L‘escapismo basato sulla causa indica una tendenza a evadere e/o evitare elementi reali negativi della vita dell’individuo (per esempio, routine stressanti, compiti di vita che causano sofferenza e stress), mentre l’escapismo basato sull’effetto sembra essere guidato dal desiderio di mettere in atto il comportamento stesso per ricercare piacere.
L’escapismo
“Chi non ha mai desiderato, almeno ogni tanto, di scappare? Ma da cosa e verso dove? Una volta che siamo arrivati nel “good place”, finisce il nostro desiderio di scappare? Quello che sembra essere certo è che tutti sentono l’impulso di essere da qualche altra parte in momenti di stress e incertezza” (Tuan, 2000, p. XI).
Il dizionario Garzanti della lingua italiana definisce “l’escapismo” come “una tendenza ad evadere da problemi o situazioni sgradevoli, rifugiandosi nell’immaginazione, nel disimpegno, nel divertimento e/o qualsiasi comportamento improntato a tale tendenza” (Garzanti, 1987). Stando a questa definizione un individuo che, ad esempio dopo un licenziamento o per la routine giornaliera troppo stressante, oppure un adolescente bocciato a scuola o intrappolato in un sentimento di insoddisfazione per gli amici che frequenta, decide di cominciare ad affrontare tali situazioni “scappando” da esse e “rifugiandosi” nel guardare la TV, nel gioco online e offline, in letture di libri o mind wandering, sta appunto mettendo in atto un comportamento di escapismo.
Si tratta di un costrutto fortemente dibattuto, che assume forme simili ma sfumature diverse in base alla lente con la quale lo si vuole indagare. Dalla tendenza a mascherarsi e assentarsi dalla realtà in psicologia filosofica, si trasforma in una tendenza comportamentale attuata in base a caratteristiche personologiche peculiari (per esempio, nevroticismo) nella psicologia della personalità. Diventa poi un buon predittore di comportamenti di dipendenza, fino a svolgere un ruolo per qualcuno persino fondamentale nel promuovere l’immersione in ambienti digitali, se lo si guarda con la lente della psicologia digitale e dei videogames (Puiras et al., 2020; Woody, 2018; Reid et al., 2011).
L’esperto di pratiche di gioco online Harald Warmelink, con l’aiuto di alcuni colleghi, aveva tentato di ampliare il concetto di escapismo, classificandolo in base alla motivazione sottostante l’attuazione di tale comportamento. Emersero, dunque, due tipologie di evasione dal mondo reale: “basato sulla causa” o “basato sull’effetto” (Warmelink et al., 2009). La prima declinazione indica una tendenza a evadere e/o evitare elementi reali negativi della vita dell’individuo (per esempio, routine stressanti, compiti di vita che causano sofferenza e stress), mentre “l’escapismo basato sull’effetto” sembra essere guidato dal desiderio di mettere in atto il comportamento stesso per ricercare piacere o esperire realtà alternative (Warmelink et al., 2009). Per figurarlo meglio, secondo Warmelink e colleghi, ad esempio, un ragazzo che gioca a Fortnite per gestire l’ansia generata dal fatto di avere pochi amici a scuola o essere stato escluso, sta attuando una forma di evasione dalla realtà “basata sulla causa”; invece, un adolescente che decide di giocare al medesimo gioco per allenare le sue abilità a sparare o perché la storia del videogioco è particolarmente accattivante, sta mettendo in atto un “escapismo basato sull’effetto”. L’attività in cui ci si immerge deve provocare emozioni e/o sensazioni piacevoli, oltre che fornire una buona opportunità per evitare problemi di vita reale, come aveva sostenuto Yee, il quale già nel 2006 lo aveva definito: una modalità di rilassamento e di evitamento dei problemi di vita reale (Yee, 2006).
In sintesi, l’escapismo sembra esprimere un’intenzione da parte degli individui a minimizzare la sofferenza e massimizzare il benessere (Stenseng et al., 2012). Si potrebbe dunque pensare che l’escapismo sia un bisogno essenziale degli esseri umani più che una manifestazione definita di mancanze e/o deficit a livello sociale e individuale (Tuan, 2000). Una strategia messa in atto dagli individui al fine di raggiungere uno stato di equilibrio (omeostasi) a seguito dell’esposizione a elementi di vita stressanti. Questa concettualizzazione pone l’accento e orienta l’attenzione verso l’idea che la tendenza a evadere dalla realtà sia sostanzialmente il frutto dell’evoluzione e sia una caratteristica intrinseca della specie, con il fine di garantire benessere psicologico all’individuo. Risulta difficile tuttavia, ancora oggi, definire il grado in cui questa tendenza sia adattiva in termini di benessere psico-sociale ed effettiva gestione delle emozioni. All’attuale stato dell’arte, la letteratura scientifica circa questo costrutto rimane ancora lontana dal determinare se le caratteristiche individuali e soggettive determinano il desiderio di fuga dal mondo reale e quanto, invece, questa tendenza sia maggiormente incentivata dalle caratteristiche stesse degli ambienti di vita online. Ancora da chiarire, inoltre, se sia la struttura stessa del mondo reale a spingere gli individui a desiderare di fuggire.
