expand_lessAPRI WIDGET

Sento un buco nel pancino (2021) di Debora Pannozzo – Recensione del testo

Lo scopo del libricino 'Sento un buco nel pancino' è dare un nome al vissuto emotivo in una modalità chiara per il bambino e conosciuta, quindi gestibile

Di Marta Rebecca Farsi

Pubblicato il 31 Gen. 2022

In questo testo illustrato, Sento un buco nel pancinol’emozione subisce una esteriorizzazione, e da una dimensione puramente endogena viene associata a simboli di cui il bambino possiede già conoscenza.

 

L’espressione popolare ‘l’ho fatto di pancia’ viene spesso utilizzata per indicare un’azione che compiamo senza riflessione, in una modalità istintiva ed immediata. Allo stesso modo, dire lo sento di pancia sta ad indicare un vissuto emotivo che avvertiamo in maniera quasi inconsapevole, senza una spiegazione precisa o razionale.

In certi casi l’emozione si attiva prima del ragionamento, superando l’attività cognitiva e quanto la concerne. La sintomatologia somatico-neurologica ad essa correlata ne costituisce l’aspetto più immediato e percepibile, con cui siamo in grado di confrontarci sin dalle prime esperienze di vita, quando l’attività emotiva è costituita per la maggior parte da sensazioni corporee e viscerali, spesso originate all’interno della diade (Spitz, 1965; Stern, 1985).

Ma perché proprio la ‘pancia’? Il bambino protagonista di questo breve testo illustrato, singolare e prezioso nel suo genere, esprime inconsapevolmente un’intuizione pregevole, espressa con grande accessibilità espositiva. Il luogo di origine di tutte le emozioni, quegli stati d’animo incomprensibili e spesso più veloci della nostra capacità di spiegarceli, può essere identificato proprio nella pancia, intesa come nucleo delle emozioni viscerali, e per questo più intime e profonde. È lì che si avvertono le modifiche più sostanziali dell’umore, degli stati d’animo, le oscillazioni e i cambiamenti endogeni che costituiscono la risposta, più o meno adattiva, ad uno stimolo esterno.

Ma c’è di più. La pancia può essere intesa come un’efficace sineddoche con cui si indica il correlato somatico dell’emozione, di per sé imprescindibile e ben più esteso. L’emozione prende corpo nel corpo, ed è dal corpo – inteso nella sua globalità – che può essere inferita e codificata, soprattutto quando ulteriori canali di espressioni risultano non adeguatamente evoluti nelle loro funzioni essenziali. Ma anche dopo il completamento dello stato evolutivo è opportuno che l’individuo non perda mai un contatto consapevole con il proprio stato corporeo e viscerale, riconoscendo allo stesso il valore altamente comunicativo di una modifica della condizione emotiva.

Conoscere le emozioni sin dall’infanzia

Osservare rappresenta lo strumento d’elezione per accedere al mondo del bambino, di per sé inesplorabile, intimo e difficile da attraversare nei suoi multiformi contenuti.

Osservare le azioni e le condotte di un soggetto infantile serve a comprendere quanto i suoi comportamenti, lungi dal risultare fini a se stessi, siano in realtà il sostituto di una pulsione espressiva che necessita di emergere e ricevere accoglimento.

Osservando il nipote di 5 anni, l’autrice del testo deve aver pensato all’importanza fondamentale della propriocezione, al fine dell’apprendimento del complesso universo emotivo, che si palesa precocemente e con incredibile tensione pulsionale.

Posto a contatto con il proprio contesto ambientale, il bambino è mosso da una pressante pulsione esplorativa, che lo porta al desiderio di conoscere le miriadi di cose nuove che si palesano di fronte ai suoi occhi, e di cui non riusciva ad immaginare nemmeno l’esistenza.

L’altro aspetto dell’esaltante avventura conoscitiva insita nella crescita è la possibilità che il bambino si trovi letteralmente subissato da un sovraccarico di stimoli sensoriali ed emotivi che, se non elaborati, possono mostrarsi persecutori, talvolta persino traumatici. Lo scopo principale del libricino è proprio questo: dare un nome al vissuto emozionale e collocarlo nello spazio vitale in una modalità logico-simmetrica, chiara perché conosciuta. E per questo gestibile.

Maturare una capacità di regolazione emotiva significa avere una conoscenza globale ed assertiva delle proprie emozioni, al fine di modularle adattivamente in qualsiasi contesto, senza lasciarsene sopraffare, ma al contrario sfruttandone le potenzialità comunicative e relazionali, al fine di strutturare un rapporto inter e intrapersonale più solido.

V’è di più. Possedere una competenza di regolazione emotiva consente di conferire alle proprie e alle altrui emozioni un’origine e una direzione, di codificarne il significato in una modalità metainterpretativa e di modularne il flusso di attivazione in termini di frequenza e intensità, sviluppando al contempo un adeguato vocabolario semantico in grado di esprimerne il contenuto tramite la comunicazione verbale.

