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La nascita della terapia metacognitiva – Parte I

Quali sono le basi teoriche che hanno portato allo sviluppo della terapia metacognivita? Quali sono le evidenze scientifiche che la rendono così rilevante?

Di Carlotta Olivari

Pubblicato il 21 Mar. 2022

Negli ultimi anni, la terapia metacognitiva (MCT) non solo si è dimostrata un trattamento efficace per la cura della sintomatologia ansiosa e depressiva, ma ha anche dato prova di essere un’ottima alternativa a terapie ben consolidate ed evidence-based come la terapia cognitivo-comportamentale (es. Normann & Morina, 2018).

 

La MCT, nel panorama attuale, ha cominciato a riscuotere l’interesse di molti ricercatori e clinici che si occupano di salute mentale. Ma come nasce questa terapia? Quali sono le basi teoriche che hanno portato gli studiosi a creare un paradigma tanto innovativo? E quali le evidenze scientifiche che la rendono così rilevante?

Il presente articolo si soffermerà proprio su questi punti, delineando la storia della terapia metacognitiva dagli albori fino a oggi.

Le informazioni contenute nell’articolo derivano dalla lettura e dalla traduzione di A Brief History of Metacognitive Therapy: From Cognitive Science to Clinical Practice (Capobianco & Nordahl, 2021).

Processi di automonitoraggio ed elaborazione delle informazioni

Adrian Wells, padre della terapia metacognitiva, iniziò a testare metodi e concetti alla base di ciò che sarebbe poi divenuto il modello metacognitivo a metà degli anni ’80, durante i suoi studi di Dottorato. Wells era interessato alla teoria dell’elaborazione delle informazioni e al ruolo che i processi di automonitoraggio avevano nella sintomatologia ansiosa (es., Wells, 1985). Questo interesse nacque in seguito allo studio che l’autore fece del lavoro di Duval e Wicklund (1972), Carver e Scheier (1988) e Fenigstein e colleghi (1984); le ricerche in questione dimostravano quanto fossero rilevanti gli effetti negativi che un elevato automonitoraggio può comportare nei vari disturbi psicologici.

Secondo Wells (1978), erano di fondamentale importanza i processi attentivi e gli stili di pensiero come il rimuginio, e avrebbero dovuto riscuotere maggior interesse negli sviluppi delle teorie psicologiche; tuttavia, i modelli più innovativi presenti in quel periodo, la Terapia Cognitivo-Comportamentale e la Terapia Razionale Emotiva Comportamentale, consideravano come core dei disturbi il contenuto del pensiero e gli schemi mentali.

Secondo Wells era invece l’attenzione l’elemento cardine che poteva fornire una base scientifica per svelare i processi, sia oggettivi che soggettivi, dei disturbi psicologici e i metodi da utilizzare nel trattamento. Fino ad allora invece, i bias attentivi erano considerati principalmente come processi riflessivi bottom-up, risultato di emozioni, tratti di personalità o fattori ambientali (es., Mathews & MacLeod, 1985).

Un lavoro che ebbe grande influenza sulle prime idee di Wells (Duval & Wicklund, 1972) concepì una teoria dell’autoconsapevolezza che considerava l’attenzione come un processo dicotomico: essa poteva essere diretta all’interno di sé oppure all’esterno, verso l’ambiente. Duval e Wickund ipotizzarono che gli stimoli ambientali come la presenza di uno specchio o di un pubblico facessero rivolgere l’attenzione verso sé stessi, mentre le distrazioni esterne e il focalizzarsi su un compito facessero dirigere l’attenzione al di fuori di sé.

Fenigstein e colleghi (1975) definirono la tendenza di una persona a dirigere l’attenzione verso di sé “autocoscienza” e operarono una distinzione tra autocoscienza privata e pubblica, che risultarono entrambe correlare positivamente con l’ansia sociale. Le differenze individuali in questi domini furono considerate come tratti di personalità; l’attenzione auto-diretta di stato risultava secondo gli autori da variabili situazionali transitorie, da tratti di personalità o da entrambe. Emerse che l’autocoscienza di stato e di tratto erano variabili attendibili e correlavano positivamente con la sintomatologia presente in alcuni disturbi psicologici; tuttavia, mancava una teoria standardizzata che collegasse i bias attentivi sulla pericolosità, il self-focus, i limiti delle risorse attentive e i disturbi psicologici. Wells riconobbe i benefici e le implicazioni pratiche nello sviluppo di questa teoria.

