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“Cartoline in tempo surreale”. La fantasiosa realtà di un progetto – Recensione

Le cartoline raffigurate nel libro "Cartoline in tempo surreale" si presentano come schegge di una realtà sincretica e anomala, quella della pandemia

Di Marta Rebecca Farsi

Pubblicato il 29 Ott. 2021

Il progetto che ha portato alla pubblicazione del libro Cartoline in tempo surreale. Messaggi dallo spazio allontanato nel pieno corso della pandemia ha mirato a creare un’alternativa al silenzio siderante cui la malattia ha costretto e continua a costringere.

 

Se c’è una cosa che la pandemia non è riuscita a toglierci è la capacità di reinventarci. La pressione con cui siamo stati spinti a modificare tutte le nostre abitudini, e a crearci nuovi stili di vita, ha trovato un fido alleato in quella flessibilità di pensiero che spinge all’adattività, e crea vie d’uscite anche dove sembra difficilissimo trovarne. La fantasia, relegata con eccessiva fretta come un fattore ludico ad esclusivo appannaggio dei bambini, ci ha aiutato a portare a termine imprese all’apparenza insostenibili, facendo nascere un flusso di idee a loro volta produttive e generative di opportunità.

Al contempo, l’impossibilità di uscire ci ha spinto verso l’indagine del nostro universo interiore. Così come il divieto di andare avanti ha disegnato la traiettoria di un viaggio a ritroso, alla riscoperta di gesti ed abitudini che ci sono parsi all’improvviso un’utile alternativa all’immobilità assoluta.

Alla luce di ciò, possiamo chiederci legittimamente se si sia trattato davvero di una regressione. O se magari, questo scartabellare tra le dimensioni più intime del Sé, si sia rivelato il segnale di una crescita interiore, il passo avanti verso la conquista di nuovi significati di vita. Forse era necessario fermarsi un po’. Al di là della pandemia. E fare luce laddove per troppo tempo ci siamo illusi di poter vedere anche al buio.

Da cartoline a libro: la “magia” di un processo trasformativo

Sembra questo l’intento del progetto attuato da Lavinia Fagiuoli e Maddalena Giusto, nel pieno corso della pandemia: creare un’alternativa al silenzio siderante cui la malattia ha costretto e continua a costringere, lasciando al contempo tracce vive e suggestive di tutte quelle emozioni che, vittime di un isolamento forzato, non hanno potuto essere comunicate, condivise, simbolizzate.

Ogni elemento di questo progetto appare insolito, curioso, quasi incredibile: a partire dal titolo, che catapulta da subito in una dimensione in cui il contatto con la realtà non è così prioritario.

Cartoline da un tempo potenziale – messaggi da uno spazio allontanato: una presa di coscienza, o forse di posizione, da parte delle autrici, che, in una sorta di avvertimento comunicano al lettore ciò a cui si stanno approcciando, spingendolo a non aspettarsi nulla di canonico e ordinario, in una situazione in cui il concetto stesso di normalità si è notevolmente relativizzato.

Il risultato è uno scenario frammentato, delimitato da contorni spazio-temporali fortemente diluiti; un luogo arcaico e indefinito in cui i legami sociali si sono dispersi, e l’unico modo per raggiungersi reciprocamente è stabilire un contatto a distanza.

Per riuscire ad iconizzare questo paesaggio interiore, a sua volta riflesso di una realtà esterna disintegrata, le ideatrici del progetto hanno scelto di realizzare una vera e propria cartolina, con tanto di messaggio e rappresentazione grafica di un luogo ipotetico da cui si vuol mandare un saluto, o forse una semplice traccia di Sé, a destinatari altrettanto generici.

L’esperimento, nato come uno dei tanti mezzi creativi con cui infrangere la solitudine imposta dall’esilio pandemico, si è infine sistematizzato, assumendo i contorni di un autentico piano di lavoro: è così che le cartoline sono state prodotte ad intervalli regolari, e il gioco in cui le autrici si sono improvvisate postine di una realtà parallela, ha trovato accoglienza all’interno di un libro che ne raccoglie i frammenti in una funzione “contenitiva”. 26 cartoline in tutto, con un’ultima aggiunta, ad uso e consumo del lettore: la presenza di due cartoline vuote – da riempire ed inviare liberamente al destinatario di preferenza. Ulteriore contributo che va a consolidare l’intento comunicativo – relazionale alla base del progetto.