Si tratta di un processo graduale, difficoltoso, non privo di conflitti, cadute e passi falsi. Ed è proprio in ragione della sua complessità che deve essere appreso sin dalle prime fasi della vita, in modo da venir interiorizzato come un’esperienza evolutiva in grado di corroborare e favorire la crescita egoica.

L’importanza dell’elemento grafico e simbolico

Per raggiungere il proprio importante obiettivo il testo si avvale più che altro dello strumento grafico: in uno stadio evolutivo in cui la parola non viene padroneggiata al meglio e la capacità di simbolizzazione non si è adeguatamente sviluppata, il disegno costituisce il mezzo comunicativo d’elezione, perché semplice, immediato e dotato di un alto potenziale espressivo. Attraverso il disegno il bambino può esternare i propri stati d’animo coniugando un meccanismo espressivo con uno di valenza proiettiva, di non minore importanza. È infatti nell’espressione grafica che vengono convogliati le sensazioni e i vissuti emotivi che non hanno trovato riscontro nel linguaggio, e che il bambino percepisce come dei ‘fardelli’ spesso ingestibili proprio perché non comunicabili (Oliviero Ferraris, 1973). Ed è sempre attraverso lo strumento grafico che il bambino evacua i vissuti ansiogeni, rappresentandoli a mezzo di forme manifeste da cui può ricevere un feedback visivo del proprio mondo interiore, e familiarizzare al contempo con il concetto di simbolo. Quella cosa che sta al posto di un’altra, della quale riproduce il senso e il significato, pur vestendosi di una diversa struttura formale.

In assenza di un’adeguata capacità di simbolizzazione, accedere all’interpretazione del proprio universo emotivo, di per sé astratto e assolutamente endogeno, risulta ancor più difficile. Per supplire a questa incapacità c’è dunque bisogno di avvicinarsi alle emozioni con prudenza, affidandosi, al fine di stemperarne la portata spesso soverchiante, ai più familiari strumenti del gioco, della fantasia, dell’immaginazione, nei quali tutto trova una spiegazione, una soluzione, un adattamento, e nessun cambiamento è mai del tutto definitivo. Al contempo, per facilitare la formazione di un’adeguata capacità di rappresentazione, le emozioni devono essere associate a qualcosa di concreto e materiale, che sia in grado di sottrarle a quella percezione così vaga e sfuggente che le rende ingestibili e per tanti aspetti minacciose.

In questo testo illustrato l’emozione subisce una esteriorizzazione, e da una dimensione puramente endogena viene associata a simboli di cui il bambino possiede già conoscenza: nello specifico, le quattro emozioni principali – rabbia, tristezza, gioia e paura– vengono dall’autrice collegate ad un colore e ad un evento di vita particolare, che mostrino al bambino il significato del vissuto emotivo sperimentato in quella determinata circostanza e gliene forniscano al contempo un riscontro figurativo. Se ne origina un quadro iconico e di gradevole impatto visivo, capace di stimolare i processi cognitivi e creativi del lettore, bambino o adulto che sia.

La gioia, gialla come il sole, viene collegata ad eventi di gioco e benessere individuale legati al vissuto familiare e scolastico; la rabbia, rossa come il fuoco, si affianca a vissuti di conflitto e di scontro, a contesti in cui il bambino si sente deprivato, ferito, preso in giro; la tristezza è l’azzurro di un cielo senza sole, e alla stessa sono associati eventi latori di dolore e abbandono, come la separazione dalla mamma; la paura, raffigurata con il viola, viene abbinata alle situazioni in cui il bambino si sente da solo ad affrontare un pericolo, e necessita di figure di riferimento adulte in grado di proteggerlo.

La possibilità di raffigurarsi materialmente le emozioni e di collegarle ad eventi familiari consentirà inoltre la formazione di un processo routinario, in grado di creare degli schemi di riferimento sequenziali, script di eventi predeterminati con cui filtrare e dare un significato alle informazioni attinte dall’esterno; dunque il bambino non apprenderà soltanto le cause, ma anche le conseguenze delle emozioni, creandosi delle aspettative attendibili su ciò che si svolgerà, a livello affettivo e corporeo, in seguito al loro manifestarsi. Sarà così più facile comprendere come si sentirà ogni volta che andrà a scuola, o litigherà con un compagno, o si sentirà solo, quando sarà felice e appagato. Sono rosso perché sono arrabbiato, e allora aggiungo un po’ di giallo per esserlo di meno. Sono triste perché ho paura, vediamo cosa possa fare per colorare questa mia tristezza, e renderla meno opprimente. Quel qualcosa che cambia nel suo pancino avrà un volto e un colore, in attesa di divenire uno schema rappresentativo, simbolico ed interiorizzabile, attraverso il quale costruire una capacità regolativa che si trova alla base di ogni vissuto adattivo, inter ed intrapersonale, e che tanto beneficio apporta alla dimensione individuale e relazionale.

