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Quante emozioni! Le risposte dei grandi alle emozioni dei piccoli

I bambini imparano a regolare le proprie emozioni all'interno della relazione con l'adulto, che costituisce un importante modello a cui ispirarsi.

Di Francesca Rendine

Pubblicato il 03 Lug. 2019

Il valore delle emozioni sta nella capacità di poterle vivere liberamente ma al contempo in modo adattivo, tale possibilità è influenzata, nella primissima infanzia, dalla risposta che i bambini ricevono dal mondo degli adulti.

 

“Le reazioni emotive dei bambini si modificano nel tempo perché si modificano le loro interpretazioni degli eventi. Crescendo i bambini diventano anche più abili nel riconoscerle e nel prevederle e se nei primi cinque-sei mesi di vita ne sono completamente dominati mano a mano imparano a dominarle grazie anche all’aiuto dei loro educatori”.

(A.O. Ferraris; A.Oliverio)

I bambini provano emozioni?

I bambini sono in grado di provare emozioni sin dai primissimi mesi di vita. Il modo di fare esperienza delle stesse, cresce nel tempo assieme a loro e grazie ad un processo globale di sviluppo che comprende: aspetti cognitvi, motori e sociali.

Questi aspetti sono collegati e costituiscono un “ponte” fra il mondo interiore del bambino ed il mondo esterno. Il bambino è in grado di agire sul mondo esterno attraverso informazioni che derivano dagli stimoli ricevuti dall’ambiente circostante (sviluppo cognitivo), attraverso l’esplorazione di oggetti e spazi di vita (sviluppo motorio) ed in ultimo, non per importanza, attraverso la relazione con le figure significative presenti nel suo contesto di vita.

Il percorso delle emozioni: tra tappe di sviluppo e relazioni

Sebbene esistano specifiche tappe di sviluppo o livelli organizzativi che il bambino attraversa durante il suo sviluppo, oggi sappiamo, ad opera di numerose ricerche scientifiche, quanto sia indispensabile una rilettura all’interno di processi di negoziazione o di regolazione che avvengono con le figure significative, in primis fra madre e bambino.

La possibilità di rivedere lo sviluppo del bambino in un’ottica relazionale ci permette di rendere gli adulti consapevoli dell’importanza delle risposte che potranno fornire ai loro bambini. Tali risposte supporteranno il genitore ad assumere una posizione equilibrata fra la capacità di offrire una risposta ai bisogni primari, ovvero fisiologici come la fame, il sonno e l’igiene, ai bisogni secondari ovvero psicologici come il bisogno di vicinanza, il contatto, il gioco ed il dialogo, assieme alla capacità di supportare il processo di esplorazione.

Possiamo dunque affermare che l’esperienza di efficacia personale che il bambino vive è legata agli scambi relazionali di cui fa esperienza. In questi scambi, fin dai primissimi giorni di vita, il bambino è capace sia di segnalare un bisogno, ad esempio attraverso il pianto e allo stesso tempo di suscitare una risposta da parte dell’adulto che si prende cura di lui. Il legame consente quindi al bambino di regolare la propria emotività in maniera adattiva aprendo una comunicazione emotiva con l’altro e manifestando le proprie emozioni indipendentemente dalla loro “natura”.

Quante emozioni!

Numerose sono le emozioni che caratterizzano il processo evolutivo dell’infanzia: dalla paura, alla collera, alla gelosia o a quell’insieme di emozioni che definiamo come “positive”. Lo studio dell’emotività infantile, che pur mantenendo una quota di variabilità legata all’unicità di ogni bambino, oggi ci permette di affermare che un bambino in età prescolare è in grado di provare: empatia, capacità di offrire aiuto, paura, collera, gelosia ed un insieme di emozioni “positive”.

Risposte empatiche: dalla partecipazione all’offrire aiuto

Il bambino possiede fin dalle prime settimane di vita la capacità di provare empatia, ovvero di entrare in sintonia con lo stato emotivo dell’altro. I neonati ad esempio si attivano al pianto di un altro neonato, rispondono ai vocalizzi di adulti o bambini e tentano di “imitare” le espressioni del viso dell’adulto, mostrando in questi acerbi tentativi la voglia di entrare in contatto empatico con i propri simili. Si parla di un’iniziale forma di “partecipazione” che successivamente invece diventa un agire “intenzionale”.

Il bambino è capace di offrire aiuto all’altro già a partire dai 18-20 mesi, riproducendo modalità di comportamento simili a quelle osservate nel suo ambiente o che ha messo in atto per “auto-consolarsi”. La variabilità nella modalità di risposta sta nell’individualità di ogni bambino: alcuni rispondono prontamente, altri dopo molto tempo. Non è raro osservare come possano offrire un loro giocattolo o del cibo, portare il ciuccio al fratellino o ad un bambino più piccolo che piange, ricorrere alla vicinanza fisica o con oggetti che per lui sono gratificanti nel momento in cui coglie difficoltà nell’altro.

