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Mens sana in corpore sano: l’effetto benefico dell’irisina muscolare nella malattia di Alzheimer

L'irisina, un ormone scoperto recentemente prodotto dall’organismo durante l’attività muscolare, sembra avere effetti protettivi nella malattia di Alzheimer

Di Lucilla Castrucci

Pubblicato il 28 Ott. 2021

Una ricerca condotta dal team del Massachusetts General Hospital ha studiato come l’irisina, un ormone scoperto recentemente che viene prodotto dall’organismo durante l’esercizio fisico, abbia effetti benefici nel morbo di Alzheimer.

 

Fin dall’antichità, come testimonia il motto “mens sana in corpore sano”, è nota la relazione esistente tra esercizio fisico e salute mentale. Gli studi scientifici hanno dimostrato come l’attività fisica sia un fattore protettivo rispetto allo sviluppo delle demenze. (Kivipelto M., Mangialasche F., Ngandu T. 2018).

In modelli animali si è evidenziato che l’esercizio fisico stimola la sintesi di nuovi neuroni ippocampali e l’ippocampo è proprio una delle prime regioni celebrali colpite in caso di demenza (Smit JC., Nielson AN, Woodard JL. et al. 2014).

Una ricerca condotta dal team del Massachusetts General Hospital ha esaminato l’effetto a livello cerebrale  dell’irisina, un ormone, scoperto recentemente, prodotto dall’organismo durante l’attività muscolare. I ricercatori sono giunti alla conclusione che quest’ormone ha effetti protettivi nel morbo di Alzheimer (Islam MR., Valaris S., Young MF. et al. 2021).

L’irisina è una miochina, identificata nel 2012 dai ricercatori della Harvard Medical School, prodotta dal tessuto muscolare scheletrico in seguito alla sua attività, ha un’azione anabolica sul tessuto osseo aumentandone così massa e resistenza e rendendo l’osso più difficilmente soggetto a fratture.

Questa molecola ha inoltre effetti positivi sul metabolismo generale dell’organismo ed è in grado di convertire, grazie al meccanismo molecolare di browing, la cellula adiposa bianca in grigia favorendo il controllo dell’obesità (María L., Trujillo G.,  García D. et al. 2016).

Lo studio, pubblicato su Nature Metabolism dai ricercatori del Massachusetts General Hospital, parte dalla considerazione che l’irisina è presente anche a livello dell’ippocampo e nel liquido cerebrospinale (Islam MR., Valaris S., Young MF.  et al. 2021).

Gli autori hanno evidenziato, utilizzando un modello sperimentale animale, come una riduzione dell’irisina e del suo precursore a livello cerebrale, ottenuta con la delezione genetica dell’irisina, compromette nei topi il potenziamento della memoria a lungo termine e la memoria necessaria per il riconoscimento degli oggetti.  Aumentando, negli animali, i livelli di irisina ematica, i ricercatori hanno ottenuto un miglioramento delle funzioni cognitive ed una riduzione dei fenomeni di neuroinfiammazione.

La neuroinfiammazione gioca un ruolo importante nell’eziopatogenesi della malattia di Alzheimer. Il sistema immunitario riconosce le placche e gli ammassi neurofibrillari che si formano a livello cerebrale nell’Alzheimer, come delle alterazioni da combattere ed avvia contro di esse una reazione neuroinfiammatoria nel tentativo di neutralizzarle. Questa reazione ha inizialmente un ruolo protettivo ma il suo perdurare favorisce la progressione del morbo (Parbo P., Ismail R., Hassen VH. Et al.2011).

La diminuzione, generata dall’irisina, dei fenomeni neuroinfiammatori porta ad ipotizzare che quest’ormone possa avere effetti benefici, non solo nella malattia di Alzheimer, ma anche in altre malattie neurodegenerative e possa, in futuro, essere utilizzata come presidio farmacologico.

 

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