L’obiettivo dello studio di Sangalli e Caselli (2022), pubblicato in lingua italiana sulla rivista “Psicoterapia cognitiva e comportamentale”, è stato quello di esplorare in maniera sistematica la letteratura esistente riguardo alla relazione esistente tra alessitimia e autoregolazione per approfondire i meccanismi sottostanti e la possibile influenza che le strategie di autoregolazione potrebbero avere sui tratti alessitimici.
Cos’è l’alessitimia?
Con il termine “alessitimia” si intende un tratto di personalità relativamente stabile che riflette una difficoltà nell’elaborazione cognitiva e simbolica dell’esperienza emotiva.
La prevalenza dell’alessitimia si colloca attualmente tra il 9,9% e il 13% in popolazione generale (Honkalampi et al., 2000; Mattila et al., 2006) e può presentare diversi livelli di gravità.
L’alessitimia è un costrutto complesso e multidimensionale: si caratterizza infatti per diversi aspetti e dimensioni collegate tra loro. Tali dimensioni sono: a) una difficoltà nell’identificare le proprie emozioni; b) una difficoltà nel discriminare le emozioni da percezioni più prettamente fisiologiche; c) una difficoltà nel descrivere e comunicare i propri stati emotivi; d) uno stile di pensiero orientato all’esterno (Taylor, Bagby, & Parker, 1997).
È definibile come un costrutto transdiagnostico, è cioè una condizione che è riscontrabile in diversi disturbi: diverse ricerche dimostrano correlazioni significative tra alessitimia e sintomi depressivi e/o ansiosi (Foran & O’Leary, 2013; Pathwardan et al., 2019), disturbi alimentari (Shank et al., 2019; Westwood et al., 2017), abuso di sostanze come alcol o droghe (Lyvers et al., 2019), alcuni disturbi di personalità (Coolidge et al., 2012; Nicolò et al., 2011).
L’alessitimia può portare a conseguenze sia a livello intrapersonale che interpersonale: le persone con un tratto alessitimico elevato tendono a prediligere uno stile relazionale improntato al distacco e alla freddezza, così come una scarsa assertività (Vanheule et al., 2007).
Le basi dell’alessitimia
I fattori di rischio per l’insorgenza e il mantenimento di un tratto alessitimico elevato chiamano in gioco la complessa interazione tra la dimensione biologica e quella sociale. Studi condotti sui gemelli dimostrano come l’ereditarietà sia in grado di spiegare circa il 30-39% della varianza totale dei tratti alessitimici, mentre il restante 61-70% sarebbe riconducibile a fattori ambientali condivisi e primariamente non condivisi (Baughman et al., 2013). Pertanto a fronte di una certa quota di vulnerabilità biologica, quest’ultima va considerata in interazione con specifici contesti esperienziali: alcuni studi hanno ipotizzato che l’esposizione a traumi precoci e/o in età adulta, uno stile di attaccamento di tipo insicuro ed esperienze di neglect possano essere fattori concorrenti nello sviluppo di tratti alessitimici.
In letteratura vi sono ancora posizioni discordanti circa la natura dell’alessitimia e le dinamiche che la connettono alla psicopatologia: secondo alcuni contributi l’alessitimia sarebbe un fenomeno primario, quindi strutturale, mentre secondo altre prospettive verrebbe concettualizzata come un fenomeno periferico secondario ad altre condizioni (Messina, Beadle, & Paradiso, 2014).
Considerando nello specifico la prospettiva secondo cui un’autoregolazione disfunzionale appresa favorisce l’esordio e il mantenimento di una condizione alessitimica, l’alessitimia è definibile quindi come l’esito di un processo disfunzionale (teorie funzionaliste) in cui il soggetto non avrebbe a che fare con i propri stati interni, privilegiando un pattern di autoregolazione di tipo deattivante e/o evitante.
Recentemente alcune ricerche hanno approfondito la relazione che intercorre tra alessitimia e autoregolazione. Con il termine autoregolazione ci si riferisce a qualsiasi processo di automonitoraggio e autocorrezione volontaria del proprio funzionamento, teso al raggiungimento di uno scopo. Essa può coinvolgere diversi domini, quali la regolazione emotiva ( Gross & John, 2003), le strategie di coping (Lazarus & Folkman, 1984) e l’evitamento esperienziale (Hayes, 1994). In quest’ottica le difficoltà alessitimiche sarebbero l’esito di uno stile di autoregolazione appreso tale per cui gli individui alessitimici non avrebbero imparato a regolare i propri stati interni in modo funzionale (Panayiotou et al., 2015). In letteratura diverse ricerche dimostrano la presenza di strategie di coping e di regolazione emotiva in soggetti alessitimici.
