La psicologia ha colto la rilevanza del concetto di fiducia già da molto tempo e molte sono le teorie dello sviluppo psicologico che la considerano centrale nella strutturazione e nel funzionamento della personalità.
Introduzione
Pensare a un episodio nel quale la nostra fiducia è stata tradita non è molto difficile, anzi. Tutti conoscono quella sensazione bruciante derivante dall’idea di essere stati ingannati. Tutti conoscono la delusione di aver riposto la propria fiducia nella persona sbagliata o la spietata autocritica che siamo in grado di fare a noi stessi per non aver visto i difetti o le mancanze dell’altro, assieme a tutta la gamma dei sentimenti e dei pensieri connessi a queste circostanze. Non daremmo la nostra fiducia all’altro se non pensassimo di avere buone ragioni per farlo.
Questo articolo si pone come obiettivo quello di offrire, a chi fosse interessato, un panoramica necessariamente non esaustiva delle prospettive psicologiche sulla fiducia interpersonale, fornendo alcuni riferimenti bibliografici. Il lettore a digiuno di psicologia potrà invece farsi un’idea, non dico avvincente, ma almeno stimolante, su quello che la psicologia ha da dire su questo tema.
Fiducia e rapporti interpersonali
Sulla fiducia si reggono la gran parte delle relazioni sociali improntate alla cooperazione e alla collaborazione, andando dai rapporti di mera colleganza, all’amicizia, fino all’amore: insomma, tutte le situazioni in cui è presente quel sottile equilibrio di scambi grazie al quale manteniamo rapporti cordiali con gli altri, forniamo e riceviamo supporto di qualche tipo, condividiamo con l’altro parti superficiali e/o profonde di noi stessi e ci sentiamo relativamente al sicuro da iniziative ostili nei nostri confronti.
A livello intimo la fiducia interpersonale coinvolge le paure, le preoccupazioni e i desideri più profondi della persona. Non a caso le situazioni nelle quali essa è fondamentale (pensiamo a un progetto di lavoro o alla vita di coppia) spesso producono in noi reazioni emotive e comportamenti anche molto intensi, soprattutto se nella relazione è presente un’asimmetria di potere tra le parti, e di conseguenza uno dei partner deve contare sulla benevolenza dell’altro per realizzare i propri desideri (Simpson, 2007).
La psicologia ha colto la rilevanza del concetto di fiducia già da molto tempo e molte sono le teorie dello sviluppo psicologico che considerano questa dimensione dell’esistenza umana come centrale nella strutturazione e nel funzionamento della personalità. Essa viene considerata a fondamento degli schemi espressivi, cognitivi e relazionali che la persona usa quando è in relazione con gli altri e, in questo senso, le esperienze evolutive nelle quali la fiducia è stata rilevante avrebbero un’influenza duratura sull’identità e sulle relazioni lungo tutto l’arco della vita. Viene subito da pensare alla teoria dello sviluppo psicosociale di Erikson (1963), per la quale nel primo anno e mezzo il conflitto determinante il percorso evolutivo del futuro adulto (le direzioni di sviluppo delle vulnerabilità e delle potenzialità psicologiche e sociali del bambino) è proprio quello di costruire una posizione fondamentale di fiducia nel futuro. La teoria dell’attaccamento fornisce poi ulteriori specifiche. Per essa la fiducia circa la disponibilità, la sensibilità e la responsività della figura di riferimento (la persona o le persone a cui ci rivolgiamo quando siamo affaticati, tristi, impauriti, bisognosi di cura e sostegno) è il perno attorno al quale la mente costruisce modelli operativi interni equilibrati (schemi cognitivi e affettivi di sé, degli altri e delle relazioni), e l’aspettativa di ricevere da essa sostegno, rassicurazione e supporto (sia realmente che in forma simbolica, se non disponibile concretamente) è considerata centrale per lo sviluppo di una personalità resiliente, proattiva, aperta e in grado di mantenere l’equilibrio sotto stress (cfr. Mikulincer & Shaver, 2009). Dal punto di vista clinico, infine, si può pensare a quanto la fiducia tra paziente e psicoterapeuta sia fondamentale per la costruzione dell’alleanza terapeutica, elemento fondamentale per il buon esito della terapia, con tutta la fatica che ciò a volte comporta (cfr Colli & Lingiardi, 2014).
Fiducia e prospettive a confronto
La fiducia è centrale per determinare il modo in cui iniziamo, manteniamo e sosteniamo la maggior parte delle nostre relazioni. Inoltre essa promuove la cooperazione, permettendo benefici a lungo termine che altrimenti non sarebbero ottenibili in altro modo. Ed è proprio a partire da quest’ultima osservazione che le prospettive evoluzionistiche cercano di spiegarne l’origine. Per questo gruppo di teorie (ad esempio Hamilton, 1964; Trivers, 1971; Tooby & Cosmides, 1990) la ragione fondamentale dell’esistenza della fiducia risiede nel fatto che sia la cooperazione che le capacità cognitive dedicate alla valutazione dell’affidabilità dell’altro promuovono la riproduzione dell’individuo e la sopravvivenza della specie, garantiscono l’allevamento della prole da parte dei membri del gruppo sociale di riferimento e promuovono il bene comune, massimizzando i benefici di attività come la caccia, l’allevamento del bestiame e lo scambio di risorse (Axelrod & Hamilton, 1981).
