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Fame. Trattare i disturbi alimentari con la mentalizzazione (2022) – Recensione

L'orientamento basato sulla mentalizzazione offre un trattamento per i disturbi alimentari centrato sulla persona e fondato sulla relazione terapeutica

Di Sara Nargis Liguori

Pubblicato il 14 Giu. 2022

Aggiornato il 08 Feb. 2024 14:49

I disturbi alimentari rappresentano una delle patologie più complesse nell’ambito dei disturbi mentali. Diversi ricercatori hanno evidenziato difficoltà di autoregolazione in questa tipologia di disturbi, che si manifestano nei pazienti come deficit nell’identificazione e descrizione delle proprie emozioni; una compromissione delle capacità di mentalizzare le esperienze emotive degli altri; problemi di attenzione e deficit della funzione esecutiva.

 

Creando un ponte tra la tradizione psicodinamica, quella cognitivo-comportamentale e quella sistemica e narrativa, l’orientamento basato sulla mentalizzazione aiuta il clinico a elaborare un protocollo di intervento che permetta di affrontare i molteplici fattori alla base del disturbo alimentare, offrendo un trattamento centrato sulla persona e fondato sulla relazione terapeutica, per riuscire a stabilire un contatto anche con il paziente apparentemente più irraggiungibile e difficile.

Il libro presentato può essere definito un manuale, in quanto illustra un modello di trattamento per i disturbi della condotta alimentare, partendo da una introduzione teorica e storica. Tuttavia, non include descrizioni dettagliate di tecniche e strategie seduta per seduta, perché il focus principale di questo trattamento risiede nella creazione di una relazione terapeutica stabile e sicura; andrà dunque ad approfondire, nello specifico, “l’arte dell’incontro”, perché “solo un paziente che si sente al sicuro trova il coraggio di cambiare” (pag. 29).

Gli autori iniziano definendo i disturbi del comportamento alimentare come “gravi forme di compromissione della capacità di mentalizzare le esperienze emotive proprie e altrui” (pag. 8). Cosa si intende per mentalizzazione? Si intende una forma di conoscenza emotiva e consiste nella normale capacità di attribuire intenzioni e significati al comportamento umano e di riflettere sulla propria mente e su quella degli altri. Invece di agire in modo impulsivo, trainati da forti emozioni, possiamo utilizzare la mente per valutare la situazione e per agire modalità di comportamento più adattive e costruttive. Un’adeguata capacità di mentalizzare è dunque alla base della flessibilità mentale, dell’autoregolazione e della costruzione di relazioni significative.

Secondo gli autori di questo trattato, il nucleo psicopatologico dei disturbi dell’alimentazione consiste in un “senso del sé deficitario” (pag. 19); si tratta di pazienti che mancano di consapevolezza delle proprie esperienze interiori e sono incapaci di affidarsi ai propri pensieri, sentimenti e sensazioni corporee, arrivando dunque a sperimentare una enorme angoscia interiore. In questa tipologia di pazienti ci sono vari aspetti del funzionamento mentale che presentano delle anomalie; in particolare, la difficoltà nell’espressione e nel riconoscimento delle emozioni, deficit della mentalizzazione e distorsioni del pensiero, che possono avere conseguenze negative sulla capacità di risoluzione dei problemi, sulla gestione delle relazioni interpersonali e sul coinvolgimento in terapia. Utilizzando il linguaggio della mentalizzazione si può dunque affermare che questi disturbi sono il risultato di deficit dell’autoregolazione e della regolazione affettiva.

All’interno del volume viene descritto il trattamento basato sulla mentalizzazione applicata ai disturbi alimentari (Mentalization Based Therapy for Eating Disorders; MBT-ED), il quale pone l’accento sull’incontro terapeutico, creando le condizioni affinché il paziente si senta sufficientemente al sicuro; in questo modello, la terapia è quindi un legame di attaccamento, e si pone l’obiettivo di aiutare il paziente a provare meno solitudine e di accompagnarlo nella co-costruzione di nuove narrazioni su di sé e sugli altri. Da quanto scritto si evince che il modello della mentalizzazione affonda sicuramente le sue radici nella tradizione psicodinamica, ma si concentra anche sui processi cognitivi ed emotivi, stabilendo quindi un ponte tra la tradizione psicoanalitica e quella cognitiva.

Stabilire un’alleanza terapeutica soddisfacente è una delle principali difficoltà da affrontare nel lavoro con questi pazienti, molti dei quali interrompono la terapia o presentano una motivazione al trattamento molto instabile. Nonostante l’attenzione di molti trattamenti per i disturbi alimentari si sia concentrata su questa tematica, gli studi continuano a rilevare un alto tasso di abbandono della terapia; il trattamento basato sulla mentalizzazione si focalizza dunque sulla creazione di un’alleanza terapeutica sana, e dedica dunque molta attenzione alle capacità che il terapeuta deve maturare. Ma quali sono le abilità e competenze del terapeuta MBT? Esse consistono, in primo luogo, nella capacità di adottare un atteggiamento indagatore e una posizione del “non sapere”, che comunica al paziente un interesse sincero e genuino, poi nella capacità di comunicare al paziente in maniera diretta, autentica e trasparente e infine nell’abilità di accompagnare il paziente nella mentalizzazione, aiutandolo a esplorare i suoi stati mentali. Non meno importanti risultano essere la capacità di stabilire una relazione basata sul sostegno e sull’empatia e quella di adottare un atteggiamento positivo e incoraggiante, stimolando il paziente al cambiamento. Anche le capacità di chiarificazione, esplorazione e confutazione degli stati emotivi interni risultano fondamentali per sostenere il paziente nel processo di riconoscimento, accettazione e cambiamento dei vissuti e dei pensieri ad essi correlati.

