Dagli studi di esito e dalle linee guida internazionali diversi trattamenti sono risultati efficaci per il trattamento dei disturbi di personalità, può essere funzionale una loro integrazione?
Nella pratica clinica siamo a contatto con il trattamento di casi complessi di pazienti con le più svariate storie di vita. Soprattutto per quanto riguarda la cura dei disturbi di personalità, il terapeuta si trova a dover essere molto creativo nel percorso trattamentale, in quanto il mantenere fede solamente ad un orientamento teorico per il piano di cura si rivela poco efficace, o meglio, non esaustivo nella ristrutturazione completa o quasi della personalità.
Questa non esaustività dei diversi trattamenti specializzati è data dal fatto che gli stessi hanno storicamente posto l’accento su un aspetto piuttosto che un altro della patologia di personalità (per esempio nella DBT la disregolazione emotiva, nella Schema Therapy gli schemi e i bisogni, nella TFT la diffusione dell’identità, ecc.), per cui il trattamento che viene somministrato ottiene sì una efficacia in senso diagnostico (cioè il paziente non è più borderline, paranoide o narcisista), ma non vengono trattate tutte le aree problematiche.
Questa breve introduzione è in linea con quanto affermato da Livesley et al. (2016), i quali con la pubblicazione del libro Il trattamento integrato dei disturbi di personalità, già recensito su questo portale da Sofia (2017), hanno già sollevato queste obiezioni.
Tale articolo ha l’obiettivo di stimolare i colleghi a trovare dei punti di incontro delle psicoterapie efficaci e nello stesso tempo identificare possibili limiti di questa integrazione.
Quali sono i trattamenti efficaci per i disturbi di personalità e cosa trattano
Dagli studi di esito e dalle linee guida internazionali (vedi APA div12; NIMH; NICE) i trattamenti maggiormente efficaci per il trattamento dei disturbi di personalità sono essenzialmente questi sotto elencati:
- Terapia Cognitivo Comportamentale e Terapia Basata sulla Mindfulness (Beck, 1976; Ellis, 1988; Segal et al., 2013)
- Schema Therapy (Young et al., 2003)
- Psicoterapia Interpersonale (Klerman et al., 1984; Benjamin, 2019)
- DBT, RO DBT, ACT (Linehan, 1993; Lynch 2018; Hayes et al., 1999)
- Colloquio Motivazionale e Psicoterapia Centrata sul Cliente (Miller, Rollnick, 1991; Rogers, 1951)
- Terapia Focalizzata sul Transfert (Kernberg, 1987; Clarkin, 2011; Yeomans et al., 2017)
- Terapia Basata sulla Mentalizzazione (Bateman, Fonagy, 2005; 2010; 2019).
Ci permettiamo di aggiungere una postilla sulla Terapia Metacognitiva Interpersonale già citata dalla letteratura internazionale e che è di per sé una psicoterapia integrata, e che utilizza strategie e tecniche contenute nella lista di psicoterapie qui riportata.
Problemi e limiti dell’integrazione
- Come e da cosa è composta una struttura di personalità. La personalità è un set organizzato in modo non rigido di sottosistemi che include i sistemi del sé e interpersonale, un sistema di processi regolatori e modulatori, e i tratti. Si ritiene che la personalità si sviluppi attorno a predisposizioni ereditarie che fanno emergere i tratti di personalità. Da sempre la letteratura come DSM (APA, 2013) e altri autori (Widiger, Simonsen, 2005), hanno cercato di raggruppare le tipologie di personalità in cluster. C’è un accordo unanime nel ritenere che la personalità abbia una struttura cognitivo-emotiva e che l’obiettivo delle psicoterapie sia quello di cercare di ristrutturare le sottostrutture più disfunzionali. A nostro avviso, dovrebbe essere studiata maggiormente la struttura sana di personalità che permetterebbe al clinico di verificare anche le aree non problematiche di cui il paziente dispone e che rappresentano il suo punto di forza.