I segnali di disagio: paura, collera e gelosia

La paura è un’emozione comune nei bambini ed assume nel tempo caratteristiche molto variabili, basti pensare alla paura dell’estraneo o alla paura del buio. Prima dei due anni i bambini temono rumori forti e, in generale, i cambiamenti repentini che possono riguardare oggetti, luoghi e persone. Questo “tipo” di paure si caratterizzano essenzialmente per un aspetto comune, ovvero nascono in risposta ad uno stimolo. Con lo sviluppo cognitivo del bambino, la paura si lega a forme immaginarie e dunque a situazioni che non prevedono necessariamente la presenza di un stimolo scatenante, ma a situazioni che il bambino conosce poco, che non può dunque “controllare”, di cui ha sentito parlare senza farne esperienza in prima persona o che può immaginare, proiettando in esse il proprio mondo interiore.

La collera è un sentimento frequente nell’infanzia, che varia nella sua manifestazione sia per la causa e sia per la modalità in cui viene gestita e che spesso mette a dura prova la pazienza dei genitori. Le sue manifestazioni possono concretizzarsi in reazioni aggressive che il bambino orienta alla persona, attraverso comportamenti oppositivi o provocatori, o agli oggetti. Un divieto “mal posto”, ad esempio, può generare la collera di un bambino, questa è funzionale a far comprendere all’adulto che qualcosa non ha funzionato non nel divieto in sé ma nella modalità di porlo, trascurando l’impatto emotivo che questo ha avuto sul bambino. In altri casi la manifestazione aggressiva può orientarsi su se stesso, inducendo cattivo umore o risposte apatiche.

La gelosia è un sentimento con cui i genitori fanno “i conti” spesso con l’arrivo in casa di un fratellino o di una sorellina, che sembrano essere, da oggi in poi, qualcuno con cui dividere (e condividere) attenzioni, esperienze e l’affetto di mamma e papà. La gelosia nasce quando il bambino teme di perdere l’esclusività del legame che lo lega alla mamma ed al papà, non è dunque rivolta al “nuovo arrivato” quanto al legame che si vuole preservare. Non è un caso che la stessa gelosia possa nascere rispetto ad un cuginetto con il quale “condividere” le attenzioni del nonno o con la “maestra preferita” che il bambino vorrebbe solo per sé.

Le “emozioni positive” (gioia, piacere, affetto, curiosità…) assumono sfumature diverse a seconda del contesto nella quale vengono esperite (scuola, famiglia, gruppo dei pari) e sono dunque soggette all’influenza dell’adulto (genitori e insegnanti) e alle modalità educative che possono incidere sul modo di “vivere” un particolare stato emotivo. L’influenza dell’adulto e la modalità educativa, nonché il proprio modo di gestire le proprie emozioni, costituiscono un importante esempio da cui il bambino trae un modello a cui ispirarsi. Nei bambini molto piccoli l’esperienza fisica e motoria permette di esprimere sentimenti di gioia ed affetto, correre felice in un prato dopo la fine di una giornata a scuola, abbracciare il compagno di giochi appena arrivato a casa.

Adulti come “allenatori” di emozioni

Il valore delle emozioni sta dunque nella capacità di poterle vivere liberamente ma al contempo in modo adattivo. La possibilità di viverle in maniera adattiva è influenzato, nella primissima infanzia, dalla risposta che il bambino riceve dal mondo degli adulti.

Diventiamo “allenatori” del mondo delle emozioni: in che modo?

“Tieni!” – “Grazie mille! Sei stato gentile!”

“Smettila di piangere!” – “Perché piangi? Cosa c’è che non va?”

“Non devi urlare!” – “Posso ascoltarti se parli piano!”

“Non voglio giocare con lui!” – “Hai ragione, questo gioco è per i bimbi più grandi…!”

Saltella e ride… – “Ma cosa ti rende così felice? Raccontami…”

“Ti ho detto di non farlo!” – “Ti faresti male per questo voglio che tu non lo faccia!”

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ferraris, A.O., Oliverio, A. (2002). Fondamenti di Psicologia dello Sviluppo. Zanichelli.
  • Ammaniti, M. (2001). Manuale di Psicopoatologia dell'Infanzia. Raffaello Cortina editor.
  • Lis, A., Stella, S., Zavattini, G.C (1999). Manuale di Psicologia Dinamica. Il Mulino.
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