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I disturbi alimentari negli atleti di genere maschile

Esiste una serie di fattori che può influire sul rischio di sviluppo di disturbi alimentari nella popolazione maschile, che si accentuano tra gli atleti

Di Riccardo Fabbrini

Pubblicato il 02 Set. 2022

Aggiornato il 08 Feb. 2024 14:49

Gli atleti maschili cisgender riportano una maggiore possibilità di sviluppare dei disturbi alimentari rispetto alla popolazione maschile generale (Eichstadt et al., 2020). 

 

 Nonostante i disturbi alimentari siano sempre stati maggiormente presenti nella popolazione femminile, recenti ricerche riferiscono che circa il 25% della popolazione cisgender maschile soffre di questi disturbi (Eichstadt et al., 2020). I disturbi alimentari, infatti, non colpiscono esclusivamente il genere femminile, e col tempo i criteri per la diagnosi sono stati adattati anche ai pazienti di sesso maschile.

Tra i maschi in età universitaria, i comportamenti riguardanti i disturbi alimentari più frequenti risultano essere le abbuffate (7,9% della popolazione), l’esercizio eccessivo o compulsivo (4,4% della popolazione), il digiuno (4% della popolazione), l’autoinduzione del vomito (2,7% della popolazione) e l’utilizzo di diuretici o lassativi (1,6% della popolazione; Eichstadt et al., 2020). È importante notare che esiste una serie di fattori che può influire sul rischio di sviluppo di disturbi alimentari nella popolazione maschile, come i fattori psicologici, le aspettative riguardo al genere, l’accessibilità a numerosi contenuti riguardanti diete o esercizi, gli stereotipi di mascolinità e di muscolosità e i messaggi dei social media sulla forma del corpo ideale e sulla condanna del peso eccessivi.

La cultura dell’uomo sportivo nella società e lo sviluppo di disturbi alimentari

Gli atleti maschili cisgender riportano una maggiore possibilità di sviluppare dei disturbi alimentari rispetto alla popolazione maschile generale (Eichstadt et al., 2020).

In molti sport, dominati storicamente dal genere maschile come il calcio o il pugilato, l’atleta maschile è sempre stato percepito come stoico, infrangibile e dedito a raggiungere il massimo livello possibile, sacrificando il resto (Eichstadt et al., 2020). Ciò può essere dovuto a una cultura dello sport che implicitamente ha mantenuto saldo lo stereotipo dell’uomo forte e senza emozioni. Questa conformità dello sport verso la tradizionale visione dell’uomo come figura dominante, potente e capace di raggiungere un determinato status sociale, può aver gradualmente causato nella popolazione atletica maschile una forte insoddisfazione verso i propri muscoli e la loro forma, aumentando di conseguenza la probabilità di emettere comportamenti alimentari disfunzionali orientati all’aumento della massa muscolare e alla perdita di massa grassa.

In questo contesto, può essere molto difficile riconoscere la problematicità dei disturbi alimentari, che possono addirittura essere incoraggiati (Eichstadt et al., 2020). Infatti, la ricerca di aiuto potrebbe addirittura essere vista come un qualcosa di negativo, a causa della possibile vergogna verso lo stigma generale nei confronti degli atleti, come lo stereotipo citato precedentemente di uomo forte e stoico, o una visione negativa e prevenuta verso chi ha problematiche di salute mentale in generale.

 Un altro possibile motivo che potrebbe frenare un atleta maschile dal chiedere aiuto riguardo a una problematica alimentare potrebbe essere proprio il fatto che i disturbi alimentari sono visti nella società come complicazioni prevalentemente appartenenti al genere femminile, e ciò potrebbe ulteriormente contrastare un’intenzione di richiesta di aiuto da parte di un individuo che cerca di raggiungere l’ideale di atleta sportivo perfetto.

Le conseguenze dei disturbi alimentari nell’atleta

Il continuo investimento di tempo da parte dello sportivo nel seguire lo stile di vita atletico, oltre all’impegno fisico e psicologico richiesto dalla competizione, può incrementare la vulnerabilità verso i disturbi alimentari (Eichstadt et al., 2020).

Gli atleti, infatti, seguono normalmente diete rigide e regimi di allenamento intensivo al fine di ottimizzare la propria performance, con il rischio di entrare in uno stato di malnutrizione a causa del basso apporto calorico, comportando così un deficit di energia (Eichstadt et al., 2020). Ciò può causare una serie di effetti dannosi, come danni a diversi sistemi organici, minore densità minerale muscolare, riduzione del testosterone, fragilità nei tendini e nei muscoli, con conseguente aumento del rischio di infortuni, diminuendo così le performance atletiche.

Inoltre, è possibile che l’atleta arrivi a sviluppare un ciclo di comportamenti negativi, come un individuo che cerca di ridurre il proprio grasso corporeo e aumentare la massa muscolare utilizzando tecniche disfunzionali e dannose, come l’utilizzo di steroidi anabolizzanti.

Infine, anche il burnout e la sindrome da sovrallenamento possono aumentare la predisposizione allo sviluppo di disturbi alimentari.

I disturbi alimentari negli sport sono quindi una realtà nel mondo degli atleti maschili e, nonostante siano più frequenti di quanto si immagini, tendono a essere sottovalutati e mal diagnosticati (Eichstadt et al., 2020). I coach, gli allenatori e i medici professionisti dello sport dovrebbero essere maggiormente incoraggiati a monitorare gli atleti, controllando la possibile presenza di segni e sintomi che possono ricondurre a disturbi alimentari, e intervenire tempestivamente e con le modalità funzionali alla gestione di tali problematiche.

 

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