Come misuriamo l’escapismo?
Questa “fuga dalla realtà” è entrata di prepotenza nel mondo accademico e della ricerca psicologica con l’avvento di ambienti digitali (come televisione, videogiochi, realtà virtuale) e della conseguente escalation di studi sulle relazioni che intercorrono tra gli individui e queste tipologie di strumenti (Melodia et al., 2020; Di Blasi et al., 2019; Kaczmarek e Drążkowski, 2014; Billieux et al., 2013; Kuss et al., 2012; Dauriat et al., 2011; Calleja, 2010).
Dalla seconda metà del secolo XX diversi autori hanno cercato di realizzare scale standardizzate che permettessero di indagare l’escapismo. I primi tentativi che riscontriamo si caratterizzano per l’estrapolazione di items utili alla misurazione di questa variabile dal test standardizzato Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI; White Jr et al., 1956). In anni più recenti, l’aumento di studi nell’ambito della psicologia dei videogames ha determinato la realizzazione di scale per l’indagine sulle motivazioni a passare tempo online e in ambienti digitali, le quali presentano items specifici per la misurazione dei livelli di escapismo, queste sono: la Motivation to Play in Online Games Questionnaire (MPOGQ; Yee, 2006b), la Motives for online gaming questionnaire (MOGQ) realizzata da Demetrovics e colleghi (2011), e la scala a 14 item Motivation to play assessment (Dauriat et al., 2011). Tendenzialmente si riscontrano items molto simili riadattati agli ambienti digitali d’interesse (come social networks, videogames; Gao, Liu e Li, 2017; Dauriat et al., 2011; Demetrovics et al., 2011; Yee, 2006b).
Queste scale di misura, tuttavia, ci permettono di valutare solo se esista questa tendenza, ma rimane assente un’indagine dei fattori determinanti nel promuovere questo desiderio.
Chi decide cosa è reale e cosa no?
Per la varietà di possibilità che offrono e le caratteristiche che presentano i nuovi contesti digitali, quali gioco online simultaneo, vie di comunicazione in tempo reale con altri utenti, avatars con caratteristiche personalizzate e personalizzabili e molti altri aspetti, rappresentano delle vie di fuga dal mondo reale quasi ad hoc per tutti i tipi di soggettività. Le tecnologie di immersione in realtà virtuale (VR) e il nuovo metaverso (META) proposto da Zuckerberg hanno portato a un livello totalmente nuovo la possibilità e l’attrattività di questi ambienti in contrapposizione al mondo reale. Pensiamo solo al mondo virtuale, anche se un po’ rudimentale, “Second Life” (EP) il quale già nel 2013 aveva attirato a sé milioni di utenti all’attivo, fornendo uno spazio di vita online nel quale le persone potessero agire liberamente.
Il fenomeno degli Hikikomori rappresenta una declinazione estrema e osservabile della tendenza a evadere dal reale rifugiandosi nei mondi offerti dalle piattaforme digitali (Crepaldi, 2019). Questo termine un po’ astruso, letteralmente significa “stare in disparte” e delinea una categoria di persone che hanno deciso di ritirarsi per lunghi periodi dalla vita reale in favore della vita online, attirando l’attenzione di studiosi e aprendo numerosi dibattiti sulle cause di questa condotta (Crepaldi, 2019).
L’evoluzione degli ambienti digitali nel ricreare dinamiche di vita reale, l’accomodamento da parte delle società orientali e occidentali nei confronti dell’utilizzo delle tecnologie, e la tendenza sempre crescente a ritirarsi in mondi alternativi “fittizi” mette a dura prova i limiti delle nostre convinzioni circa l’esistenza di una realtà unica e circoscritta al mondo fisico.
“Vengono tutti qui a dormire? …no, vengono qui per essere svegliati, il sogno è diventato la loro realtà…. chi è lei per dire altrimenti?!” (Nolan, 2010).