Queste idee possono spiegare in che modo nel corso dell’evoluzione il meccanismo sociale del dare e ottenere fiducia si sia evoluto e perfezionato. Tuttavia anche la storia personale, l’ambiente sociale e la cultura di riferimento, per quanto transitori, contingenti e situati storicamente, sono importanti nella determinazione di una posizione di fiducia verso l’altro, ed ecco che le teorie viste poco sopra, la teoria di Erikson e la teoria dell’attaccamento, ci forniscono elementi di una prospettiva parziale sull’impatto delle determinanti sociali. Ad esse può essere affiancata la teoria dei sistemi familiari (Bowen, 1976) per la quale la storia delle interazioni con i membri della propria famiglia, che include anche episodi nei quali la fiducia è stata ben riposta o tradita, è un elemento fondamentale per la differenziazione del proprio concetto di sé (un Sé differenziato connota stabilità emotiva, capacità di gestione dell’ansia, autonomia, indipendenza) e determina la capacità futura della persona di mantenere legami emotivi con gli altri, cogliendo i benefici dell’intimità e dell’interdipendenza, evitando allo stesso tempo l’invischiamento (definire sé stessi, sentire, pensare e comportarsi in base alle emozioni, alle scelte, alle azioni dell’altro), situazione quest’ultima che sancisce la perdita di quote di identità personale, di capacità autoregolatorie e di autonomia. Se non riesco a fidarmi dell’altro (e se l’altro non mi sembra degno della mia fiducia) come confidare in una relazione duratura? Come dedicarmi completamente ai miei progetti con flessibilità e impegno costante se manca la sicurezza di ricevere sostegno o comunque di non essere ostacolati in qualche modo dalla persona che mi è vicina? Come esprimere pienamente sé stessi e crescere se una relazione autentica non è presente, e ci sentiamo continuamente costretti ad adattarci a ciò che l’altro fa, dice e mostra di provare?
Per quanto penetranti, il limite che appare evidente dalle teorie accennate fino a questo momento è che esse non sono ancora in grado di spiegare in base a quali parametri le situazioni immediate e concrete vissute dalle persone, come anche le caratteristiche specifiche degli attori che vi partecipano, possano spiegare la nascita, il mantenimento e la trasformazione della fiducia interpersonale nel tempo. Insomma, restano ancora troppo sulle generali e non colgono né l’impatto dell’interazione tra le caratteristiche della situazione specifica in cui le persone si trovano, né le differenze individuali. Entrambi gli elementi sono importanti, al punto tale che a chiunque studi psicologia è noto il mantra ‘individuo X ambiente’. Cambia qualcosa se di base sono molto diffidente oppure fiducioso, estroverso oppure introverso? Cambia qualcosa se la fiducia nell’altro viene messa alla prova sul lavoro o in un contesto informale e ludico, oppure in una situazione in cui un partner abbia tutto da perdere e l’altro tutto da guadagnare? E che peso hanno le motivazioni di fondo a stare nella relazione?
Fattori determinanti la fiducia
Riguardo a quest’ultimo aspetto, McClintock (1972) identifica cinque motivi personali per i quali le persone scelgono di dare fiducia all’altro, e si focalizza sulla relazione tra i margini di profitto (materiale o simbolico) che i partecipanti alla relazione ottengono cooperando tra loro: massimizzazione dei propri guadagni (orientamento egoistico/individualistico); massimizzazione dei propri guadagni in relazione a quelli dell’altro (orientamento competitivo); massimizzazione dei guadagni comuni, in modo che entrambi ottengano di più di quanto otterrebbero agendo come singoli (orientamento cooperativo); massimizzazione dei guadagni altrui (orientamento altruistico); minimizzazione dei guadagni altrui (orientamento aggressivo/maligno). Per quanto semplice e intuitiva, questa prospettiva tuttavia fornisce poco spazio per cogliere gli aspetti ‘caldi’, emotivi, delle motivazioni personali sottostanti il dare e il ricevere fiducia, come anche non sembra considerare la diversità delle possibili ragioni individuali alla base di essa, adottando invece una prospettiva esclusivamente utilitaristica.
Questi limiti sono superati dalla teoria di Deutsch (1973) che costruisce una tassonomia di ‘ragioni motivazionali’ alla base della fiducia nell’altro, considerando differenze individuali come le aspettative sui pensieri o le condotte altrui, la conoscenza posseduta, la propensione a seguire le norme sociali, i propri desideri, e altre caratteristiche della persona.