In un altro lavoro di grande importanza, Mathews e MacLeod (1985) dimostrarono che i pazienti con ansia avevano la propensione a focalizzare l’attenzione sugli stimoli riguardanti una minaccia; essi attribuivano questo bias all’attivazione di schemi sottostanti e a interpretazioni negative dell’esperienza, coerenti con la teoria degli schemi (Beck et al., 1979). Analizzando questa tendenza con il test di Stroop in pazienti con disturbo d’ansia generalizzata, scoprirono che questi sperimentavano un aumento della latenza di denominazione dei colori nelle parole correlate alla minaccia.

In seguito, MacLeod e colleghi (1986) utilizzarono il paradigma del dot probe task e scoprirono che i pazienti ansiosi, ma non quelli depressi, spostavano l’attenzione verso le parole correlate alla minaccia ma erano più lenti a prestare attenzione alle parole neutre. Questo suggerì che vi era un bias di elaborazione che poteva contribuire al mantenimento dell’ansia. Ricerche successive hanno suggerito la presenza di un bias per gli stimoli disforici nella depressione (es., Armstrong & Olatunji, 2012).

Alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90, Wells insieme con Gerald Matthews (1988) proseguì negli studi sull’attenzione, sulla cognizione, sullo stress e sulle stategie di coping. Gli autori sostenevano che la conoscenza di una persona – le credenze su di sé – non fosse semplicemente un file di dati interni contenente informazioni disconnesse che può essere analizzato dal terapeuta: il disturbo psicologico può essere influenzato non solo da processi automatici, ma anche da processi coscienti più strategici che regolano attenzione e cognizione. Si prefissero quindi l’obiettivo di identificare questi possibili processi e di condurre un’ampia revisione critica della letteratura esistente sull’attenzione e sulle emozioni in psicopatologia. Al centro di questo lavoro c’era un esame delle teorie e delle evidenze sui contributi del controllo bottom-up rispetto al controllo dell’elaborazione top-down.

Wells e Matthews (1994) notarono che l’uso dei principi delle scienze cognitive in letteratura era limitato e che le influenze top-down sui bias e sulla negatività osservati nei disturbi psicologici non erano spiegate dalle teorie esistenti. Si posero quindi l’obiettivo di rimediare a questa lacuna e, dopo un’analisi critica, svilupparono il loro modello della funzione autoregolatoria (Self-Regulatory Function Model; S-REF), la base teorica successivamente sviluppata da Wells e utilizzata come base per la Terapia Metacognitiva.

Il Modello della Funzione Esecutiva Autoregolatoria

Il modello della funzione autoregolatoria è stato anche definito da alcuni autori “il modello metacognitivo dei disturbi psicologici”. Secondo Wells e Matthews (1994) un modello teorico avrebbe dovuto discriminare tra i vari livelli di controllo dell’attenzione ed essere in grado di mappare gli effetti dell’elaborazione delle informazioni nei disturbi psicologici. Wells e Matthews (1994) sostenevano che le teorie psicologiche esistenti non fossero in grado di specificare i diversi aspetti della architettura cognitiva che contribuivano allo sviluppo e al mantenimento delle problematiche emotive. Un’analisi di questo tipo fu centrale nello sviluppo del modello S-REF.

Il punto di partenza nella loro revisione della letteratura è stato l’identificazione e la definizione della sindrome cognitivo-attentiva (cognitive attentional syndrome; CAS), un insieme di processi attivati sotto stress o minaccia che poteva portare allo sviluppo di disturbi psicologici. La CAS consiste in un pensiero ripetitivo negativo, che si manifesta sotto forma di ruminazione, rimuginio e monitoraggio della minaccia e che alimenta l’utilizzo di strategie di coping disfunzionali, come la soppressione del pensiero; questo tipo di pensiero riduce la capacità degli individui di compiere un’efficace autoregolazione.

Un’elevata attenzione rivolta ai propri pensieri (es. autocoscienza privata) era considerata da Wells e Matthews uno dei principali fattori di rischio nello sviluppo di questa sindrome. Nel modello S-REF, la CAS è generata dall’interazione tra un’elaborazione cosciente di livello superiore e un’elaborazione automatica di livello inferiore, in particolare quella che coinvolge i processi di attenzione selettiva e di riduzione della sofferenza emotiva tramite autoregolazione. Nel valutare gli effetti della cognizione di livello superiore, il modello ha distinto tra credenze dichiarative (“io non valgo”) e credenze procedurali, ovvero le pianificazioni o i comandi che guidano l’elaborazione e che hanno quindi una funzione metacognitiva.