Alessitimia e autoregolazione
L’obiettivo dello studio di Sangalli e Caselli (2022), pubblicato in lingua italiana sulla rivista “Psicoterapia cognitiva e comportamentale”, è stato quello di esplorare in maniera sistematica la letteratura esistente riguardo alla relazione esistente tra alessitimia e autoregolazione per approfondire i meccanismi sottostanti e la possibile influenza che le strategie di autoregolazione potrebbero avere sui tratti alessitimici.
Per raggiungere l’obiettivo di ricerca è stata condotta una rassegna sistematica in accordo con il prospetto PRISMA (Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-Analyses). Le parole chiave utilizzate sono state le seguenti: «Alexithymia» AND («coping» OR «coping strateg*» OR «COPE» OR «emotion regulation strateg*» OR «ERQ») NOT «psychopathology» NOT «neuroscience» — e sono state inserite nella banca dati EBSCOhost. Sulla base dei criteri di eleggibilità sono stati identificati nove articoli scientifici
A seguito della revisione sistematica della letteratura, emerge che i soggetti alessitimici e non alessitimici differiscono nell’uso di strategie di regolazione emotiva, quantomeno a livello quantitativo. I primi sembrano infatti caratterizzarsi per un uso maggiore della soppressione espressiva e minore della rivalutazione cognitiva: sia le emozioni negative che quelle positive sembrerebbero essere inibite. Tale pattern di autoregolazione è indice di maggiori difficoltà emotive e si associa a scarsi livelli di benessere individuale (Gross & John, 2003).
In tutti gli studi correlazionali è stata dimostrata una significativa associazione positiva tra alessitimia e strategie di soppressione. Mentre, per quanto riguarda le strategie di rivalutazione cognitiva (in inglese “cognitive reappraisal”) i risultati sembrano indicare un’associazione negativa più debole e in alcuni casi incerta (Laloyaux et al., 2015; Borges e Naugle (2017).
Concettualizzare l’alessitimia come una tendenza appresa a evitare, più o meno consapevolmente, le proprie esperienze interne porterebbe il focus dell’intervento clinico verso un target specifico: agire sui processi di autoregolazione emotiva e cognitiva individuali andrebbe ad influenzare quindi una riduzione dei livelli di alessitimia.
Il principale limite degli articoli inclusi all’interno di questa rassegna sistematica consiste nella natura trasversale degli studi. Tale disegno di ricerca non permette di trarre conclusioni circa le relazioni di causa-effetto che intercorrono tra le variabili oggetto d’esame. L’utilizzo di strumenti di assessment auto-somministrati che possono essere soggetti a desiderabilità sociale rappresenta un ulteriore limite. Infine, la scarsa numerosità e l’eccessiva specificità dei campioni di soggetti utilizzati creano difficoltà nella generalizzazione dei risultati.
Considerazioni conclusive
In conclusione, possiamo affermare che l’alessitimia è da considerarsi come un costrutto complesso, multidimensionale e trans-diagnostico i cui aspetti eziologico-esplicativi risultano ad oggi ancora meritevoli di approfondimento empirico-scientifico. Sulla base di evidenze empiriche preliminari, la rassegna sistematica degli studi qui descritta identifica una correlazione tra alessitimia e strategie di autoregolazione disfunzionali (seppure non potendo affermare la direzione di causa-effetto che lega i due costrutti). Sarebbe auspicabile mettere a punto future indagini empiriche volte a verificare l’ipotesi secondo cui l’alessitimia sia un esito di un pattern di autoregolazione disfunzionale. In tal senso, nella regolazione dei propri stati interni il soggetto alessitimico ricorrerebbe a strategie di evitamento e soppressione che terminano in un progressivo disconoscimento degli stessi (Gross & John, 2003) e in uno stato di malessere maggiore. A livello clinico, diventerebbe quindi fondamentale intervenire precocemente su tali processi autoregolatori disfunzionali interrompendo il circolo vizioso e favorendo quindi un decremento dell’alessitimia.