- Epistemologia delle psicoterapie specializzate esistenti. Integrare non significa fare un mix di strategie e tecniche al bisogno, ma seguire una coerenza prima di tutto concettuale tra le varie teorie su cui si basano strategie e tecniche specifiche. In questo senso, un grosso ostacolo a una integrazione dei trattamenti è dato dall’epistemologia talvolta molto differente sulla quale poggiano le diverse scuole di pensiero. Un atteggiamento vantaggioso potrebbe essere quello di accettare i punti di contatto e di non contatto tra le varie teorie (tra cognitivo comportamentali e psicoanalitiche e psicodinamiche) senza polarizzarsi per principio per difendere il proprio territorio. Va anche detto che è opportuno probabilmente operare nella pratica attraverso dei moduli di intervento (preposti in fasi) piuttosto che asserire una epistemologia di base sulla struttura totale del trattamento. Su questo tema vedi Morgese (2018), che fa un ottima analisi sull’integrazione assimilativa (Messer) e la differenzia dall’integrazione teorica Lamproupolos (2001), dall’eclettismo tecnico Paul (1967) e dall’approccio basato sui fattori comuni (Grencavage, Norcross, 1990). Già Ruggiero (2015) su questo portale denunciava il fatto che l’integrazione in psicoterapia dovesse essere qualcosa di più del mero eclettismo tecnico.
- Quali sono le aree deficitarie nei disturbi di personalità. Su questo punto troviamo ampia letteratura, dal DSM-5 sistema dimensionale (APA, 2013), a molti autori come Lenzeweger, Clarkin, 2005 e Livesley et al., 2016. Pare ci sia accordo nel ritenere che le aree deficitarie su cui dovrebbe basarsi un trattamento integrato efficace siano: l’area dei sintomi, l’area della regolazione e modulazione; l’area interpersonale; l’area del sé
- La questione della gravità. Con l’avvento dei sistemi dimensionali c’è stata una forte sensibilizzazione dei clinici alla questione relativa alla gravità dei disturbi e in particolare ai disturbi di personalità, perché in passato nelle linee guida si era parlato sostanzialmente della presenza/assenza o della numerosità di item diagnosticabili, ma non della portata del disturbo nella sua globalità, a parte il lavoro di Kernberg (1984) ormai famoso sui “Disturbi Gravi della Personalità”. La letteratura contemporeanea è in fermento su questo tema (Bornstein, 1998; Parker, Barrett, 2000; Widiger et al., 2002; Hopwood et al., 2011; Riccardi et al., 2016; Livesley, Clarkin, 2016), e si spera tale fermento possa riflettersi nell’aggiornamento dei sistemi diagnostici, anche se attualmente non esiste una indicazione ufficiale.
Come integrare? Una proposta di trattamento
Livesley et al. (2016) propongono una terapia modulare. Sulla scorta dei limiti concettuali e pratici dell’integrazione di psicoterapie diverse, gli autori hanno identificato le aree problematiche dei disturbi di personalità: sicurezza, contenimento, regolazione e modulazione, esplorazione e cambiamento, integrazione e sintesi. Riportiamo qui le fasi che, secondo gli autori, (Clarkin, Livesley, 2016) devono essere affrontate:
- Sintomi (Farmaci; struttura e supporto; interventi di contenimento; interventi comportamentali specifici).
- Regolazione e modulazione (Farmaci; interventi cognitivo comportamentali specifici; ristrutturazione cognitiva; interventi metacognitivi).
- Interpersonale (Interventi focalizzati sugli schemi; interventi psicodinamici; interventi interpersonali; interventi metacognitivi).
- Sé/identità (Moduli di cambiamento generale; Interventi metacognitivi; Interventi cognitivi; Interventi psicodinamici; Terapia cognitivo-analitica; Metodi narrativi; Ingegneria sociale).
Questa linea guida è utilissima per chi si occupa di trattamento di disturbi di personalità perché coglie in maniera coerente gli aspetti da trattare presenti in qualsiasi disturbo della personalità e con qualsiasi psicoterapia. Tale proposta ricalca, inoltre, la linea della psicoterapia sensomotoria (Ogden, Fisher, 2016; Ogden et al., 2012; Van der Hart et al., 2010; Van der Kolk, 2015; Fisher, 2017; Steel et al., 2017) e altre centrate sul trauma che asseriscono il passaggio del trattamento su tre fasi: fase di stabilizzazione emozionale, fase di elaborazione del trauma, fase di integrazione.