Dal particolare al collettivo: il senso corale al di là del sé

Le cartoline raffigurate nel libro si presentano come schegge di una realtà sincretica, anomala, in cui nulla è consueto: a partire dal contenuto verbale, che non è certo il classico saluto che ci aspettiamo di trovare sul retro di un souvenir di viaggio. Si tratta piuttosto di messaggi estemporanei, disgiunti l’uno dall’altro; voci stridenti, brevi, salienti, e per questo ancor più suggestive. Sono scorci di emozioni, affetti condensati che cercano disperatamente di uscire da se stessi per raggiungere la dimensione dell’alterità: a volte lo fanno per trasmettere speranza, altre volte sono tinti di tristezza ed impotenza, in altre occasioni hanno il sapore di una provocazione, strali sarcastici che raggiungono il lettore colpendolo al cuore, con la loro punta affilata. Alcuni risuonano come espressioni di saggezza dal valore metaforico, pronunciate per dare coraggio, letteralmente, a quanti credono di non farcela. Altri emergono da un silenzio arcaico come inviti alla riflessione, altri testimoniano la voglia di ricominciare.

In alcuni possiamo percepire l’amarezza di un rimpianto, la nostalgia di un ricordo, il rammarico di un congedo o il dolore per uno sbaglio a cui non si può rimediare, e al quale, in fondo, avremmo dovuto pensare prima. Sono domande, valutazioni, consigli, talvolta persino sfrontati, tanto appaiono diretti e lapidari; si presentano definiti ma mai completamente saturi: chiunque avrebbe potuto scriverli, chiunque può riconoscersi in essi e dar luogo a quella risonanza emotiva che spinge a condividere il dolore per renderlo meno inaccettabile. Meno distruttivo. È un affascinante collage di emozioni. Un insieme di verità individuali che assumono un respiro inevitabilmente collettivo, in cui la dimensione puramente privata viene travalicata da un intento corale, quasi archetipico, che traspare nell’intera opera.

È grazie a questo aspetto universalizzante se al termine della lettura si percepisce un’impressione globale di simmetria, quasi di ordine logico-sequenziale. Come se questo esperimento grafico narrativo – nato all’ombra di un colorato guazzabuglio di intenti e contenuti- riuscisse a mettere in ordine dimensioni caotiche, selvagge, pericolosamente alimentate da una contingenza traumatica.

La pandemia ha avuto l’effetto paradossale di metterci a nudo, pur costringendoci a mascherarci. E in questa sottrazione di identità ci ha spinto a ritrovare noi stessi, in un fantasioso quanto necessario viaggio condotto nelle profondità endopsichiche. Dove queste frasi giacevano, probabilmente da tempo immemore, e che la solitudine pandemica ha solo aiutato ad emergere. Parole letteralmente gridate, dal profondo di quello spazio allontanato preannunciato nel titolo, che a ben pensarci risuona come lo spazio potenziale di cui parlava Winnicott (1960) in cui è il gesto spontaneo, la verità del Sé più autentico ad avere la meglio sulle falsità dell’apparenza.

In questo scenario improbabile, eppure così drammaticamente realistico, anche il confine dicotomico tra realtà e fantasia diventa incerto, dando vita ad uno spazio di confine, una terra di mezzo in cui è possibile trovare rifugio ed evacuare angosce disintegranti. Una sorta di ventre psichico, di holding materno, dall’innegabile valore salvifico.

Il provocatorio surrealismo della grafica

L’omaggio alla nudità emozionale da cui l’opera trae ispirazione si riflette anche nel suo aspetto grafico, simile al riflesso di un contesto “disintegrato” in cui la realtà ha perduto ogni potere, perché sconfitta da una fantasia impetuosa che consente di simbolizzare flussi emotivi altrettanto irruenti. Un po’ come avviene nei disegni dei bambini, ove l’elemento realistico risulta sopraffatto da un intento sensoriale, un senso di onnipotenza narcisistica che aiuta a controllare le angosce di un mondo sconosciuto e minaccioso.

