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Prisma, Prima Stagione (2022) – Recensione della Serie TV

Come in un prisma, nell'omonima serie tv, le varie sfumature che compongono la luce, sono tutte essenziali, tutte legittimate ad esistere.

Di Mauro Bruni

Pubblicato il 28 Ott. 2022

Prisma ha i numeri per sfondare e rappresenta una novità affascinante per il pubblico a cui si rivolge, affamato come non mai di stimoli e opportunità, anche identificative.

 

 Latina, ai giorni nostri. Una location insolita e già per questo invitante, che fa da sfondo alla storia di Andrea e Marco, gemelli diversi, in questa nuovissima serie drammatica disponibile su Prime Video dal 21 Settembre, dove i due adolescenti sono interpretati (fatto divertente), dal medesimo attore, il promettente Mattia Carrano.

L’aver fatto coincidere le riprese con il lockdown ha messo a disposizione del regista Luigi Bessegato, scorci cittadini ripuliti dal caos (a tutto favore dell’atmosfera), che insieme alle dune di sabbia e ai luoghi del mito di Circe, creano lo scenario in cui i personaggi vivono la gravità dei loro diciassette anni.

Marco, introverso e schiacciato dagli obiettivi, dorme in stanza con Andrea, sfacciato e provocatorio. Dopo un gesto di autolesionismo del primo, Andrea inizia a tenerlo d’occhio con piglio da “fratello maggiore”. Ma Andrea ha una preoccupazione più grande: la sua identità. O una sua parte ad essere precisi, che lo porta a fantasticare in un futuro altrove.

Ci sono poi gli amici, il liceo, le feste, lo sport, la trap e quando l’occhio clinico vuole la sua parte, l’incessante lavorio narcisistico di accomodamento, tra manifestazioni di grandiosità, nelle sue mille sfaccettature e manovre di svalutazione.

Una chiara nota di merito va all’attualità della narrazione: temi LGBTQ a fare da substrato, la sessualità (forse vista con eccessiva tenerezza se rapportata al reale, con amplessi fiabeschi e una certa indulgenza ad accedere all’erotismo), i legami amorosi, tutto sviluppato attraverso dinamiche di fiducia e lealtà, di cameratismo, del segreto, del mostrare per nascondersi.

Poi, il bisogno di affermazione attraverso la visibilità, che è compensatorio di quella inferiorità percepita, anche d’organo (per ricordare Adler), come appare nel personaggio di Carola, con buona intuizione scenica, ma in modo un po’ idealizzato e monocorde di un concetto ormai super sdoganato di resilienza.

Prisma è una ventata di novità e carisma che fa dell’identità e della sua ridefinizione il cardine per esprimere come le vecchie concezioni di bianco e nero, maschio e femmina, normale e anormale, siano più che mai grossolane interpretazioni del mondo intimo delle nuove generazioni, del tutto insufficienti a comprenderne la realtà.

Otto puntate in cui l’onnipresente texting rivela sullo schermo le chat private che i personaggi si scambiano, mostrando la relazionalità tipica delle giovani generazioni e attraendo anche lo spettatore-genitore curioso.

Tra le trame narrative non resta spazio per il sempre poco attenzionato (e poco attraente) tema dell’esclusione sociale – piuttosto ironicamente – appena abbozzato dalla presenza di Fabio “Coccolino”, stereotipo del ragazzo bullizzato perché manchevole di ogni abilità sociale, protagonista solo di un tenero omaggio a fine stagione.

Occupano invece un piccolo spazio i genitori, che non rubando mai la scena ai figli, finiscono per essere soltanto un supporto necessario alla trama, e che siano attenti (la madre di Carola), assenti (la madre di Nina), o censori (i genitori dei gemelli), non vengono mai visti da dentro, anzi sono così al margine, tranne che in un’occasione sul finire della stagione, da non avere nomi propri.

Un assetto volutamente ricercato, un peccato veniale per una serie indirizzata ai giovani, ma anche un’opportunità sfumata, sia per spiegare molto meglio al giovane spettatore la ricaduta dinamica dei legami di attaccamento, sia per invogliare un pubblico adulto che non sia solo il genitore attratto dallo “spiare dal buco della serratura” la vita che i figli non raccontano.

Gli indizi utili a collegare la personalità e lo stile dei genitori al carattere dei figli, sono talmente sporadici che si ha l’impressione che siano capitati accidentalmente nella sceneggiatura.

 Al contrario, il lavoro per rendere credibile l’attore principale in due ruoli differenti, mediante una serie di accorgimenti tecnici, è talmente riuscito che neanche con uno sforzo razionale sembra possibile credere che si tratti della stessa persona. Merito di tutto il comparto tecnico e naturalmente di una regia e di una recitazione che risultano drammatiche e mai pesanti, spinte alla loro massima intensità dalle note di una colonna sonora che rivela da subito la miscela azzeccata di immagini e sonorità rock ed elettroniche, ma che spaziano da successi anni novanta a Franco Califano e Luigi Tenco.

Questo titolo, con l’indicazione +16 anni, avverte con l’alert “uso di alcol, contenuto sessuale, scene con fumatori, violenza, linguaggio volgare, nudità, uso di stupefacenti”, ed è tale da allarmare il genitore medio, ma si tratta di una produzione casta e pervasa di romanticismo.

La trasgressione inscenata mediante l’uso di un linguaggio volgare e l’abuso di droghe e alcool, è tenera e vulnerabile, incapsulata nella narrazione e senza rischi di una emulazione pericolosa, contrariamente ad altre ben note produzioni italiane che hanno reso appetibile il comportamento criminale.

Siamo ad anni luce dalla violenza insensata dei truci giochi di Squid Game per intenderci. I ragazzi di Prisma non sono né deviati, né violenti. Appaiono soltanto nelle loro fragilità.

La presenza di un adulto serve semmai a difendere il concetto che non bisogna necessariamente essere belli e svegli come i personaggi dei film per andare bene. Oppure, ancora meglio, come opportunità per riconoscere nella precocità, anche sessuale e sensuale dei giovani (e giovanissimi) di oggi, l’opportunità per dialogare e quindi proteggere, per dimostrare che l’unica cosa davvero pericolosa è ciò che non si conosce, che non si può dire o che non si capisce.

Prisma ha i numeri per sfondare e rappresenta una novità affascinante per il pubblico a cui si rivolge, affamato come non mai di stimoli e opportunità, anche identificative.

Il target dei giovani è facile da sedurre, si sa, ma il regista non esagera con gli espedienti e a parte la necessità cinematografica di ammantare di charme i personaggi, fa del realismo e della bravura degli attori i suoi punti di forza.

Per concludere, la lente proposta da Prisma illustra finalmente ad un pubblico ampio qualcosa che da sempre è esistito, ma che il nostro tessuto sociale e morale ha sempre mutilato, chiudendo quegli spazi che oggi appaiono più disponibili per esprimersi liberamente. Oltre l’intrattenimento, ma senza arrivare all’entusiasmo propagandistico di chi parla di Generazione Prisma, questa serie può raggiungere l’invidiabile traguardo dell’utilità, soprattutto per quegli adolescenti che mostrano problemi di evitamento e di socialità, a patto di spegnere la tv e trovare il coraggio di vivere le proprie esperienze.

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Mauro Bruni
Mauro Bruni

Psicologo Psicoterapeuta

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Adler, A. (2013). Inferiorità e compenso psichico. Mimesis Edizioni.
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