Secondo l’immaginario collettivo con l’invecchiamento si va incontro a un declino fisico e cognitivo a cui difficilmente ci si può sottrarre, portando così l’anziano a essere percepito come un individuo fragile e malato da proteggere e a cui sostituirsi.
Famoso è l’aforisma del commediografo romano Terenzio “senectus ipsa est morbus” ovvero “la vecchiaia è di per sé una malattia”. Questo, però, è solo uno dei tanti stereotipi legati al processo di invecchiamento a cui veniamo esposti fin dalla prima infanzia. Secondo l’immaginario collettivo, infatti, con l’avanzare dell’età si va incontro a un declino fisico e cognitivo a cui difficilmente ci si può sottrarre, portando così l’anziano a essere percepito come un individuo fragile e malato da proteggere e a cui sostituirsi.
Se un tempo l’anziano veniva più facilmente considerato una risorsa per la comunità, sinonimo di saggezza, meritevole di rispetto e riconoscenza, oggi l’atteggiamento collettivo nei suoi confronti è cambiato: egli viene percepito come un peso, un cittadino di serie B. Tale atteggiamento si è accentuato senza ombra di dubbio negli ultimi due anni, quando a inizio pandemia, nell’imprevedibilità più totale, si è optato per una sanità selettiva che vedeva l’età come criterio di accesso o meno ai trattamenti sanitari (Ansa, 2020).
Questo comportamento altamente discriminatorio nei confronti dell’anziano prende il nome di ageismo (Butler, 1969). Secondo il recente report pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (2021), questa forma di discriminazione ha un forte impatto sulla salute psico-fisica di chi ne è vittima: sembrerebbe, infatti, che chi viene esposto regolarmente a comportamenti negativi nei confronti dell’invecchiamento vive in media 7 anni e mezzo in meno rispetto a chi non lo è.
Stereotipi e pregiudizi sulla vecchiaia incidono profondamente anche sugli aspetti motivazionali e sul raggiungimento degli obiettivi personali, impedendo la promozione di un invecchiamento attivo, influenzando il modo in cui la persona interpreta i propri fallimenti cognitivi e accelerando il declino fisico e cognitivo (Borella & Carbone, 2020).
Per contrastare questo fenomeno è indispensabile, quindi, diffondere una cultura positiva dell’invecchiamento per mezzo della condivisione di informazioni corrette circa il funzionamento mentale e i reali cambiamenti dettati dall’avanzamento dell’età. Risulta necessario, di conseguenza, promuovere un atteggiamento mentale di tipo incrementale che permetta all’individuo di impegnarsi in compiti nuovi e stimolanti, rafforzando così la fiducia nelle proprie abilità. Infine, è fondamentale avere intorno a sé un ambiente supportivo che sia in grado di favorire l’autonomia e l’autodeterminazione dell’anziano (De Beni & Borella, 2015).
Invecchiamento e motivazione: atteggiamento mentale e fallimenti cognitivi
Ognuno di noi, sulla base delle proprie esperienze, sviluppa delle teorie “ingenue” circa il funzionamento delle proprie abilità cognitive. Prendendo in esame il modello di Carol Dweck (2000), possiamo individuare due tipologie di atteggiamento mentale nei confronti delle proprie abilità, ovvero quello statico e quello incrementale.
Chi possiede un atteggiamento di tipo statico ritiene che le proprie abilità non siano modificabili, dunque eventualmente migliorabili, per cui tende a mettersi in gioco solo in quei compiti routinari e semplici che garantiscono un’alta probabilità di successo, evitando sfide e situazioni nuove.
Chi, invece, presenta un atteggiamento incrementale considera le proprie abilità modificabili se opportunamente stimolate. Dunque, le esperienze nuove vengono vissute come opportunità di crescita che consentono di ampliare le proprie competenze.