Le immagini, icastiche sebbene non collegate al contenuto specifico dei messaggi, trasportano in un altrove immaginario che consente di rimanere aggrappati ad una parvenza di realtà e di fendere un silenzio schizoide; al contempo, l’energia pulsionale trova la propria gestalt in un disegno consapevolmente “provocatorio”, in cui le componenti razionali vengono totalmente ignorate: compaiono donne che cavalcano pistole o si arrampicano su bicchieri da cocktail, uomini che nascondono la testa sotto il pavimento, figure indefinite in sella ad un tappeto volante, conigli che escono dal cilindro.

Il realismo visivo viene superato dalla forza di una pulsione emotiva pressante, per certi aspetti aggressiva, di cui si riconoscono i tratti nelle linee spezzate, negli angoli duri e gutturali, nelle simmetrie totalmente scomposte, nelle dimensioni non rispettate, nelle proiezioni ignorate. Gli stessi colori non sembrano voler dar conto di una realtà attendibile, ma di un paesaggio interiore in cui l’elemento cromatico è soltanto l’espressione di uno stato d’animo. Un’emozione che nell’elemento grafico trova canale espressivo immediato, e che col suo variegarsi multiforme riesce a fendere il grigiore indifferenziante imposto dalla pandemia. Per ricordare che al di là di un vuoto apparente esistiamo ancora, e siamo uno diverso dall’altro.

Il disegno si rivela nuovamente un mezzo utile ad “addomesticare” emozioni disregolate ed esteriorizzare paure amorfe che rischierebbero di annichilire. Ma è soprattutto un mezzo per fondersi e confondersi con l’altro, nella consapevolezza che la comunicazione del proprio vissuto interiore è lo specchio di un afflato relazionale necessario alla sopravvivenza.

Il senso del progetto

Per quanto la pandemia abbia costretto all’isolamento, dunque, non è possibile rassegnarsi. Il bisogno di raggiungere l’altro non cessa di mostrarsi prioritario, insostituibile. Le ideatrici del progetto lo hanno sapientemente ribadito, quasi gridato, oltretutto avvalendosi di un mezzo di comunicazione in disuso come la cartolina, ormai rimpiazzata dalla ben più “scattante” messaggistica virtuale e telefonica.

Ma non c’è da stupirsene. Anche questo ritorno al passato è l’effetto di una regressione progressiva che ci ha spinto nelle soffitte delle nostre abitazioni, così come nei meandri più oscuri dell’inconscio, alla ricerca di vecchi oggetti dimenticati, e di pulsioni rimosse. Memorie arcaiche che da tempo anelavano di emergere dall’oblio.

Ovvio come alla fine sembri riduttivo chiamarle soltanto cartoline. Le pagine che compongono questo libro sono in realtà esperienze di vita grondanti di emozioni. Sono resilienze d’emergenza in cui chiunque può rispecchiarsi; sono le ricchezze inattese e più autentiche del Sé, in grado di infrangere un silenzio psicotico che rende tutto pericolosamente uguale. Sono souvenirs di un viaggio interiore che la pandemia ha incidentalmente provocato, ma che sarebbe interessante continuare anche nel periodo post Covid, per dar voce alle nostre dimensioni più intime, troppo spesso inascoltate.

Stabilire un flusso relazionale continuo con il Sé e con l’altro è ciò di cui abbiamo bisogno. Nella speranza che non ci voglia un’altra pandemia per capirlo; questo progetto si premura di ricordarlo e lo fa con onestà di intenti, regalando un prezioso senso di equilibrio in un mondo provvisoriamente senza gravità. Potremmo chiamarlo un esperimento di fantasia incredibilmente realistico. Cartoline di cui tutti ci troviamo “lusingati” destinatari.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Winnicott,  D. W. (1960) Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma;
  • Winnicott, D.W. (1971) Gioco e realtà, Fabbri Editore, Milano.
  • Fagiuoli L. e Giusto M. (2021). Cartoline in tempo surreale. Messaggi dallo spazio allontanato. Officina Editoriale Morsi.
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