E nello specifico? Linee guida per le diverse fasi
Fase di Pre-Trattamento
Tutti gli autori sostengono che prima della somministrazione del trattamento vero e proprio deve essere impartito un pre-trattamento di 3-4 sedute nel quale il terapeuta deve lavorare sulla valutazione della patologia del paziente, sull’apprendimento della sua anamnesi e sulla costruzione della relazione terapeutica. Dopo il colloquio di conoscenza può essere necessario somministrare test e questionari di personalità come la SCID-5PD (First et al., 2016), il MMPI-2 (Butcher et al., 1996), il MCMI-IV (Millon et al., 2015), o altri; batterie di questionari per valutare la presenza di ansia, depressione, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi somatici, disturbi alimentari, dipendenze, psicosi o altro; ed inoltre, una prima valutazione della presenza di schemi disfunzionali attraverso lo YSQ (Young et al., 2003).
Linee guida per il mantenimento di una buona relazione terapeutica e successivamente di una buona alleanza di lavoro (Bordin, 1979) includono le tecniche provenienti dal Colloquio Motivazionale e dalla psicoterapia rogersiana centrata sulla persona (Miller, Rollnick, 1991), dalla psicoterapia relazionale di Safran e Muran (2000) per il riconoscimento e la risoluzione di cicli interpersonali disfunzionali molto presenti nelle terapie con i disturbi di personalità, e più in generale dall’empirismo collaborativo tipico della psicoterapia cognitivo comportamentale, tenendo in considerazione l’attivazione dei sistemi motivazionali nel dialogo clinico (Liotti, Monticelli, 2008, 2014).
Al paziente viene insegnato fin dall’inizio del trattamento ad avere un atteggiamento metacognitivo (Carcione, Semerari, 2016), così come viene mantenuto dal terapeuta, e a mentalizzare l’apprendimento, rafforzando fin da subito la funzione metacognitiva di monitoraggio.
Una volta concluso il pre-trattamento si restituisce la diagnosi al paziente e si condivide un contratto terapeutico che comprende gli obiettivi che dovranno essere raggiunti. Alcuni terapeuti utilizzano un vero e proprio contratto scritto, ma è sufficiente una condivisione ampiamente discussa.
Sintomi
Se è presente una minaccia alla sicurezza del paziente (suicidio o simili) deve essere affrontato per primo questo argomento, fino a che la persona non è in grado di continuare la sua vita senza farsi del male; ed in questo caso ci viene incontro la DBT (Linehan, 1993), che è stata prima di tutto concettualizzata per le pazienti borderline suicidarie.
Se sono presenti sintomi come ansia, depressione, fobie, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi alimentari, dipendenze, psicosi, ecc. si preferisce la risoluzione di essi attraverso l’utilizzo della psicoterapia cognitivo comportamentale e della psicoterapia interpersonale (depressione) come riportato dalle linee guida internazionali. Una nota per il trattamento delle dipendenze comprende l’utilizzo del Colloquio Motivazionale, e l’appoggio a gruppi di auto-aiuto.
All’inizio di questa fase può essere consigliato un lavoro d’équipe con uno psichiatra, poiché la scelta migliore per l’eliminazione della sintomatologia risulta essere l’associazione di somministrazione di psicofarmaci (anche se di breve durata) e la psicoterapia. Nei casi di disturbi gravi di personalità, è buona prassi creare ad hoc una equipe multidisciplinare che si occupi del paziente, in quanto, di solito, si ha a che fare con prese in carico di tipo sociale.
Sempre in questa fase è opportuno fare una buona psicoeducazione della situazione clinica del paziente (sia sul disturbo sintomatologico che sul disturbo di personalità).
Regolazione e Modulazione
In questa fase si cerca di stabilizzare il paziente dal punto di vista emotivo, cognitivo e comportamentale. Sono ancora presenti comportamenti di coping, esplosioni emotive o ritiri e distorsioni cognitive esposte ancora in maniera eccessiva che rendono persistentemente il paziente disturbato. La psicoterapia cognitivo comportamentale e la DBT sono le tecniche elettive ed è anche consigliata la frequenza, oltre alla terapia individuale, di gruppi di skills training come quelli proposti sia dalla DBT (Lineahn, 1993) che dalla Terapia Metacognitiva Interpersonale di Gruppo (Colle, Fiore 2016). La regolazione e modulazione prevede la riduzione di comportamenti che possono interferire con la terapia e/o con la qualità di vita della persona. In questa fase sono molto utili le tecniche basate sulla mindfulness (Segal et al., 2013), la programmazione delle attività settimanali (Beck, 1979) e l’analisi funzionale (Ellis, 1988) che rendono il paziente sempre più consapevole dei propri meccanismi interni.
