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Report dalla prima giornata del Congresso della Società Europea delle Psicoterapie Cognitivo Comportamentali – EABCT 2022

Report dalla prima giornata del Congresso della Società Europea delle Psicoterapie Cognitivo Comportamentali - EABCT 2022

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 09 Set. 2022

Di questa prima giornata del congresso della società europea delle psicoterapie cognitivo comportamentali EABCT 2022 in un settembre afoso come un luglio in una Barcellona stagnante che ci priva del sollievo della brezza marina ricorderò le due presentazioni chiave, i keynote speech, di James Bennett-Levy e di Keith Dobson.

 

La prima keynote è dedicata al ruolo della formazione personale e didattica nella crescita dello psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Una formazione a cui si è dedicata a lungo un’attenzione distratta, concependola come un percorso di apprendimento ben definito nei manuali e dimenticando come i pionieri avevano avuto alle spalle un periodo di formazione complesso e prolungato, che fosse psicodinamico come quello di Beck ed Ellis o comportamentale come quello di Mahoney e Meyer. Bennet-Levy da sempre se ne occupa e ha raccontato come nel 1988, quando egli intraprese la formazione, usufruì di un percorso didattico limitato alla esposizione scritta di procedure con scarsa attenzione alla costruzione di una professionalità limata nella pratica reale e alla cura della crescita personale. Mentre la psicoanalisi dava un’attenzione fin troppo maniacale all’analisi personale, che è solo un aspetto di quello sviluppo personale che trasforma la tecnica in pratica esperta, la psicoterapia cognitivo comportamentale invece riduceva lo sviluppo all’apprendimento di nozioni. Per ovviare a questo Bennett-Levy ha negli anni proposto dei correttivi, non necessariamente focalizzati sull’analisi personale ma nemmeno trascurandola. Su questa i dati sono abbastanza contradittori: non sembra esserci vero beneficio, con una doverosa eccezione però: la gestione dei pazienti oppositivi riesce meglio a chi ha affrontato un percorso personale.

Accanto all’analisi personale Bennett-Levy pone altri percorsi di crescita. Primo fra tutti, il suo contributo più originale, quel che lui chiama la SP/SR, ovvero Self-Practice and Self-Reflection, un tipo di formazione in cui vi è un focus prolungato su questioni personali e non tecniche come fobie, insicurezza, convinzioni su se stessi del terapeuta trattate con un lavoro esperienziale sui problemi del terapeuta che svolge il ruolo del paziente in simulate o in riflessioni personali scritte strutturate, la cosiddetta scrittura riflessiva. Inoltre, la SP/SR è una formazione di gruppo. I gruppi SP/SR sono una “comunità di apprendimento” e i mezzi di apprendimento sono ancora una volta l’esperienza e le riflessioni su di sé e degli altri. A rendere il tutto più intenso e impegnativo emotivamente, nel gruppo le riflessioni scritte sono condivise regolarmente su base settimanale. Ne consegue che il formatore SP/SR è un facilitatore di gruppo e non un insegnante. Infine, accanto all’SP-SR Bennett-Levy propone le pratiche meditative e la supervisione intensa e non occasionale. Queste pratiche incrementano l’efficacia del terapeuta e Bennett-Levy può confermarlo con dati empirici.

L’ARTICOLO CONTINUA DOPO LE IMMAGINI:

Imm.1 – Immagine dalla Keynote di James Bennett-Levy

Imm. 2 – Immagine dalla Keynote di James Bennett-Levy

Imm.3 – Immagine dalla Keynote di James Bennett-Levy

La presentazione di Dobson si è focalizzata su un curioso fenomeno che colpisce la psicoterapia cognitivo comportamentale da almeno una quindicina di anni, il fatto che continui a essere la psicoterapia con i dati di efficacia più robusti in vari disturbi (non solo i soliti disturbi d’ansia e depressivi) e al tempo stesso che il suo successo non si decida a diventare definitivo. Di questa curiosa situazione Dobson fa un’analisi approfondita proponendo alcune riflessioni e proposte per uno sviluppo successivo. Prima di tutto l’applicazione più intensa, e non ancora timida come ora, ai disturbi dei pazienti meno collaborativi, coi quali occorre contemperare la tecnica cognitiva con la buona pratica e lo sviluppo personale del terapeuta secondo linee simili a quelle delineate da Bennett-Levy. A quelle considerazioni Dobson aggiunge riflessioni su alleanza terapeutica e fattori comuni che andrebbero declinate secondo concetti specifici della psicoterapia cognitivo comportamentale e non con concetti presi in prestito meccanicamente da altri paradigmi. Una proposta è quella, emersa durante il dibattito successivo, di considerare la condivisone della formulazione del caso come il modo specifico della psicoterapia cognitivo comportamentale di gestire l’alleanza. Il secondo aspetto è quello di rifinire la rigidità di applicazione manualizzata della psicoterapia cognitivo comportamentale all’interno di una pratica al tempo stesso più flessibile nella concretezza della seduta ma anche più rigorosa. Questo richiede l’uso massiccio di strumenti di supervisione continua e formalizzata che stimolino l’aderenza del terapeuta ai processi terapeutici empiricamente confermati e al tempo stesso ne permettano il continuo controllo di efficacia in tempo reale attraverso una raccolta dati efficiente e agile con strumenti online di rapida consultazione. Inoltre, occorre migliorare l’accesso dei pazienti alle psicoterapie empiricamente confermate con programmi che ricalchino lo Improving Access to Psychological Therapies (IAPT). Insomma, aderenza, flessibilità, applicazione a pazienti complessi, supervisione intensificata e gestione dei fattori relazionali in termini specificamente cognitivi sono le strade additate da Dobson.

Dobson EABCT 2022

Imm. 4 – Immagine dalla keynote di Keith Dobson.

Imm. 5 – Immagine dalla keynote di Keith Dobson.

Per quanto riguarda le sessioni parallele esse sono al solito fin troppo abbondanti. In tanta ricchezza le tendenze emergenti mi sono parse due: 1) una sempre maggiore attenzione ai processi rispetto alle credenze (ho assistito a numerose presentazioni su rimuginio, ruminazione, flessibilità, controllo dell’attenzione in termini più ecumenici di un tempo quando si contrapponevano la scuola metacognitiva di Wells, quella di processo concreto/astratto di Watkins e l’accettazione di Hayes); 2) un crescente interesse per interventi esperienziali declinati in termini di Schema Therapy o di comportamentismo classico, con una particolare propensione per l’uso della realtà virtuale: ho visto armeggiare con avatar e visori per scenari virtuali perfino i seguaci di una delle scuole cognitive più classiche come quella dei costrutti personali di Kelly.

ALTRE IMMAGINI DALLA PRIMA GIORNATA DEL CONGRESSO EABCT 2022:

Imm. 6 – Guillem Feixas parla di Realtà Virtuale

Imm. 7 – La Realtà Virtuale applicata ai costrutti personali

Imm. 8 – Applicazioni della Realtà Virtuale in psicoterapia

Imm. 9 – Applicazioni della Realtà Virtuale in psicoterapia

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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