno di questo quadro, nel processo di strutturazione della dipendenza affettiva vera e propria, il fattore dell’impulsività si lega a quello della compulsività. Le autrici riportano quando osservato da Cuzen e Stein (2014): la dipendenza patologica può essere considerata come elemento di confine tra impulsività e compulsività.

In una prima fase del processo di strutturazione del disturbo, l’impulsività porta ad agire in modo repentino in funzione dell’ottenimento di un piacere (ad esempio trascorrere più tempo con la persona che porta gioia e benessere).

In una seconda fase subentrano comportamenti compulsivi (ad esempio ricerca ossessiva del partner) non più finalizzati al raggiungimento di un evento piacevole (la relazione di coppia): la ricerca del partner è attivata dall’esigenza e dall’urgenza di evitare la sofferenza causata dalla sua stessa assenza.

Il passaggio dalla fase impulsiva alla fase compulsiva avviene con la formazione di un sistema di pensiero specifico. Il soggetto che ha individuato in un partner l’oggetto del proprio desiderio “si ingaggerà via via in strategie cognitive che lo portano alla reiterazione del comportamento dipendente”.

L’attenzione sarà focalizzata in modo esclusivo sul partner e progressivamente si creeranno memorie associate ad esso, a cui seguiranno poi fantasie e pensieri ossessivi. In questo processo un ruolo cruciale nell’attivare la dipendenza lo gioca il fenomeno del “rimuginio desiderante”.

 Si tratta di “una strategia cognitiva conscia e volontaria che coinvolge l’elaborazione di informazioni relative a un oggetto […] in una forma immaginativa (imaginal prefiguration) e verbale (verbal perseveration)”. Il rimuginio desiderante ha due azioni specifiche. Nel breve periodo consente di tollerare l’assenza dell’oggetto: indugiando in fantasie dalla valenza consolatoria, l’attesa della gratificazione reale diventa più sostenibile dal punto di vista emotivo. Sul medio e lungo periodo questo meccanismo accentuerebbe però il craving: il raggiungimento reale, anche nella modalità compulsiva, dell’oggetto d’amore diventa l’unica soluzione per avere sollievo da quello stato di malessere interno, percepito in assenza del partner.

Nel tempo il ricorso all’oggetto d’amore, vissuto soggettivamente come unica possibilità di interrompere lo stato di sofferenza, evolve in una vera e propria abitudine di tipo compulsivo. In una escalation emotiva il craving (desiderio dell’oggetto) aumenta e la tolleranza all’assenza del partner diminuisce. L’assenza dell’oggetto del desiderio nel tempo porta a una sofferenza paragonabile a quella dell’astinenza tipica dei disturbi da dipendenza da sostanze.

I meccanismi di natura cognitiva nel tempo porterebbero anche ad alterazioni di tipo neurobiologico: si assiste a un’alterazione nella capacità di controllo del meccanismo di ricerca dell’oggetto gratificante.

Nelle fasi iniziali della relazione la regolazione del comportamento di ricerca dell’oggetto è affidata all’attività della corteccia prefrontale, capace di inibire i comportamenti impulsivi e disadattivi. In una seconda fase l’emissione delle risposte comportamentali si sposta però dall’area prefrontale all’area striatale: qui al meccanismo di controllo si sostituisce quello di emissione automatica delle risposte.

Nella concettualizzazione del disturbo proposto dalle autrici, numerosi e complessi appaiono i fattori di formazione e mantenimento del disturbo. Ne deriva che il processo di trattamento richieda strumenti capaci di guidare il terapeuta in maniera altrettanto articolata. Allo stesso modo occorre sostenere il paziente in un complesso processo di recupero delle proprie autonomie decisionali, dove possono presentarsi fasi di ricaduta.

A tal fine il testo è corredato da fogli di lavoro mirati per ciascuna fase di trattamento. La presenza di schede esplicative sulla natura del disturbo soddisfa inoltre l’esigenza di fornire al paziente una psicoeducazione sulla natura e le caratteristiche del disturbo. Informare il paziente sui meccanismi che mantengono attivo il problema ha una duplice funzione.

Conoscere i fattori attivanti del disturbo sostiene il paziente: sia nel contrastare i movimenti regressivi delle fasi di recidiva, sia a  ristabilire più velocemente il focus nella fase di recupero.

Per il paziente disporre di schede di lavoro, utilizzabili anche al di fuori del setting terapeutico, fornisce un ulteriore supporto alla gestione delle fasi di criticità che il percorso di cura implica.

Il libro include inoltre un nuovo strumento clinico per la valutazione e la diagnosi del disturbo di dipendenza affettiva: l’INLOAD – Inventory for Love Addiction elaborato a cura di Antonella Lebruto.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Lebruto, A., Calamai G., Caccico L. & Ciorciari V. (2022). Dipendenza affettiva - Diagnosi, assessment e trattamento cognitivo comportamentale. Erickson.
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