La seconda parte del volume descrive proprio la struttura del trattamento MBT-ED, il quale è costruito con l’esplicita intenzione di stimolare la mentalizzazione da una parte, dall’altra di ridurre la sintomatologia alimentare (terapia “a doppio binario”, pag. 134). Deve essere considerato un trattamento a lungo termine, che prevede una combinazione di lavoro psicoeducativo di gruppo, terapia individuale, terapia di gruppo, uso attivo di formulazioni del caso scritte, di piani di crisi e di bilanci periodici.

Il lavoro psicoeducativo di gruppo è il lavoro iniziale, di “preparazione al trattamento”. Lo scopo in questa fase è quello di preparare i pazienti e di accrescere la loro motivazione. All’interno di queste sedute verranno approfondite le tematiche inerenti al concetto di mentalizzazione e di disturbo alimentare. La terapia di gruppo, che per molti pazienti è considerata la parte di trattamento più complessa, è un setting imprescindibile all’interno del quale praticare la mentalizzazione. I terapeuti hanno il ruolo di promuovere attivamente le interazioni, monitorando le attivazioni e le modalità non funzionali, spronando sempre i pazienti a “tenere a mente la mente dell’altro” (pag. 202). Un ruolo rilevante è rivestito sicuramente dalla terapia individuale, spazio all’interno del quale il paziente può portare le tematiche che emergono nei gruppi, discuterle e rielaborarle. La formulazione del caso è una narrazione che contribuisce a dare coerenza alla storia del disturbo, collegando il presente al futuro, mentre il piano d’azione/crisi è un documento che suggerisce come gestire le forti attivazioni fisiche ed emotive. Entrambi sono strumenti che promuovono il lavoro multidisciplinare e contribuiscono alla chiarificazione degli obiettivi del trattamento e del percorso di cura, essendo stesi in collaborazione con il paziente.

Anche il lavoro con le famiglie è fondamentale, dal momento in cui verosimilmente all’interno del nucleo familiare i pazienti hanno imparato modalità non-mentalizzate, e rappresenta dunque il contesto ideale per promuoverla. La terapia familiare basata sulla mentalizzazione (MBT-F) utilizza pratiche derivate da diverse tradizioni sistemiche e pratiche più prettamente psicodinamiche. Lo scopo del trattamento è trasformare i circoli viziosi in circoli costruttivi per le interazioni familiari, promuovendo la mentalizzazione genitoriale, lavorando molto anche sulla coppia (si tratta dunque di una terapia combinata).

Come si è detto più volte, il lavoro nel campo dei disturbi alimentari mette a dura prova la capacità di metalizzazione del terapeuta stesso, il quale può venire a contatto con emozioni intense (paura, rabbia, frustrazione, impotenza), motivo per cui risulta di fondamentale importanza un costante lavoro di supervisione. La qualità del trattamento è collegata non solo alla capacità del terapeuta di applicare l’MBT nelle sedute, ma anche all’efficacia del lavoro di squadra tra i vari membri dell’équipe coinvolti. La funzione essenziale della supervisione è di stimolare i terapeuti e l’équipe a riflettere sui pazienti, sulla pratica clinica e sul lavoro di squadra.

Dopo aver esposto i contenuti del manuale, vorrei concludere questo articolo con alcune considerazioni. Secondo il modello di intervento descritto in questo libro è sicuramente importante prestare attenzione a livello sintomatologico ai meccanismi che mantengono il disturbo alimentare, ma è altrettanto importante che la persona apprenda a “conoscersi meglio, a sperimentare sé stesso e a potenziare le sue abilità” (pag. 275). L’area della socialità, infatti, è terribilmente compromessa nella maggior parte delle persone che soffrono di queste problematiche, si può quindi assistere a gravi situazioni di isolamento e solitudine. Queste situazioni possono protrarsi anche dopo la remissione del disturbo, motivo per cui è fondamentale intervenire anche su questo aspetto delle competenze e delle abilità relazionali. Gli autori del volume sostengono che la mentalizzazione rappresenti il nucleo centrale di qualsiasi intervento psicologico; nel libro si sono concentrati sui disturbi del comportamento alimentare, evidenziando come il trattamento di queste patologie potenzialmente fatali sia stato ostacolato da una serie di fattori, come la paura delle critiche nei sistemi sanitari o le preoccupazioni relative alla sicurezza dei pazienti. Tali influenze hanno condotto i professionisti a restringere la loro prospettiva, concentrandosi esclusivamente sulla sfera somatica e focalizzando gli interventi sul corpo e sul peso. Lo scopo degli autori è invece quello di educare i professionisti a un approccio duplice, che tenga in considerazione non solo le conseguenze fisiche dei disturbi alimentari, ma anche i processi psicologici e gli stati emotivi che li accompagnano. Gli autori sostengono che “il modello della mentalizzazione possa rispondere appieno a questa esigenza, perché è essenzialmente non cartesiano e riconosce l’integrazione tra mente e corpo” (pag. 257).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Robinson, P., Skårderud, F. e Sommerfeldt, B. (2022). Fame – trattare i disturbi alimentari con la mentalizzazione. Casa Editrice Astrolabio.
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