Il termine ageismo fa riferimento a una alterazione di sentimenti, credenze e comportamenti nei confronti di individui appartenenti a un gruppo di età differente dalla propria.
Come è noto, lo stereotipo è una scorciatoia cognitiva, una rappresentazione di un gruppo sociale che associa a quel determinato gruppo o categoria una serie di caratteristiche distintive, permettendo così una rapida e condivisa impressione su ciò che ci circonda. È, dunque, una immagine valutativa e semplificata dei membri di un gruppo. Essa viene acquisita precocemente, durante l’infanzia, il più delle volte ancora prima di venire a contatto con il gruppo sociale in questione.
A questa rappresentazione cognitiva si aggiungono solitamente pregiudizi, ovvero atteggiamenti sfavorevoli verso un gruppo sociale e i suoi membri, e discriminazioni, cioè trattamenti differenziali di individui sulla base della loro appartenenza sociale.
Le forme di discriminazione più studiate sono indubbiamente razzismo e sessismo, ma negli ultimi anni sta emergendo sempre più il fenomeno dell’ageismo, un prodotto culturale di cui siamo tutti vittime.
Il termine ageismo è stato coniato dal gerontologo Robert Butler (1969) e fa riferimento a una alterazione di sentimenti, credenze e comportamenti nei confronti di individui appartenenti a un gruppo di età differente dalla propria. In questo caso, dunque, ciò che differenzia Noi dagli Altri è l’età. Focalizzando la nostra attenzione sulla vecchiaia, essa viene tendenzialmente dipinta come una condizione di inesorabile declino fisico e cognitivo, di peso economico e sociale, di tristezza, isolamento e di asessualità: l’ageismo è proprio questo.
La peculiarità di questa forma di discriminazione è che non è rivolta a una minoranza discreta e limitata, essendo l’età una condizione universale, e, dunque, il confine tra Noi e gli Altri è estremamente labile.
La vecchiaia però non è sempre stata connotata negativamente, la sua accezione si è modificata a seguito dei cambiamenti demografici che stiamo tuttora vivendo. In passato gli anziani costituivano una piccola percentuale della popolazione, erano considerati insegnanti e custodi della cultura, depositari della conoscenza. La vecchiaia, dunque, evocava autorevolezza e saggezza, suscitando rispetto, riconoscimento ed emulazione. Attualmente, invece, si assiste a un aumento vertiginoso della speranza di vita e, con essa, dei tassi di prevalenza dei disturbi cognitivi e delle malattie croniche. Come sottolineato da De Beni e Borella (2015) ‘la saggezza (del vecchio) viene sostituita dalle informazioni e dalle conoscenze disponibili su fonti facilmente accessibili, l’esperienza viene soppiantata dalla ricerca scientifica e dalle relative conoscenze e i vissuti di coloro che hanno già affrontato i problemi dell’esistenza perdono di valore e significato’.
Una delle maggiori divulgatrici del fenomeno dell’ageismo è Ashton Applewhite, giornalista e attivista, autrice del libro Il bello dell’età: manifesto contro l’ageismo (2017).
Nel suo manifesto, la Applewhite afferma che ‘l’ageismo è intrecciato al tessuto della vita, rinforzato dai media e dalla cultura popolare a ogni livello e raramente sfidato‘. Invecchiare, infatti, è passato dall’essere un processo naturale a un problema sociale e la scrittrice, capitolo per capitolo, analizza e scardina ogni stereotipo legato all’invecchiamento, dalla sessualità al declino cognitivo, dalla fragilità fisica alle discriminazioni sul posto di lavoro.
La minaccia dello stereotipo nell’anziano
Gli stereotipi vengono interiorizzati dai membri del gruppo stereotipato stesso e hanno una serie di effetti negativi a livello emotivo-motivazionale, cognitivo e funzionale.
Steele e Aronson (1995), confrontando la performance di studenti bianchi e afroamericani in compiti cognitivi, hanno teorizzato la minaccia dello stereotipo, dimostrando come sia la paura di essere giudicati o trattati secondo lo stereotipo legato al proprio gruppo di appartenenza che la paura di confermare tale stereotipo con il proprio comportamento minano la performance dell’individuo, come una ‘profezia che si autoavvera’. Negli anziani la minaccia dello stereotipo si manifesta specialmente in compiti di memoria (Chasteen et al., 2005) ed è stato dimostrato che essa dipende fortemente da come viene formulata l’istruzione del compito stesso. Ciò capita anche nei test fisici, se infatti viene chiesto all’anziano di alzarsi dalla sedia senza aiutarsi con le braccia la prestazione sarà peggiore se questo verrà presentato come test di anzianità invece che di equilibrio.
Le credenze e l’immagine dell’invecchiamento diffuse tramite i media non fanno altro che promuovere nell’anziano una interiorizzazione della vulnerabilità e fragilità rappresentate, con conseguente demotivazione nel mettersi in gioco e ritiro sociale, alimentando così un circolo vizioso per cui maggiore è il ritiro minore è l’esercizio di determinate abilità, con conseguente perdita di esse e conferma dello stereotipo.
Risulta, dunque, necessario intraprendere una serie di campagne informative sulle tematiche legate al processo di invecchiamento e volte a scardinare la visione negativa diffusa sulla vecchiaia, proponendo in aggiunta interventi metacognitivi che permettano di agire sul sistema di credenze individuale.