Wells e Matthews ritenevano che le credenze negative (“la gente pensa che io sia un fallito”) fossero il risultato dell’elaborazione metacognitiva e che il persistere di tali credenze, le credenze metacognitive o metacredenze, potesse essere spiegato dalla CAS. Wells (es., 1994) ha inoltre ipotizzato l’esistenza e teorizzato il ruolo delle credenze metacognitive negative (“ho paura di perdere il controllo delle mie preoccupazioni”) e di quelle positive (“se mi preoccupo sono pronto ad affrontare qualsiasi cosa”); Wells ipotizzò che influenzassero la risposta della CAS (per esempio, la focalizzazione sulla minaccia).

Il modello S-REF differisce dagli altri modelli cognitivi poiché enfatizza l’importanza dell’architettura cognitiva, distinguendo l’influenza di un’elaborazione riflessiva di livello inferiore dalle strategie motivate di livello superiore. Questa distinzione è importante nell’ambito delle psicoterapie, poiché il livello al quale operano i bias determina a sua volta il tipo di trattamento psicologico che verrà utilizzato (es., esposizione ripetuta per i processi di livello inferiore o strategie di modifica e revisione della conoscenza metacognitiva per i processi di livello superiore (Capobianco & Nordahl, 2021).

Secondo gli autori, era la perseverazione in risposta a pensieri negativi, ovvero la sindrome cognitivo-attentiva, a causare i disturbi psicologici, non il contenuto della cognizione enfatizzato da altre teorie (Beck et al., 1979). Trassero quindi la conclusione che sarebbe stato vantaggioso sviluppare delle tecniche che potessero consentire all’individuo di regolare efficacemente la risposta a pensieri negativi, riducendo gli elementi della CAS.

Nel modello S-REF, la CAS è il risultato della conoscenza metacognitiva, delle credenze sull’utilità del rimuginio e il monitoraggio della minaccia, e delle metacognizioni procedurali di ordine superiore che agiscono come programmi modificabili per l’elaborazione (Capobianco & Nordahl, 2021).

Dal momento che il disturbo psicologico per gli autori era correlato alle credenze metacognitive e all’uso eccessivo di strategie di coping disadattive, lo scopo era quello di sviluppare un trattamento focalizzato a flessibilizzare il controllo mentale, piuttosto che finalizzato alla messa in discussione del contenuto degli schemi o all’insegnamento di skills mancanti.

Wells (2009, 2019) ha continuato ad estendere il modello S-REF integrandolo con dati sperimentali emergenti e ha aggiornato le sue competenze cliniche applicando questi principi ai suoi pazienti. Nello specifico, ha descritto nel dettaglio la struttura interna delle funzioni cognitive di ordine superiore e la relazione tra le componenti metacognitive del modello e la regolazione della CAS.

Gli strumenti per valutare le metacognizioni

Per valutare empiricamente i processi metacognitivi del disturbo enfatizzati nel modello S-REF, era necessario sviluppare nuovi strumenti di misura. I primi furono il Thought Control Questionnaire (TCQ), che valutava le differenze individuali nella tendenza a utilizzare particolari strategie per affrontare i pensieri negativi (es., preoccupazione, punizione, rivalutazione), e l’Anxious Thought Inventory (AnTI), che valutava diversi tipi di preoccupazione inclusa la meta-preoccupazione (cioè la preoccupazione per la preoccupazione; Capobianco & Nordahl, 2021).

Il Metacognitions Questionnaire-65 (MCQ-65) è stato il primo strumento di misurazione per le credenze metacognitive corrispondente al modello S-REF e valutava cinque sottotipi di credenze metacognitive, ovvero: (1) meta-credenze positive riguardo al rimuginio; (2) meta-credenze negative riguardo all’incontrollabilità e al pericolo delle preoccupazioni; (3) fiducia nelle proprie capacità cognitive; (4) bisogno di controllo dei pensieri; e (5) autoconsapevolezza cognitiva. L’MCQ è stato successivamente abbreviato nel Metacognitions Questionnaire-30, strumento di misura determinante nello stabilire il ruolo delle credenze metacognitive in una serie di disturbi, sintomi e gruppi di età (Capobianco & Nordahl, 2021).