Interpersonale, Sé/Identità
Una volta che il paziente è stabilizzato dal punto di vista emotivo ed è consapevole della ripetitività dei propri processi mentali e dei comportamenti di coping, è possibile lavorare in maniera più focalizzata sugli schemi disfunzionali che mantengono la patologia di personalità, e nello specifico la disfunzionalità nell’area delle relazioni interpersonali e del Sé.
In questa fase è possibile utilizzare strategie e tecniche provenienti dalla Schema Therapy, dall’Emotional Focused Therapy (Lehay), dalla Terapia Metacognitiva Interpersonale (Dimaggio et al., 2013), per identificare e cercare di disattivare i meccanismi disfunzionali abituali che il paziente mette in atto da molto tempo e che risultano fattori di mantenimento dei suoi problemi emotivi e sociali, e non gli permettono di mantenere relazioni soddisfacenti (Psicoterapia interpersonale) e di esperire emozioni congruenti ai fatti.
Quando il paziente riconosce in maniera automatica il suo schema è capace di differenziare, e questo rappresenta un ottimo miglioramento nel suo percorso terapeutico.
Lavorare sul cambiamento degli schemi significa lavorare anche sulle memorie autobiografiche altamente traumatiche come quelle presentate dalla maggior parte dei nostri pazienti con disturbi di personalità. L’elaborazione delle esperienze traumatiche può essere fatta attraverso tecniche esperienziali, corporee, cognitive e comportamentali provenienti da tutte le scuole di psicoterapia efficace come la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale, la Schema Therapy (Young, 2003), la psicoterapia Sensomotoria (Ogden, Fisher, 2016; Ogden et al., 2012; Van der Hart et al., 2010; Van der Kolk, 2015; Fisher, 2017; Steel et al., 2017), la Terapia Metacognitiva Interpersonale (Dimaggio et al., 2013), l’EMDR (Shapiro, 1998). Si ricorda inoltre, l’importanza dei contributi dell’ACT (Hayes et al., 1999) e della CFT (2010) nel trattamento di vissuti dolorosi.
Per quanto riguarda il lavoro sull’identità e il senso di vuoto attingiamo alle strategie psicodinamiche proposte dalla Terapia Focalizzata sul Transfert di Kernberg, (Kernberg, 1987; Clarkin, 2011; Yeomans et al., 2017) e altri autori fondamentali come Gunderson et al., 2018 sul senso di vuoto, una delle caratteristiche centrali nei disturbi di personalità.
Integrazione e Prevenzione delle Ricadute
Successivamente alla fase di elaborazione delle memorie traumatiche il paziente si trova a guidare un nuovo Sé nell’esperienza del mondo. La ristrutturazione della personalità è un processo lento, molto complesso e comprende molti passi falsi o ricadute del paziente in vecchi meccanismi, i quali sono altamente consolidati seppur disfunzionali. Occorre lavorare con il paziente alla stabilizzazione delle parti ristrutturate del Sé in modo tale che le percepisca come identitarie (integrazione). Il paziente deve riuscire a dare un senso e una spiegazione dei suoi processi interni, della sua esperienza e del suo cambiamento e percepirsi come coerente (senso di identità coerente). Questo processo di integrazione in realtà viene effettuato durante tutto il trattamento, perché si cerca di dare coerenza ai frequenti cambi di stati dell’io che il paziente manifesta. Avere un forte senso di integrazione significa sapere come si è “switchati” da uno stato all’altro e cosa ha “triggerato” lo switch. Queste informazioni di cui il paziente finalmente dispone permettono di dare senso alla sua esperienza e di migliorare il proprio meccanismo previsionale dei fatti, di vedersi nel futuro e nel passato in maniera coerente. Le tecniche di integrazione vengono dalla Terapia Metacognitiva Interpersonale (Dimaggio et al., 2013), dalla Terapia Focalizzata sul Transfert (Kernberg, 1987; Clarkin, 2011; Yeomans et al., 2017) e dalla Psicoterapia Basata sulla Mentalizzazione (Bateman, Fonagy, 2005; 2010; 2019).