Ci si potrebbe fidare dell’altro, ad esempio, per la disperazione connessa alle conseguenze che il non fidarsi comporta (si pensi a quando si va a fare una visita medica per un malessere che non riusciamo a spiegarci); ci si può fidare per ragioni di conformità sociale, evitando la violazione di norme sociali esplicite o tacite (si pensi ad esempio alla norma tacita espressa che impone, quando si sta male, che si chiami il medico, e come il non farlo sia considerato al minimo poco intelligente, se non insensato); si può dare fiducia all’altro per innocenza, derivante dalla mancanza di conoscenza, informazione oppure esperienza (tutta la gamma di situazioni possibili relative a ‘non accettare caramelle dagli sconosciuti’); per impulsività (ad esempio la decisione di fidarsi ‘perché non mi va di pensarci su più di tanto’). Si può investire l’altro di fiducia, inoltre, nella speranza di essere traditi (masochismo), per la speranza che le conseguenze temute non si presentino (fede), nell’aspettativa che si otterrà ciò che si desidera; o per il puro desiderio di prendersi dei rischi. Altri motivi, infine, riguardano le ragioni e gli scopi personali dell’altro (ad esempio sapere che l’altro ci ama e vuole il nostro bene), motivi di ordine morale (ad esempio il rispetto degli impegni presi) o, finalmente, motivi di ordine strutturale (ad esempio sapere che le amicizie e/o i possessi dell’altro sarebbero messi a rischio se non venisse rispettata la fiducia riposta).
Le informazioni di questo autore sulle motivazioni personali hanno sicuramente un buon valore euristico, poiché ci forniscono una spiegazione del perché ci fidiamo dell’altro sulla base di ragioni ampie e che considerano timori, desideri e speranze, anche inconsapevoli, nelle quali ognuno può rispecchiarsi nella vita di tutti i giorni.
Sempre prestando attenzione ai contenuti mentali individuali, infine, alcuni autori identificano come maggiormente pertinenti la costruzione della fiducia le aspettative sociali, le credenze e le attribuzioni routinarie delle persone, come anche la percezione di quanto l’altro valorizzi il proprio interesse personale in contrapposizione al nostro (ad esempio Barber, 1983; Pruitt & Rubin, 1986; Tyler, 2001).
Purtroppo il problema principale di ogni prospettiva focalizzata solo sull’individuo è che non coglie l’interdipendenza tra i partner. Non considera, infatti, l’impatto che azioni, pensieri ed emozioni di ciascuno di essi ha sull’altro partner e neppure l’impatto che le caratteristiche della situazione (reali o anche solo percepite) hanno sulla relazione che si viene a costruire tra di loro. Una panoramica sulle teorie psicologiche sulla fiducia, quindi, rende obbligatorio considerare anche solo brevemente quelle prospettive, decisamente più complesse, che considerano le caratteristiche individuali (proprie e altrui) in relazione alle caratteristiche dell’altra persona coinvolta e quelle della situazione.
La fiducia può essere così considerata come una particolare situazione interpersonale che implica elevata interdipendenza tra partner (cfr. Kelley & Thibaut, 1978) in relazione ai loro scopi, che possono essere condivisi o esclusivamente personali, e nella quale possono essere di volta in volta determinanti l’impegno profuso nella relazione, le intenzioni (benevole o meno) degli attori, la volontà di questi di mettere in discussione le proprie motivazioni. La fiducia da parte dell’altro si alimenterebbe, soprattutto, dalla trasformazione delle motivazioni individualistiche in motivazioni altruistiche (orientate all’altro o alla relazione) in modo che ne derivino comportamenti che ai suoi occhi attestino la volontà di sacrificarsi per il bene congiunto e/o per il suo bene esclusivo, anche solo sotto forma di comportamenti accomodanti. Altri autori, si focalizzano poi su aspetti come la prevedibilità dei partner (affidabili, interessati al benessere e ai desideri dell’altro), la lealtà verso l’altro e verso la relazione (dependability) e la fiducia nella forza e nella stabilità di entrambi (Holmes & Rempel, 1989).
La ricerca sulla fiducia dal punto di vista della relazione ‘persone X situazione’ è vasta e ha prodotto una mole altissima di dati. Le teorie presentate in questa breve rassegna sono quelle maggiormente citate. Altre teorie sono disponibili, con ricerche che tendono a prestare attenzione anche ad aspetti molto specifici della situazione interpersonale, come l’odore o la distanza interpersonale (ad esempio van Nieuwenburg, de Groot & Smeets, 2019).
Per queste ragioni anche una pur rapida escursione sui risultati disponibili è al di fuori degli scopi di questo articolo. Il lettore interessato che volesse confrontarsi con una panoramica esaustiva sulle teorie che indagano la fiducia interpersonale può rivolgersi a due compendi sintetici, agevoli da consultare e di taglio critico, come il libro di Rotenberg (2020) e la rassegna di Simpson (2007), cui si rimanda per ulteriori riferimenti.