Sono stati sviluppati questionari specifici per i disturbi (ad es. GADS-R, PTSD-S, OCD-S) e questionari più generici riguardanti la CAS (ad es. CAS-1, CAS-1r) da utilizzare di sessione in sessione come mezzo per monitorare e valutare le strategie metacognitive e le credenze metacognitive durante la terapia (Wells, 2009).

Esistono anche strumenti per la misurazione delle meta-credenze rilevanti per la depressione, per esempio il Negative Beliefs about Rumination Scale (NBRS) e il Positive Beliefs about Rumination Scale (PBRS) che sono stati determinanti nel testare il ruolo della CAS e delle meta-credenze (es. Cano-Lo ́pez et al., 2021) in questo disturbo.

In arrivo il Masterclass Internazionale di Terapia Metacognitiva

L’innovazione che la Terapia Metacognitiva ha introdotto nella concettualizzazione e nel trattamento dei disturbi psicologici (non solo limitata ai disturbi d’ansia, ma anche a quelli ossessivi, depressivi, post-traumatici, ecc), ha creato nei professionisti una sempre maggiore curiosità e una crescente domanda verso percorsi formativi che consentano di conoscere gli aspetti teorici ma soprattutto di padroneggiare gli aspetti pratici di questo nuovo approccio.

Per tale motivo, l’MCT-Institute, in collaborazione con MCT-Italia, organizzerà un Masterclass per colleghi psicoterapeuti e specializzandi di lingua italiana.

Il Masterclass rappresenta il primo livello di competenza nella Terapia Metacognitiva e certifica l’iscrizione nell’elenco internazionale degli psicoterapeuti metacognitivi.

Sarà un corso dalla durata di due anni (dal 2022 al 2024), organizzato prevalentemente online tramite piattaforma ZOOM con traduzione in italiano. Il corso sarà composto da 8 incontri di due giorni, dedicati all’applicazione pratica della Terapia Metacognitiva e alla supervisione di casi clinici.

Il Masterclass sarà condotto interamente dai fondatori dell’ MCT-Institute e della terapia metacognitiva: Prof. Adrian Wells e Prof. Hans Nordahl.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Armstrong, T., & Olatunji, B. O. (2012). Eye tracking of attention in the affective disorders: A meta-analytic review and synthesis. Clinical psychology review, 32(8), 704-723.
  • Bar-Haim, Y., Lamy, D., Pergamin, L., Bakermans-Kranenburg, M. J., & Van Ijzendoorn, M. H. (2007). Threat-related attentional bias in anxious and nonanxious individuals: a meta-analytic study. Psychological bulletin, 133(1), 1.
  • Beck, A. T. (Ed.). (1979). Cognitive therapy of depression. Guilford press.
  • Carver, C. S., & Scheier, M. F. (1988). A control-process perspective on anxiety. Anxiety Research, 1(1), 17-22.
  • Cano-López, J. B., García-Sancho, E., Fernández-Castilla, B., & Salguero, J. M. (2021). Empirical Evidence of the Metacognitive Model of Rumination and Depression in Clinical and Nonclinical Samples: A Systematic Review and Meta-Analysis. Cognitive Therapy and Research, 1-26.
  • Capobianco, L., & Nordahl, H. (2021). A Brief History of Metacognitive Therapy: From Cognitive Science to Clinical Practice. Cognitive and Behavioral Practice.
  • Duval, S., & Wicklund, R. A. (1972). A theory of objective self awareness.
  • Fenigstein, A., Scheier, M. F., & Buss, A. H. (1975). Public and private self-consciousness: Assessment and theory. Journal of consulting and clinical psychology, 43(4), 522.
  • MacLeod, C., Mathews, A., & Tata, P. (1986). Attentional bias in emotional disorders. Journal of abnormal psychology, 95(1), 15.
  • Mathews, A., & MacLeod, C. (1986). Discrimination of threat cues without awareness in anxiety states. Journal of abnormal psychology, 95(2), 131.
  • Matthews, G., & Wells, A. (1988). Relationships between anxiety, self-consciousness, and cognitive failure. Cognition and Emotion, 2(2), 123-132.
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  • Wells, A. (1987). Self-attentional processes in anxiety: an experimental study (Doctoral dissertation, University of Aston in Birmingham).
  • Wells, A., & Matthews, G. (1994). Attention and emotion: A clinical perspective. Erlbaum.
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