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Interventi farmacologici nella demenza

I trattamenti farmacologici nella demenza agiscono sulla sfera cognitiva, come memoria e attenzione, ma anche su alcuni disturbi comportamentali

Di Giulia Goldin

Pubblicato il 18 Mar. 2021

Allo stato attuale, i farmaci impiegati per attenuare le manifestazioni cliniche nel AD di stadio lieve-moderato sono gli inibitori dell’acetilcolinesterasi (Guaita & Vitali, 2004).

 

Il DSM-5 (APA, 2013) con Disturbi Neurocognitivi (DNC) fa riferimento a un’ampia categoria di disturbi acquisiti che rappresentano un declino rispetto al precedente livello di funzionamento e in cui il deficit clinico primario è di tipo cognitivo.

Relativamente al DNC Maggiore, esso si caratterizza per un significativo declino in uno o più domini cognitivi che interferisce con l’indipendenza nelle attività quotidiane. Il DSM-5, inoltre, presenta come specificatori cui prestare attenzione la gravità, la presenza di disturbi del comportamento e il sottotipo.

Prima di approfondire il trattamento farmacologico, è bene considerare le modificazioni neurobiologiche che avvengono nel cervello della persona con DNC di tipo Alzheimer (AD), il sottotipo più diffuso. Esso è una amiloidopatia, ovvero si caratterizza per un’alterazione del metabolismo delle proteine, in particolare i peptidi β-amiloidi che, accumulandosi formano le placche senili, e la proteina tau, che porta alla formazione dei grovigli neurofibrillari. Essi bloccano il normale funzionamento neuronale, portando alla morte cellulare con conseguente atrofia, specie a livello ippocampale. Per quanto riguarda i neurotrasmettitori, si verifica una riduzione dell’acetilcolina e un’eccessiva presenza di glutammato.

Trattamento farmacologico per lo stato cognitivo

Allo stato attuale, i farmaci impiegati per attenuare le manifestazioni cliniche nel AD di stadio lieve-moderato sono gli inibitori dell’acetilcolinesterasi (AchEI) (Guaita & Vitali, 2004). Essi contrastano l’enzima acetilcolinesterasi, causa della diminuzione dell’acetilcolina necessaria ai processi di memoria ed apprendimento (Hogan et al., 2008). Donepezil (Rogers & Friedhoff, 1996); Galantamina (Wilkinson et al., 2001) e Rivastigmina (Corey-Bloom et al., 1998) vengono scelti in base a eziologia, tollerabilità ed effetti collaterali (Hogan et al., 2007). Queste terapie agiscono sulla sfera cognitiva, in particolare su memoria e attenzione (Birks, 2006), ma la loro efficacia è stata dimostrata di breve durata (Birks & Harvey, 2018). Inoltre, un limite dei trattamenti farmacologici è legato ai loro effetti collaterali, di cui i più comuni sono l’aumento dell’incontinenza urinaria, problemi gastrointestinali, vertigini e sincopi (Hogan et al., 2008).

In fase moderato-grave di malattia si prescrive spesso la Memantina che, inibendo i recettori NMDA, contrasta il glutammato (Peskind et al., 2006). Tale farmaco può, però, indurre eventi avversi di tipo cardiovascolare e gastrointestinale.

Trattamento farmacologico per i disturbi del comportamento

I problemi comportamentali sono la causa più frequente di istituzionalizzazione (Finkel & Burns, 2000) e l’approccio bio-medico individua come unica soluzione l’uso di farmaci sedativi: antipsicotici, ipnotici, stabilizzatori dell’umore e benzodiazepine. Queste ultime sono state per molto tempo utilizzate per il paziente geriatrico, ma le ricerche più recenti (Beers Criteria, American Geriatrics Society, 2015; Pasina et al., 2016) sottolineano l’inappropriatezza della loro prescrizione, poiché mal tollerate, causa di perdite mnesiche e della coordinazione motoria con conseguente aumento di cadute (Julien et al., 2015).

Per i disturbi del sonno, valide alternative alle benzodiazepine sono la melatonina, che si è dimostrata efficace nel ripristinare il ritmo circadiano in assenza di effetti collaterali (Cardinali et al., 2017; Reynolds, 2019), il Trazodone (Martinón‐Torres et al., 2004) o, quando l’insonnia è legata a sintomatologia depressiva, gli SSRI (Caltagirone et al., 2005). Per quel che riguarda gli stabilizzatori dell’umore, una esaustiva revisione della letteratura non ne raccomanda l’utilizzo routinario nelle demenze poiché i benefici sono inconsistenti e gli effetti collaterali rilevanti (Konovalov et el., 2008; Kwan et al., 2001).

Oggi di più largo impiego sono gli antipsicotici tipici, come Aloperidolo e Promazina, o atipici, come Risperidone, Olanzapina o Quetiapina, con preferenza per gli ultimi per la migliore tollerabilità e la minore tossicità (Sink et al., 2005; Connelly et al., 2010). Infatti, una recente review Cochrane (Mühlbauer et al., 2019), sottolinea l’influenza degli antipsicotici tipici sui sintomi extrapiramidali, sulla sonnolenza, sul peggioramento cognitivo e sull’aumento del rischio di morte (Randle et al., 2019).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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