Questi due tipi di atteggiamento si caratterizzano, inoltre, per un diverso stile attributivo, ovvero per una diversa modalità di attribuzione delle cause dei propri successi/insuccessi. Sembrerebbe, infatti, che chi abbraccia un atteggiamento statico tenda a spiegare i risultati delle proprie prestazioni tramite fattori non controllabili né modificabili, come l’età. Per contro, chi possiede un atteggiamento incrementale attribuisce i propri successi/fallimenti a cause controllabili e modificabili come ad esempio l’impegno (Weiner, 1972, 2010).
Errori e fallimenti cognitivi capitano spesso nella vita di tutti i giorni e sono causati principalmente da disattenzione, stress, mind wandering, scarsa motivazione e/o disinteresse per quello che si sta facendo (Borella & Carbone, 2020). A tal proposito, la letteratura evidenzia differenze tra giovani e anziani nel modo di interpretare i propri insuccessi. Nonostante gli studi non riscontrino differenze nella frequenza con cui vengono riportati tra giovani e anziani, questi ultimi tendono a sovrastimare i propri errori cognitivi e ad attribuirli all’avanzare dell’età, mentre i giovani imputano i fallimenti ai troppi impegni. Queste diverse spiegazioni date evidenziano il tipo di teoria ingenua posseduta: attribuire i propri fallimenti cognitivi all’età, causa stabile e non modificabile, denota un atteggiamento statico, incentivato in parte dagli stereotipi sull’invecchiamento (Borella et al., 2017). “È la vecchiaia!”: pensieri di questo tipo portano a un circolo vizioso che vede i pensieri demotivanti alimentare comportamenti di evitamento (es. lascio fare ai giovani) che a loro volta altro non fanno che confermare i pensieri disfunzionali e gli stereotipi sull’invecchiamento, minando il benessere della persona.
Risulta, dunque, necessario focalizzare l’attenzione sul ruolo determinante che credenze e atteggiamenti hanno sulla motivazione e sulla prestazione stessa dell’individuo, proponendo interventi psicoeducativi che forniscono conoscenze corrette e supportate da evidenze scientifiche rispetto al proprio funzionamento mentale e ai cambiamenti che si verificano con l’avanzare dell’età e che sottolineano la necessità di adottare un atteggiamento mentale impegnato e attivo.
Invecchiamento e motivazione: il ruolo dell’ambiente
Oltre ai pensieri, anche l’ambiente gioca un ruolo determinante nella motivazione. Quanto più i cari pensano che i successi/insuccessi dell’anziano dipendono da cause controllabili o incontrollabili, tanto più l’anziano sarà portato a pensare allo stesso modo. Lo stile attributivo, quindi, nasce nell’ambiente. È importante promuovere un ambiente che sia supportivo e che, dunque, favorisca l’autonomia e l’autodeterminazione dell’anziano.
Una delle modalità tramite cui un ambiente può risultare controllante – e quindi demotivante – è indubbiamente la sostituzione (De Beni & Borella, 2015). Spesso capita che il caregiver, reputando il compito troppo difficile e impegnativo per l’anziano o avendo il timore che quest’ultimo possa fallire, si sostituisca alla persona minandone il bisogno di sentirsi competente. Per rendere l’ambiente più supportivo è necessario seguire alcune indicazioni come ad esempio semplificare il compito dividendolo in step, evitare messaggi svalutanti e rispettare i tempi dell’altro.
Conclusioni
Per raggiungere e mantenere un adeguato livello di benessere e una miglior qualità di vita è fondamentale promuovere un invecchiamento attivo. Ormai centro focale delle politiche governative e delle attività di ricerca a livello nazionale e internazionale, l’invecchiamento attivo è considerato uno strumento utile per contribuire a risolvere alcune delle principali sfide legate all’invecchiamento della popolazione (WHO, 2015).
Ciò non significa negare i normali cambiamenti dettati dall’età, ma divenire consapevoli di essi e compensarli tramite le risorse possedute e lo sviluppo di nuove competenze, ricoprendo così un ruolo attivo ed evitando un atteggiamento passivo di rassegnazione.