L’importanza di una educazione emotiva precoce

È necessario ‘mettere in ordine’ le emozioni.

La regolazione emotiva incarna un processo diacronico con il quale il bambino deve familiarizzare sin dalle prime fasi della vita, per favorire la formazione di una dimensione affettiva socializzante e flessibile. È un passaggio che non può essere evitato: l’essere umano è per natura predisposto alla condivisione e al monitoraggio affettivo (Emde, 1990), e questo è sufficiente a conferire al processo regolativo delle emozioni una spinta motivazionale innata. Insopprimibile.

Educare alle emozioni significa conoscerle a pieno, per regolarne il flusso e la direzione, e non lasciarsene dominare in maniera disadattiva. Emozioni non gestibili si rivelano spesso autentiche minacce per lo sviluppo della capacità relazionale e il compimento dell’intero processo evolutivo, perché spingono a vissuti di oppressione e minaccia. Ed è facile che, nel tentativo di trovare un sollievo a questo disagio, si scelga di orientarsi verso soluzioni dannose per il Sé e per l’altro: ad esempio quella, sin troppo frequente, volta a tramutare vissuti di debolezza e fragilità in agiti aggressivi auto o eterodiretti, condotte persecutorie, tentativi di oppressione dell’altro. Al contrario, dominare le emozioni significa favorire la formazione di sentimenti adattivi, riflessivi e mentalizzanti, emozioni prosociali volte al senso di responsabilità, autoconsapevolezza e capacità assertiva, attraverso le quali far valere i propri diritti, senza mai perdere di vista il rispetto dell’alterità.

Questo libro, scritto per i bambini, ha l’ulteriore pregio di essere scritto da un bambino. Al suo interno i più classici costrutti teorici o scientifici sono sostituiti dall’impatto con l’espressività rudimentale di un bambino di cinque anni, che si ‘immagina’ il mondo mentre comincia ad apprenderlo.

Leggerne le pagine ci trasporta tutti in una dimensione infantile troppo spesso dimenticata, e ce ne mostra, in una maniera straordinariamente semplice, quegli aspetti con i quali è bene non perdere mai un opportuno contatto.

Al termine della lettura si ha l’impressione di aver compiuto un viaggio all’interno del mondo emotivo infantile. È come se il bambino stesso, godendo assieme al genitore della lettura di queste poche pagine illustrate, staccasse un biglietto di andata per compiere un percorso nei meandri della propria dimensione affettiva, scoprendone i più intimi aspetti.

Il bottino di questa avventura esplorativa sarà il conseguimento di una maggiore conoscenza e familiarità affettiva, grazie alla quale le emozioni avranno finalmente un nome, una causa, una conseguenza, e anziché dei minacciosi mezzi di distruzione, dai quali difendersi o evitare in ogni modo possibile, diventeranno degli strumenti per raggiungere una consapevolezza del Sé individuale e relazionale finalmente piena ed assertiva.

 

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Emde, R.N. (1990). Gli affetti nello sviluppo del Sé infantile, in Ammanniti, M. Dazzi, N. (a cura di), Affetti: natura e sviluppo delle relazioni interpersonali, pp. 154- 176, Bari, Laterza;
  • Oliviero Ferraris, A. (1973). Il significato del disegno infantile, Bollati Boringhieri, Torino;
  • Pannozzo, D. (2021). Sento un buco nel pancino. Independently published;
  • Spitz. R (1965). Il primo anno di vita, Giunti, Firenze;
  • Stern, D.N. (1985). The interpersonal world of the infant, Basic Books, New York; tr.it. a cura di A. Biocca e L. Marghieri Biocca, Il mondo interpersonale del bambino. Bollati Boringhieri, Torino, 1987.
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Bambini ed emozioni: come si sviluppa la capacità di regolazione emotiva
Quante emozioni! Le risposte dei grandi alle emozioni dei piccoli

I bambini imparano a regolare le proprie emozioni all'interno della relazione con l'adulto, che costituisce un importante modello a cui ispirarsi.

ARTICOLI CORRELATI
Si può vivere senza ansia?

Eliminare l'ansia non è possibile, ma imparare a conviverci sì. Per riuscirci è d'aiuto fare riferimento ad alcune tecniche di psicoterapia

Dipendenza affettiva e ansia da relazione
Ansia da relazione e dipendenza affettiva

Nelle relazioni sentimentali sono diversi i meccanismi disfunzionali che possono instaurarsi, tra questi la dipendenza affettiva e l'ansia da relazione

WordPress Ads
cancel